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Anna Lombardi
“Il problema non è solo arabo la violenza è un male sociale”
14 Gennaio 2016
Donna
«Il problema è l’altissimo livello di tolleranza che atti di questo genere suscitano» replica Flinkman. «Ma non direi culturale nel senso di arabo: semmai nel senso di maschile. In Germania, come a Piazza Tahrir, nessuno è intervenuto. È questa accettazione a essere gravissima».
«Il problema è l’altissimo livello di tolleranza che atti di questo genere suscitano» replica Flinkman. «Ma non direi culturale nel senso di arabo: semmai nel senso di maschile. In Germania, come a Piazza Tahrir, nessuno è intervenuto. È questa accettazione a essere gravissima».

La Repubblica, 12 gennaio 2016 (m.p.r.)

«Un cancro: le molestie sessuali hanno un meccanismo simile a quello di cellule cancerogene che si aggregano. A scatenare la malattia intervengono fattori diversi ma il risultato è il medesimo: la molestia come tumore sociale, che se non viene fermato in tempo continua a propagarsi. Perché è bene dirlo subito: sbaglia chi pensa che quello che è accaduto a Colonia sia importato, appartenga al solo mondo arabo, un’epidemia importata. È un male che ha radici profonde: e molto complesse».
Non è un caso che Shereen El Feki usi termini medici. L’autrice anglo-egiziana di un saggio molto importante sulla sessualità nel mondo arabo intitolato Sex and the Citadel: Intimate Life in a Changing Arab World (Sesso e la cittadella: la vita intima nel mondo arabo che cambia), è un’immunologa che dopo essersi occupata di Aids ha focalizzato la sua attenzione sul rapporto che il mondo arabo ha con il sesso e ora sta lavorando a un progetto finanziato dalle Nazioni Unite per capire meglio la galassia maschile giovanile in 4 paesi arabi, Egitto, Marocco, Libano e Palestina.

Il suo libro, nel 2013, è stato il primo a citare il termine arabo “taharrush gamea”(molestia sessuale di gruppo) che dopo i fatti di Colonia ha fatto il giro del mondo, quasi si trattasse di un rituale ben definito. Un rituale che avrebbe le sue radici nei fatti di piazza Tahrir al Cairo, dove nel 2011, durante la rivoluzione contro Mubarak, decine di donne che manifestavano subirono violenze sessuali.
«Non abbiamo abbastanza elementi per giudicare cosa è davvero successo a Colonia » precisa El Feki. «Ma se vogliamo paragonarlo con i fatti di Piazza Tahrir, non fosse altro perché è il più studiato, possiamo provare a tracciare un profilo. Lì ci si trovava davanti a giovani uomini che avevano un serio problema con la realizzazione della loro mascolinità: cresciuti in un sistema politico oppressivo, disoccupati e dunque non nelle condizioni di sposarsi e tanto meno di fare sesso. Persone, insomma, impossibilitate a diventare maschi adulti. Questo genere di pressioni porta a grande aggressività verso chi, in una concezione patriarcale, è percepito come più debole: le donne, dunque. Un fenomeno che attraversa tutte le regioni arabe ma non è specificamente arabo, distinzione che va fatta in un’epoca di eccezionalismi legati al mondo islamico».
Al telefono dal Cairo le fa eco Noora Flinkman, attivista dell’associazione egiziana HarrasMap che si occupa di prevenire le molestie sessuali, attiva nel Paese già prima dei fatti di Piazza Tahrir: «Sui giornali europei e sui social si sta facendo molta confusione sul significato di Taharrush gamea: che è il termine arabo per indicare le molestie sessuali di gruppo, non certo un rituale definito, una qualche tradizione culturale. Non che questo renda i fatti di Colonia meno gravi, sia chiaro».
Ok, gli uomini che molestano le donne sono uguali in tutto il mondo: e le molestie non sono una novità, nemmeno in Europa. Ma in Egitto secondo una ricerca pubblicata due anni fa il 99,3% delle donne ha dichiarato di aver subito un qualche tipo di molestia.
Davvero possiamo dire che non c’è una specificità culturale o religiosa? «Il problema è l’altissimo livello di tolleranza che atti di questo genere suscitano» replica Flinkman. «Ma non direi culturale nel senso di arabo: semmai nel senso di maschile. In Germania, come a Piazza Tahrir, nessuno è intervenuto. È questa accettazione a essere gravissima. Ora i giornali scrivono che a Colonia e nelle altre città della Germania è stato tutto preorganizzato, cosa che per ora non siamo in grado di valutare. Una cosa simile è stata detta anche qui, su Piazza Tahrir. Ma la triste verità è che non c’era nemmeno bisogno che quegli atti fossero organizzati: la molestia è considerata talmente normale, che seppure 1 o 5 o 10 agiva con uno scopo altre centinaia li seguivano. Perché sapevano di passarla liscia. La considerano una cosa normale».
Eppure in Egitto le donne scendevano in piazza ugualmente, nonostante le violenze. La percezione dei diritti è dunque così diversa fra uomini e donne nel mondo arabo? «Spesso sì» dice El Feki: «perché le donne arabe oggi hanno molte più opzioni di una volta. Mentre le opzioni degli uomini sono più o meno le stesse dei loro nonni».
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