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Il PIT toscano. Strumento efficace per il governo del territorio o manuale di buoni consigli?
29 Dicembre 2006
Toscana
Non hanno dubbi in proposito gli esperti di Italia Nostra toscana (Ivano Leonardi, Roberto Mannocci, Guido Orlandini e Valentino Podestà), nel loro documento di critica serrata, trasmesso il 29 dicembre 2006

Contributo a seguito del Convegno di Italia Nostra

“Dopo Monticchiello, paesaggio toscano da salvare: ripensare il governo del territorio - Firenze, 09.12.2006

Il nuovo PIT : un efficace strumento per il governo del territorio toscano, oppure un manuale di buoni consigli?”

A seguito del Convegno di cui all’oggetto e che ha visto una così ampia partecipazione di esperti e di pubblico, il Consiglio Regionale di Italia Nostra desidera trasmettere ufficialmente le proprie considerazioni e il proprio parere per rendere più efficace la disciplina del governo del territorio e la tutela dei valori paesaggistici, anche in riferimento alle bozze del nuovo PIT che la Giunta sta elaborando e che sono al momento consultabili.

Sul progetto di “Super 5” (divenuta poi LR1/2005 “Norme per il governo del territorio”) Italia Nostra organizzò a Firenze il 4 dicembre 2004 un convegno di studio con la partecipazione di esperti delle scienze del territorio e dell’assessore Riccardo Conti. Nel corso di quel convegno e nei giorni successivi, attraverso scambi con gli uffici regionali preposti, furono evidenziati oltre ad un insieme di aspetti positivi della legge - soprattutto se paragonata ad altre leggi regionali assolutamente devianti rispetto alla titolarità pubblica della pianificazione (come ad esempio la legge lombarda) - anche altri aspetti sicuramente non secondari che Italia Nostra non condivideva e rispetto ai quali furono avanzate precise osservazioni e proposte di varianti specifiche all’articolato.

Queste riserve e proposte riguardavano (e riguardano ancor oggi) da un lato le competenze di Regione, Province e Comuni, con la rinuncia a precisi compiti e poteri di coordinamento e controllo da parte della Regione, a nostro parere con uno sbilancamento eccessivo verso le autonomie locali, e dall’altro lato la richiesta di una più rigorosa ed efficace disciplina del territorio agricolo che tanto peso ha nel paesaggio toscano. Pochissime e solo marginali sono state le nostre richieste accolte poi dalla Regione nel testo definitivo approvato di questa legge.

E’ da rilevare che il modello di governo territoriale proposto dalla L.R. 1/2005 è stato oggetto, per quanto attiene la disciplina e la gestione dei beni paesaggistici, di rilievi da parte della Corte Costituzionale che con la propria sentenza n° 182 del 20 aprile-5 maggio 2006 ha dichiarato la illegittimità costituzionale di due disposizioni contenute nella L.R .n° 1/2005 (comma 3 dell’art:32 e comma 3 dell’art:34) in quanto in contrasto con il ’Codice dei beni culturali e del paesaggio’ (Dlgs 42/2004)….e questo confermando in qualche modo la giustezza di quelle nostre osservazioni.

La Corte ha sostenuto, infatti, che la disposizione legislativa regionale – il riferimento è al terzo comma dell’art. 34 della LR n° 1/2005 – sottrae “la disciplina paesaggistica dal contenuto del piano, sia esso tipicamente paesaggistico, o anche urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, che deve essere unitario, globale, e quindi regionale, al quale deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori”.

Inoltre la Corte ha argomentato che l’art.135 del “Codice” è “tassativo, relativamente al piano paesaggistico, nell’affidarne la competenza alla Regione”, che il successivo articolo 143 elenca dettagliatamente i contenuti dello stesso piano e che l’articolo 145 definisce i rapporti con gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province “ secondo un modello rigidamente gerarchico ( immediata prevalenza del primo, obbligo di adeguamento dei secondi con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative che risultino utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori individuati dai piani )”.

Infine la Corte ha concluso che la legislazione regionale non può porsi “in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela non derogabile”.

Il nuovo PIT è figlio della LR 1/2005 e per questo lascia ancora irrisolti la precisa argomentazione della Corte Costituzionale e l’adeguamento alle norme del Codice della L.R. stessa.

Anche rispetto a questo strumento applicativo della pianificazione territoriale (ancora in bozza) una valutazione intellettualmente onesta deve considerare la complessità e la contraddittorietà della proposta.

Se lo consideriamo dal punto di vista strettamente disciplinare e accademico, il PIT (ultima formulazione finora conosciuta è quella del 15 dicembre 2006) si presenta, nel suo complesso, dal Quadro Conoscitivo, al Documento di Piano, alla parte normativa, assai ricco, stimolante, culturalmente aggiornato: basta scorrere gli indici ed esaminare l’articolato per rendersi conto della impostazione interdisciplinare delle argomentazioni. Di questo dobbiamo dare atto e tenere conto.

Diversa è la valutazione del PIT se lo si considera dal punto di vista dell’efficacia e dell’incidenza concreta nella pianificazione e nel governo del territorio regionale, sotto il profilo della salvaguardia attiva e di un coerente sviluppo realmente sostenibile.

Innanzitutto e per evitare equivoci, ribadiamo subito che il nuovo PIT (nella bozza attuale) non presenta i contenuti di piano paesaggistico prescritti al capo III, art. 143 e seguenti del DLGS 42/2004 "Codice dei beni culturali e del paesaggio" .

Il “giallo” dell’art. 31 (bozza del 15 dicembre 2006) appare irrisolto: il piano paesaggistico, che secondo lo stesso articolo sarebbe stato già elaborato congiuntamente da Regione, Ministero dei Beni Culturali, Ministero dell’Ambiente, si presenta all’improvviso come un fantasma e come tale subito si dilegua. Rileviamo inoltre che la formazione del piano paesaggistico non è in alcun modo richiamata in altri elaborati del PIT; in particolare il piano paesaggistico non è ricompreso nella tabella che indica i piani e i programmi regionali da attivare.

A ribadire questo indirizzo, la disciplina del PIT si limita a stabilire che la Regione provvede alla implementazione progressiva della disciplina paesaggistica anche attraverso accordi di pianificazione con le Amministrazioni interessate e mediante la successiva acquisizione delle determinazioni dei Ministeri per i BB. CC. e dell’Ambiente.

Altra cosa quindi rispetto all’intesa di cui all’art. 143 del “Codice del paesaggio” che richiede che, in tale intesa, sia “stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano (paesaggistico).

Così operando la Regione Toscana testimonia di voler continuare ad operare all’interno del proprio indirizzo di lavoro che è stato attivato per dare attuazione alla Legge Galasso: quello di non procedere alla formazione di una specifica disciplina per il paesaggio!

Ma così operando…. la Regione Toscana non soddisfa un preciso obbligo di legge.

A oltre due anni dall’entrata in vigore del “Codice Urbani” si è forse persa un’occasione per integrare organicamente lo strumento di pianificazione territoriale con il piano paesaggistico. Questa mancata integrazione pone ancora una volta problemi di efficacia rispetto ai contenuti dei due strumenti, ai tempi e ai modi di attuazione.

Nel PIT viene consolidata, anzi esaltata, la pratica toscana della collaborazione pattizia tra Regione ed Enti Locali che si manifesta nella paziente ricerca della convergenza verso comuni obiettivi. Anche l’interesse regionale – comprensivo di quello in materia di paesaggio – è esercitato nel quadro di questa cooperazione limitandosi ad essere un momento della filiera delle responsabilità inter-istituzionali.

Eppure questo modello ha mostrato segni evidenti di mancata efficacia nel governare, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, le trasformazioni urbanistiche e territoriali; in particolare quelle che vengono ad interessare aree paesaggisticamente rilevanti quali sono quelle agricole che connotano significativamente l’identità della Toscana.

Questo è implicitamente riconosciuto dal “Documento di Piano”, dove trattando del patrimonio collinare ( ma non solo, anche delle realtà rurali di pianura e di valle) segnala che questo patrimonio, oggi, è a forte rischio di erosione in quanto assistiamo ad una pervicace e diffusa aggressione di questi territori da parte della rendita immobiliare che agisce indifferente ai luoghi alterando così le caratteristiche strutturali dei luoghi stessi.

A questa corretta analisi non corrisponde nel PIT l’individuazione di scelte conseguenti che abbiano efficacia nella riduzione del rischio. Sostanzialmente ci si limita a dare buoni consigli, ad esortare l’adozione di linee di intervento più attente alle specificità dei luoghi….e ad auspicare che, dove necessario, gli strumenti di governo del territorio (e cioè Piani Strutturali e Regolamenti Urbanistici comunali e, per quanto di competenza, i PTC provinciali) ridefiniscano, in coerenza con l’indirizzo regionale, le proprie acquisite opzioni pianificatorie.

In questo auspicio c’è il rischio, reale, che il nuovo PIT si riveli del tutto ininfluente a modificare – sia nelle quantità che nelle localizzazioni – le previsioni contenute negli strumenti di governo del territorio vigenti.

Non solo, ma questa ininfluenza si manifesta anche sulla formazione dei Regolamenti Urbanistici comunali da definirsi in attuazione di Piani Strutturali vigenti e sulle molteplici varianti ad essi.

Tornando allo specifico del nuovo PIT ed esaminando il “Documento di Piano” si riscontra una concezione del territorio e del paesaggio molto letteraria e poco “materiale”, una sorta di lunga premessa al Piano caratterizzata però da un taglio sostanzialmente economicistico, quasi espressione di una volontà di modernismo a tutti i costi.

Con la “rappresentazione del patrimonio comune”, con le “agenzie statutarie”, con lo “statuto del territorio toscano”, con una “agenda programmatica”, con le “scelte di indirizzo, condizioni, strumenti e procedure, metaobiettivi”, in sostanza con un insieme formalmente articolato, elegante, di buoni consigli….. riteniamo non sia possibile governare efficacemente il territorio, né a livello regionale, né a livello provinciale, né a livello comunale. Il governo viene lasciato sostanzialmente alla “capacità politica” dei politici-amministratori ai vari livelli istituzionali. E’ immaginabile la forza che potranno avere i “buoni consigli” di fronte al potere economico grande e piccolo: dalla SAT dell’autostrada tirrenica, alla Fondiaria della piana fiorentina, al piccolo speculatore immobiliare di paese?

Nel PIT non si riscontrano, anzi si rifiutano nettamente, le definizioni di quantità, di localizzazioni, di perimetrazioni, definite un po’ sprezzantemente “zonizzazioni” e sostituite da “sistemi territoriali funzionali”. Il concetto di “sistema territoriale funzionale” ben esprime la complessità dei diversi ambiti, ma la pianificazione e il governo del territorio rischiano di diventare concetti evanescenti di fronte alla pressione dei poteri forti.

Innovazione, sussidiarietà e autonomie locali, patto fra i diversi livelli di governo, governance, costituiscono concetti e lessico che percorrono tutto il documento.

Perfino la definizione di “obiettivi del piano” sembra essere troppo “vincolante”, pertanto vengono indicati “metaobiettivi” con l’evidente scopo di proporre un piano non rigido, duttile, elastico, che non “ingessi” il territorio, per usare un’espressione cara ai settori economico-politici che aborrono i “lacci e lacciuoli” di una politica di programmazione-pianificazione. Dove va a finire quel “senso del limite” giustamente affermato e conclamato?

Rispetto poi alle misure di salvaguardia che dovrebbero scattare all’approvazione del PIT, consideriamo che, nella definizione dei regolamenti urbanistici in attuazione dei piani strutturali vigenti, è facoltativa l’applicazione delle disposizioni contenute nel PIT e comunque è lasciata alla singola Amministrazione comunale la verifica della congruità delle proprie previsioni alle prescrizioni del PIT.

Nella normativa del PIT emerge una concezione che vede il territorio e il paesaggio essenzialmente come fattori costitutivi del sistema economico: il territorio inteso come patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale è presente, ma sembra essere quasi un corollario del sistema economico.

E le aree economicamente deboli e in cui scarsa è l’attività edilizia sono trascurate dal documento regionale: si consideri che nella struttura del territorio toscano non è compresa la montagna che presenta proprie peculiarità sociali, territoriali e paesaggistiche e pertanto non può essere ricondotta all’interno della schematica dizione del lemma di “universo rurale della Toscana”. Si consideri il significativo ruolo che hanno le Alpi Apuane, la Dorsale Appenninica e l’Amiata nel connotare l’identità toscana e che in questo contesto sono localizzati due Parchi nazionali (Appennino Tosco-Emiliano e delle Foreste Casentinesi) e uno regionale (Alpi Apuane).

La “moderna Toscana rurale” che costituisce il corpo del paesaggio e dell’ambiente toscano sembra essere un mero complemento delle “città della toscana”.

Le “invarianti strutturali” sono indicate e descritte in una elencazione che ne evidenzia tanto la complessità quanto il rifiuto di scelte definite, quindi emerge la difficoltà di gestione concreta e vincolante da parte della pubblica amministrazione.

Un esempio: fra le invarianti strutturali rientrano anche i siti UNESCO e le ANPIL. Il “caso Monticchiello” e le decine di altre “villettopoli” ed “ecomostri” che sono diventati concreti anche se sorgevano in territori indicati come invarianti strutturali. Se poi si considera che il territorio attorno al centro storico di Monticchiello, e tanti altri, è anche collinare ..... e le colline sono anch’esse indicate nel PIT come “’invarianti strutturali”, allora qualcosa non torna in tutta questa catena di riconoscimenti di valore, di tutele e di controlli.

Altro esempio: le risorse del territorio rurale come possono essere definite anch’esse fra le “invarianti strutturali” a fronte delle devastazioni del territorio rurale maremmano da Grosseto a Civitavecchia che sarebbero prodotte dall’autostrada tirrenica voluta dalla Regione Toscana? E, sempre rispetto allo stesso esempio, come la mettiamo con quanto indicato all’art. 56.9 “la realizzazione di nuove infrastrutture è consentita quando le alternative di utilizzo o riorganizzazione non siano sufficienti e previa valutazione integrata degli effetti”? Dove sono la valutazione integrata e l’analisi costi-benefici applicate ai progetti presentati a partire dal 2000: il progetto ANAS di messa in sicurezza dell’Aurelia e quello autostradale proposto dalla SAT?

Si rileva che nella ‘bozza’ di PIT non si riscontrano né azioni, né efficaci disposizioni, né l’individuazione di strumenti e/o di procedimenti finalizzati a contrastare – al di là delle belle parole– la crescita edilizia diffusa e dispersa nei mille rivoli che portano alla rozza occupazione di significativi paesaggi toscani.

Questo in particolare si manifesta per quegli ambiti dove il fenomeno della diffusione urbana e della dispersione insediativa si manifesta con maggiore intensità: nel sistema policentrico della Toscana ( Firenze-Prato-Pistoia-Lucca e Firenze-Empoli-Pontedera-Pisa) e nel sistema della costa nelle sue diverse articolazioni.

Manca una chiara, precisa ed esplicita scelta che persegua la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali proprie di questi vasti territori. Si ritiene che la disciplina del PIT debba contenere una precisa ed efficace disposizione – che produca effetti anche in regime di salvaguardia – che esplicitamente richieda, per questi territori, l’individuazione delle discontinuità di valenza territoriale e di quelle insediative e una disciplina volta al loro mantenimento al fine di garantire la qualità ambientale dei contesti considerati.

A seguito di quanto sopra premesso e descritto, con questa nota siamo ad osservare e richiedere:

Che la normativa regionale in materia paesaggistica e del territorio e in particolare la L.R. 1/2005 (assieme alla strumentazione conseguente e in particolare la L.R. 26/2006) sia integralmente e legittimamente adeguata a quanto prescrive il Codice del Beni Culturali e del Paesaggio (D. lgs. 42/2004 e succ. modifiche) sia per quanto concerne la sub-delega ai Comuni che l’aspetto particolare della composizione delle Commissioni di Programmazione e quelle di Controllo (v. allegato 1);

Che la scelta regionale di inserire il Piano Paesaggistico all’interno dello strumento del PIT non debba avvenire a scapito della cogenza, dell’efficacia e della dettagliata normazione della tutela paesaggistica perché, come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata “il paesaggio va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali”;

che la ‘bozza’ di PIT manca dei contenuti e, soprattutto, delle efficacie che il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” richiede alla disciplina paesaggistica regionale comunque questa venga denominata; pertanto la disciplina paesaggistica del PIT al momento conosciuta potrebbe correttamente configurarsi come documento contenente le ‘linee guida’ regionali per poi procedere alla elaborazione del piano paesaggistico (comunque lo si voglia denominare) attraverso le collaborazioni e le intese di cui all’art. 143, comma 3, del Dlgs 42/2004. Ma questo dovrebbe essere esplicitato con chiarezza nel documento.

che il PIT dovrà contenere una precisa disposizione che con chiarezza garantisca la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali del sistema policentrico della Toscana centrale e del sistema della costa anche attraverso il mantenimento delle discontinuità territoriali ed insediative presenti in questi contesti.

che il PIT dovrà contenere reali misure di salvaguardia attraverso prescrizioni aventi diretta efficacia oltre che per la realizzazione di interventi puntuali anche sulla formazione sia degli strumenti urbanistici attuativi che dei Regolamenti Urbanistici da definirsi in attuazione di Piani Strutturali adottati precedentemete all’entrata in vigore della nuova disciplina. L’accertamento comunale della verifica di coerenza con le direttive e le prescrizioni del PIT dovrebbe essere equiparato, in regime di salvaguardia, agli atti urbanistici e come tale da sottoporre a pubblicazione e poter essere oggetto di osservazioni.

si ritiene che il PIT non debba introdurre “meccanismi perequativi” alla scala territoriale e alla qualità del paesaggio in quanto l’attivazione di questi meccanismi “che consentano il trasferimento delle sollecitazioni all’urbanizzazione in aree diverse da quelle di maggior pregio o di maggior fragilità ambientale” (come si esprime il ‘Documento di Piano’ nel trattare della conservazione attiva del valore del patrimonio “collinare”) porta inevitabilmente a dover riconoscere tali ‘sollecitazioni’ (immobiliari) e a dare ad esse una qualche risposta. Così operando si rischia di vulnerare il principio fondamentale – in più occasioni richiamato dalla Corte Costituzionale – che i vincoli ambientali e paesaggistici non sono indennizzabili. Il PIT dovrebbe stabilire con chiarezza che il paesaggio costituisce un valore e una qualità non negoziabile.

che nella ‘bozza’ di PIT manca la montagna quale elemento fondante e strutturale del territorio e del paesaggio toscano

Si ritiene inoltre che quanto fino ad ora contenuto nella pur complessa articolazione del PIT (sia per quello che concerne il Documento di Piano, il variegato Quadro Conoscitivo e soprattutto la Disciplina di Piano) ci sembra ben lontano dai caratteri di una precisa normativa quale quella prescritta dal Codice .

Ribadiamo che la tutela paesaggistica non può essere gestita alla scala comunale, e che scempi come quelli, emblematici, di Monticchiello (ma in realtà sparsi in tutto il territorio regionale) sono il frutto di autorizzazioni comunali e delle Soprintendenze locali e che se vogliamo evitare per il futuro questi pessimi risultati è indispensabile e urgente una precisa e sovraordinata assunzione di responsabilità alla scala regionale.

In calce è scaricabile il testo completo di appendici. I documenti del Piano d’inquadramento territoriale della Regione Toscana sono scaricabili qui

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