Un vero romanzone, un pozzo nero della Repubblica. Si potrebbe definire così il libro di Aldo Giannuli, Il Noto servizio. Giulio Andreotti e il caso Moro (Marco Tropea editore, pagine 445, 18). Una catena di nequizie conosciute e ignote, dalla guerra mondiale al sequestro Moro, fa da guida alla ricerca costata al suo autore quindici anni di lavoro. Giannuli sostiene di aver voluto scrivere solo un libro di storia, non una spy story. Solo che le vicende narrate, i nomi dei personaggi, l'equivoco mondo dei servizi segreti, i misteriosi burattinai fanno del libro, bulimico, sovrabbondante, un'opera che prende il lettore come un giallo. Ecco qui gli scheletri nascosti negli armadi, si potrebbe dire.
Aldo Giannuli insegna Storia del mondo contemporaneo all'Università Statale di Milano, conosce nel profondo gli intrighi sanguinosi delle trame eversive e delle stragi — è stato consulente di quella commissione parlamentare — ed è noto per lo scoop dell'«archivio della via Appia», del 1996; quando scoprì un gran numero di documenti abbandonati dell'Ufficio affari riservati del Ministero dell'Interno.
Ora ha dato dignità scientifica a un'altra scoperta, quella di un'organizzazione spionistica fuorilegge che ha operato in Italia dalla Seconda guerra mondiale agli anni Ottanta: il Noto servizio, conosciuto anche come Anello.
Il libro parte da lontano. Addirittura dal generale Mario Roatta, a capo del Sim, il Servizio segreto militare, dal 1934 al 1939, a capo dei legionari fascisti in Spagna, indiziato per l'assassinio dei fratelli Rosselli, comandante, in Croazia, nel 1942, della Seconda Armata, che si macchiò di ignobili e delittuose repressioni. Restò sempre a galla, Roatta, e fu lui, nel dopoguerra, a dar vita all'organizzazione clandestina del Noto servizio. La sede principale era nel centro di Milano, in un palazzone liberty, tra via Statuto e via Lovanio. Fu un ufficiale polacco, Solomom Hotimsky, dell'armata del generale Anders, a guidare in un primo tempo il servizio. Agganciato ai carabinieri della divisione di via Moscova, gli stessi che decenni dopo saranno tra i protagonisti di azioni poco commendevoli della P2, il Noto servizio era legato ai servizi militari italiani e americani e alla Confindustria. Il suo compito era di spionaggio e provocazione nei confronti del Pci, delle organizzazioni di sinistra e del sindacato; il golpe militar-fascista era il miraggio non raggiunto, anche se messo in cantiere. Gli strumenti adoperati con spregiudicatezza andarono dai sequestri di persona ai traffici di droga e di armi ai delitti mascherati da falsi incidenti. I rapporti con i poteri criminali, la mafia, soprattutto, furono costanti. Fecero parte del Noto servizio non pochi naufraghi della repubblica di Salò.
Aldo Giannuli ha consultato tutti i possibili archivi, ha studiato migliaia di documenti, ha scovato note riservate, appunti confidenziali, verbali, rapporti, memoriali, ha scritto una cinquantina di relazioni per la magistratura. Il libro — manca un indispensabile indice dei nomi — è prezioso per capire quel che accadde nella politica e nella società italiana nel secondo Novecento. Un ritratto della mala Italia. Una miniera, anche se la carne al fuoco è sinceramente troppa.
Perché Andreotti è protagonista persino nel titolo del libro? «Il Noto servizio — scrive Giannuli — fu uno degli strumenti della sua azione politica». Grande tattico, poco sensibile ai disegni strategici, Andreotti suggerisce al professore l'immagine centrale del cavallo nel gioco degli scacchi. (La sentenza che lo condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso, di cui è stato ritenuto responsabile fino al 1980, anche se prescritta, convalidata dalla Cassazione, dovrebbe essere più che sufficiente, in un paese normale, per bollare un uomo politico che è stato sette volte presidente del Consiglio).
Il Noto sevizio ebbe rapporti con Pace e libertà di Edgardo Sogno, con Luigi Cavallo, «il provocatore» al servizio della Fiat, con Ordine Nuovo, il Mar di Carlo Fumagalli, persino con Liggio. Tra i suoi adepti, ben pagati, ebbe giornalisti, avventurieri, doppiogiochisti, estremisti, Giorgio Pisanò, esponente del neofascismo più esagitato, padre Zucca, il francescano fascista che nel 1946 nascose nel suo convento la salma di Mussolini trafugata a Musocco.
Furono caldi gli anni dopo la strage di piazza Fontana del 1969. Nel dicembre del 1970 il principe Borghese tentò un golpe, bloccato all'ultimo momento. Di Gladio si saprà soltanto nel 1990, quando Andreotti ne rivelerà l'esistenza. L'assassinio del commissario Calabresi fu un'altra tragedia, come l'attentato sanguinoso alla Questura di Milano, destinato a uccidere Rumor, e qui Giannuli è debole nel rappresentare la figura dell'attentatore, il finto anarchico Bertoli. E poi la Lockheed e la catena di stragi.
Dopo le elezioni del 1976 nasce, tra Dc e Pci, il governo di solidarietà nazionale. Il Noto servizio è più che mai sul chi vive. Le Br sono all'offensiva. I servizi segreti ufficiali lasciano fare, scrive Giannuli. Moretti, scrive anche, era un personaggio discutibile, Senzani il più impresentabile.
Sul sequestro Moro, minuziosamente ricostruito, Giannuli dà grande importanza al ruolo di Steve Pieczenik, l'esperto del Dipartimento di Stato americano inviato in Italia per collaborare con l'unità di crisi del Viminale. Vent'anni dopo, Pieczenik dichiara in un libro-intervista che la sua missione era stata coronata dal pieno successo: la morte di Moro, secondo lui (e chissà chi), aveva infatti scongiurato il crollo del sistema politico italiano.
A Giannuli, che accenna appena al ruolo di Cossiga e trascura la singolarità che appartenessero alla P2 tutti o quasi i consulenti del comitato di crisi, sono rimasti sul gozzo soprattutto due interrogativi: «Perché furono distrutti dalle Br i manoscritti originali di Moro?». E poi: perché nulla di quanto disse Moro fu «reso noto al popolo», come avevano più volte promesso i comunicati delle Br?