La vergogna gettata sul nostro paese da una manciata di farneticanti. Il timore è che siano la punta di un iceberg. La Repubblica, 16 gennaio 2014
UNA duplice, speciale vigliaccheria contraddistingue la campagna orchestrata dalla Lega contro Cécile Kyenge.
Vigliaccheria numero uno: prima ancora che la linea politica, viene presa di mira la persona in quanto tale, accusata perfino di «favorire la negritudine ». Così ieri a Montecitorio il deputato Gianluca Buonanno è giunto a tingersi il volto per insinuare che per ottenere vantaggi in Italia bisognerebbe farsi «un po’ più scuri». Vigliaccheria numero due: i leghisti agiscono surrettiziamente, pubblicando l’agenda della Kyenge sul giornale di partito senza neanche avere il coraggio di scrivere a che scopo lo fanno. Dico e non dico, lancio il sasso e ritiro la mano. Vigliacchi, appunto.
Un’ipocrisia evidenziata dal segretario Salvini che sogghigna rifugiandosi dietro al diritto alla libertà d’informazione: che male c’è a divulgare degli appuntamenti pubblici? Mentre Roberto Maroni, che pure sarebbe il presidente di una grande regione europea come la Lombardia, finge di cascare dalle nuvole: «Non capisco perché contestare il ministro Kyenge sia un atto di razzismo». Non capisce, poverino?
Per carità, la Lega non è razzista. Con gli africani è dispostissima a stringere affari. Lo ha rivelato un’inchiesta di Claudio Gatti su “Il Sole 24 Ore”: subito dopo l’accordo italo-libico del 2008 per il respingimento in mare dei migranti, il suo tesoriere Belsito — che guarda caso la Lega aveva inserito nel cda della Fincantieri — si diede da fare per vendere al regime di Gheddafi pattugliatori e corvette sulle cui commesse tentò di lucrare col meccanismo dei retropagamenti. Un po’ a te e un po’ a me. La magistratura sta ancora indagando. Se invece una cittadina italiana nata in Congo viene incaricata dal governo di operare per l’integrazione degli immigrati, allora si grida allo scandalo. La si addita al pubblico ludibrio.
La Lega si protende nel disperato tentativo di recuperare uno spazio elettorale all’estrema destra. Ieri Salvini ha stretto alleanza a Strasburgo con Marine Le Pen, leader ultranazionalista d’oltralpe, e chi se ne importa della coerenza federalista. Le stesse camicie verdi che un mese fa al Lingotto di Torino scandivano in coro “Italia vaffa…” non esitano a scendere in piazza coi Forconi che sventolano il tricolore. E quando si fa la posta alla Kyenge gli va benissimo di ritrovarsi fianco a fianco coi fascisti di Forza Nuova.
Resta da chiedersi quale possa essere l’esito di questa offensiva razzista. L’intenzione è evidentemente quella di far dimenticare l’onta del partito arraffapoltrone, funestato dalle ruberie, marginalizzato a Roma ma tuttora bene inserito in tutte le postazioni di sottogoverno nel Nord. Salvini confida nella memoria corta degli esasperati e degli incattiviti dalla crisi che morde. Intuisce che a destra oggi c’è il vuoto e che l’Italia impoverita rimane territorio aperto per le scorrerie dell’antipolitica.
Si tratta di un’operazione non solo cinica, ma pericolosissima. Il classico caso dell’apprendista stregone. Perché è molto improbabile che l’agitazione delle tematiche xenofobe e antieuropee possa resuscitare un movimento screditato innanzitutto fra la gente che per un quarto di secolo aveva illuso, traendone un potere esercitato maldestramente. Assai più probabile, purtroppo, è che la crisi del forzaleghismo su cui s’innesta una tale velenosa campagna di diseducazione di massa, favorisca l’avvento di una nuova destra estrema in grado di rivendicare la sua verginità politica. Fa paura anche solo evocarla, perché il suo biglietto da visita è una violenza che da verbale, “futurista”, fa in fretta a diventare squadrismo.
L’odio diffuso contro Cécile Kyenge — se non verrà rintuzzato al più presto — piuttosto che beneficiare i suoi propalatori leghisti è più facile che generi fenomeni marginali ma devastanti di militarizzazione. L’exploit greco di Alba Dorata sta lì a dimostrarlo.
Il ritornello che già si sente ripetere perfino dai megafoni televisivi, è un’accusa dal sapore beffardo: l’aver nominato ministro una donna con la pelle nera viene additato come episodio di un non meglio precisato «razzismo all’incontrario ». Anche Buonanno, il deputato che si è tinto la faccia a Montecitorio, ha adoperato questa espressione che non significa nulla, «razzismo all’incontrario». Quasi che la ovvia parità di diritti naturalmente assegnata dalla cittadinanza italiana fosse un privilegio insopportabile, un torto inflitto alla maggioranza dei “bianchi”.
Il razzismo ipocrita della Lega non è dissimile, nelle sue modalità espressive, dall’antisemitismo del comico francese Dieudonné. Fermiamoli finché siamo in tempo.