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Giorgio Pasetto
Il Prg, i costruttori, e i cittadini
3 Giugno 2008
Roma
Prosegue, con toni pacati ma piuttosto critici, il dibattito interno al Pd su lacune e peggio del Piano regolatore romano.Da l’Unità, ed. Roma, 3 giugno 2008 (f.b.)

La riflessione aperta su l’Unità da Walter Tocci e poi ripresa da Roberto Morassut, sullo sviluppo urbano e sul PRG di Roma, non mette certamente in dubbio i risultati ottenuti in questi anni dalle giunte di centro sinistra per una diffusa e ampia rete ecologica e ambientale e per la riqualificazione delle periferie. Così come non è messa in discussione l’onestà e la trasparenza dell’azione non certo facile portata avanti dall’assessore Roberto Morassut. Il nuovo Prg è un risultato indiscutibile del centro sinistra capitolino da difendere e da cui ripartire.

Tuttavia una riflessione critica è necessaria nella prospettiva di quanto occorre migliorare e resta da fare. La riflessione, a nostro avviso, deve riguardare, più che l’impostazione generale del piano, anche essa integrabile in alcuni punti, le modalità con cui negli ultimi tre anni, prima ancora che il piano fosse approvato, si è proceduto alla sua attuazione sotto la spinta di un attivismo talvolta più rispondente alle sollecitazioni degli operatori che alle attese dei cittadini.

Così le molte zone di espansione attivate nelle aree esterne al Gra, in parte eredità del vecchio piano, oltre a consumare estese parti dell’agro romano tutelato, rischiano di produrre nuove periferie isolate, prive di connotati urbani e di collegamenti adeguati. Inoltre, esse impegnano l’amministrazione in programmi infrastrutturali dispersi, difficilmente attuabili e sostenibili.

Ancora, l’ambizione di attivare subito tutte le 19 "centralità" previste dal piano, sembra condurre ad un declassamento di ruolo delle stesse, da luoghi di offerta di funzioni di eccellenza e di policentrismo, a cittadelle isolate di ulteriore residenza ed uffici ad alto costo intorno ad un ipercentro commerciale. Non sempre, inoltre, queste operazioni negoziate con gli operatori accrescono in modo rilevante la dotazione di spazi pubblici, verde e infrastrutture.

È da queste valutazioni che deve muovere la riflessione critica. Un piano generale con la previsione di un forte incremento dell’offerta residenziale e di sedi di attività in una prospettiva segue più che decennale deve seguire una precisa strategia attuativa partecipata: a partire dai problemi pregressi e delle domande più urgenti dei cittadini, assicurando con la fattibilità la coerenza progressiva degli interventi tra di loro e con gli obiettivi ed i requisiti di qualità e funzionalità previsti dal piano. Occorre formulare un programma attuativo del piano a partire dalla riqualificazione della città esistente e delle sue periferie, scegliere le priorità, rinviando le scelte che risultano premature per l’assenza di infrastrutture o per eccesso di decentramento o non coerenti con la domanda.

La tutela dell’agro romano per essere reale richiede una politica urbanistica finalizzata alla ricompattazione urbana ed interventi di sostegno alle attività agricole e del tempo libero.

La coerenza dei nuovi interventi (residenziali e non) nei contesti preesistenti può essere assicurata da una programmazione urbanistica di livello intermedio, partecipata, affidata ai municipi ed estesa ai territori degli stessi.

Occorre accentuare la differente caratterizzazione delle centralità, tra quelle urbane con funzione di aggregazione dei municipi e dei territori locali e quelle metropolitane. Queste ultime sono da attivare solo dopo aver assicurato l’effettiva possibilità d’impianto o trasferimento di funzioni di eccellenza e servizi di alto livello e rappresentanza (ministeri, università, centri di ricerca, ecc.), in condizioni di accessibilità garantite.

Soprattutto due temi di carattere generale richiedono una più esplicita definizione. Il primo riguarda le regole generali della negoziazione nel rapporto pubblico-privato. È necessario recuperare al pubblico, con regole certe, una quota più elevata dell’incremento di valore indotto dalle previsioni di piano, in modo da coprire non solo costi e dotazioni di servizi, verde ed infrastrutture interne all’intervento ma anche una quota parte di quelli indirettamente indotti nei contesti di margine e sull’intera città.

Il secondo riguarda l’assenza di una visione metropolitana.

La città non può essere organizzata in modo isolato rispetto al suo territorio, né amministrata in modo autonomo rispetto alla provincia metropolitana. Né questo rapporto può essere inteso come conquista di territorio da parte di Roma. Va riproposto il doppio policentrismo fra municipi urbani ricompattati e sistemi intercomunali o comuni metropolitani, componenti distinte di un sistema metropolitano integrato sotto il profilo funzionale, ambientale ed economico, linea recentemente ripresa dal nuovo piano territoriale della provincia.

Si tratta di promuovere un processo di crescita culturale che, prima di sperimentare nuove soluzioni istituzionali, va praticato attraverso tavoli di copianificazione e consuetudine alla collaborazione tra enti locali e tra livelli istituzionali nella nuova dimensione della provincia metropolitana.

Infine "la riflessione" non può che investire anche il processo di rinnovamento che è indispensabile aprire nel Pd Romano, a partire dai problemi di fondo della città, dalle sue problematicità, e da quanto queste possono aver inciso soprattutto sul disagio dei cittadini delle periferie, e conseguentemente sul recente risultato per l’elezione del Sindaco di Roma.

Se è vero che occorre non fermarci e "guardare avanti", è pur vero che occorre dispiegare il massimo dell’impegno nel promuovere nuovi e competenti dirigenti, così come è giunto il momento di collocare questo dibattito guardando alla costituzione della provincia metropolitana ed alla soggettività delle future municipalità che segneranno per Roma il vero punto di forza istituzionale democratico dal quale ripartire.

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