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Giorgio Nebbia
Il ruggito degli affamati
18 Dicembre 2013
Giorgio Nebbia
Da quando è stato eletto Papa, Francesco ha parlato almeno tre volte dello scandalo e della violenza della fame... >>>

Da quando è stato eletto Papa, Francesco ha parlato almeno tre volte dello scandalo e della violenza della fame... >>>

Da quando è stato eletto Papa, Francesco ha parlato almeno tre volte dello scandalo e della violenza della fame nel mondo, un tema del resto trattato sempre anche da tutti i suoi predecessori. Ma nell’ultimo intervento, del 9 dicembre, il Papa ha ripetuto la parola “scandalo” per il miliardo di persone che ancora oggi soffrono la fame quando “il cibo a disposizione nel mondo basterebbe a sfamare tutti”. Ha poi continuato con parole ancora più dure: ha invitato le istituzioni e ciascuno di noi “a dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado si scuotere il mondo”. Un ruggito, capite ? E ha continuato invitando a “diventare più consapevoli nelle nostre scelte alimentari, che spesso comportano lo spreco di cibo e un cattivo uso delle risorse a nostra disposizione”

Le parole del Papa contengono anche una sfida tecnico-scientifica, merceologica e pedagogica. E’ vero che la natura offre una sufficiente quantità di calorie e proteine alimentari con le quali sarebbe possibile soddisfare i fabbisogni di cibo per i sette miliardi di esseri umani; tali ricchezze della Terra non arrivano ai poveri affamati per le regole economiche internazionali e per la “globalizzazione dei mercati” che distorcono la loro distribuzione. Al punto che nei parsi ricchi molti si ammalano per eccesso di cibo e incredibili sprechi, mentre molti dei beni alimentari non sono accessibili neanche a coloro che li hanno prodotti. Nei paesi ricchi, abitati da appena due dei sette miliardi di terrestri, il cibo che troviamo nel negozio arriva dopo un lungo cammino che comincia nei campi dove le piante elaborano, con l’energia solare, semi, tuberi, frutti, verdure appositamente coltivati a fini alimentari.

Una parte di questi alimenti viene distrutta dai parassiti per mancanza di adeguate strutture di conservazione, una parte deperisce rapidamente e va perduta prima di essere trasferita ai luoghi di conservazione e trasformazione. Una parte degli alimenti vegetali viene destinata all’alimentazione degli animali da allevamento, oltre un miliardo di bovini, suini, pollame che trasformano i prodotti vegetali in carne e latte e uova, contenenti proteine pregiate dotate di un valore nutritivo maggiore di quello delle proteine di origine vegetale. La zootecnia assorbe circa dieci unità di valore alimentare vegetale per produrre appena una unità di valore alimentare animale pregiato. Poiché in questa trasformazione i produttori di cereali e gli allevatori di bestiame guadagnano di più che se vendessero gli alimenti vegetali per uso diretto, nel nome del profitto di poche imprese, grandi quantità di alimenti prodotti nei paesi poveri, o che potrebbero essere utilizzati direttamente dai poveri del mondo, vengono dirottati verso i più redditizi allevamenti zootecnici.

Non solo: una parte dei vegetali importanti a fini alimentari, soprattutto cereali, viene trattata per produrre carburanti “ecologici” utilizzabili al posto della benzina e del gasolio, con forti incentivi di molti governi; hanno ragione coloro che sostengono che il mais viene tolto di bocca ai poveri affamati per far correre i “suv” dei paesi ricchi. Eppure si sa che carburanti alternativi al petrolio potrebbero ben essere prodotti usando materie vegetali non alimentari, quei sottoprodotti che si formano durante ogni coltivazione agricola e che finiscono nei rifiuti. Altre perdite si hanno nelle fasi successive del ciclo degli alimenti; nessun prodotto arriva sulla nostra tavola direttamente dai campi o dagli allevamenti; i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia vengono trasportati, spesso a distanza di migliaia di chilometri, e poi trasformati, conservati, inscatolati dall’industria agroalimentare con elevate perdite di sostanze preziose dal punto di vista nutritivo. Si può stimare che ogni dieci unità di valore nutritivo forniti dall’agricoltura e dalla zootecnica soltanto due arrivino come cibo al “consumo” finale, con conseguente spreco di beni ambientali, di energia, di acqua e relativi inquinamenti.

Ma lo spreco di cui parla il Papa non è solo questo. Circa il 30 percento degli alimenti che entrano nelle famiglie, nei ristoranti, nelle mense delle comunità, va perduto come rifiuti nelle discariche. Sono vissuto in un tempo in cui si raccontava ai bambini l’ingenua favoletta di Gesù che scendeva da cavallo per raccogliere una briciola di pane caduta per terra. Oggi la massa di perdite e di sprechi del ciclo alimentare ammonta a diecine di miliardi di tonnellate all’anno: utili programmi di ricerca scientifica permetterebbe di verificare dove si trovano gli sprechi, da che cosa sono costituiti, come è possibile trasformare il rifiuto in ricchezza, come è possibile trarre cibo di buon valore alimentare da sottoprodotti o da piante finora trascurate. Fortunatamente esistono alcuni, troppo pochi, centri di ricerche su questa “tecnologia della carità” e purtroppo il tema dello spreco alimentare è del tutto assente dai piani dei “saggi governanti.

L’avvicinarsi del Natale ci offre una ubriacatura pubblicitaria di cibi sempre più sofisticati e raffinati e le regole economiche sollecitano il “dovere” di comprarne sempre di più perché, dicono, questo aiuta l’economia. Nessuno parla di comportamenti e scelte coerenti con quelli suggeriti dal Papa venuto dall’altra parte del mondo; speriamo che il ruggito del mondo povero ci scuota dalla nostra indifferenza.

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