LaRepubblica, 30 luglio 2015
Questo sta ripetendo ai pubblici ministeri di Palermo e ai poliziotti dello Sco un uomo che fino ad aprile era pure lui un trafficante di esseri umani, uno dei più esperti. Dopo essere stato arrestato, è diventato il primo pentito della tratta. Nuredin Wehabrebi Atta, nato ad Asmara, Eritrea, il 12 dicembre 1984. E questa è la sua verità: i soldi del signore dei trafficanti, Ermias Ghermay, sono nascosti nel cuore dell’Europa. L’Europa che per tanto tempo ha fatto finta di non vedere l’esodo. L’Europa che ancora discute sul da farsi.
Adesso, le parole di un uomo che racconta sottovoce di aver visto troppo orrore, troppo sangue, sono quasi un atto d’accusa contro l’Europa che non si è accorta, che non ha fermato i trafficanti. Dice Atta: «Dovete cercarli in Germania tutti i soldi che Ermias guadagna». Aggiunge: «Lui resta in Libia per gestire gli affari, che a Tripoli vengono spartiti fra quattro gruppi. Lì non lo prenderete, perché gode di protezioni nella polizia. Potete però cercare i suoi soldi, e dovete seguire la moglie, si chiama Mana Ibrahim ». Il pentito la segnala «nella zona di Francoforte, dopo essere stata a Stoccolma». E spiega il suo ruolo nell’organizzazione: «Raccoglie il denaro per conto del marito, attraverso il me- todo hawala ». Ovvero, quel sistema di trasferimento di denaro fondato sulle legge islamica tradizionale che prevede una rete di mediatori a cui consegnare il denaro. «Perché soltanto il 5 per cento dei 1.500 dollari richiesto per il viaggio viene pagato in contanti dai migranti - chiarisce Atta - il resto arriva ad Ermias attraverso hawala , dentro una rete di fiducia che si sviluppa estero su estero». Una rete attorno alla Germania, un’indicazione precisa che orienta le indagini e corregge le ipotesi fatte in questi mesi sui forzieri del superlatitante Ermias, ipotesi che parlavano di Svizzera e Israele.
Ma com’è costituita la rete finanziaria dei trafficanti? Per il pool coordinato dal procuratore Franco Lo Voi e dall’aggiunto Maurizio Scalia è diventata la chiave dell’indagine, la chiave per tentare di fermare o indebolire, almeno questo, i trafficanti di uomini. «Bisogna seguire i soldi, era il metodo del giudice Falcone», ha ribadito il pm Geri Ferrara nella sede dell’Aja di Eurojust, alla più grande riunione di coordinamento fra magistrati europei organizzata negli ultimi anni. Cinquanta partecipanti provenienti da otto paesi. E dopo la plenaria, a luglio, si sono susseguiti incontri bilaterali fra i pm di Palermo e i colleghi di Norvegia, Svezia, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Francia. Le rivelazioni di Atta e le indagini del servizio centrale operativo della polizia diretto da Renato Cortese sono già diventate spunto per tante altre inchieste in giro per l’Europa. Per stringere il cerchio attorno ai trafficanti.
Non è affatto facile. Chi ha ascoltato Atta dice però che i suoi verbali sono diventati molto di più di un documento giudiziario. Sono come i verbali dei primi pentiti di mafia, molto di più di un’elencazione di nomi e fatti. Sono la chiave per comprendere un fenomeno sconosciuto.
Ora, il cittadino straniero più protetto d’Italia fornisce agli inquirenti il nome di un amico di Ermias che collabora con la moglie. E spiega: «I fiduciari, quelli che movimentano il denaro, sono generalmente dei commercianti ». Un indizio per cercare di intercettare il flusso dei soldi in Germania. E un altro indizio ancora. «So pure che Ermias ha una società in Etiopia, che si occupa di vendere auto». Il tesoro dei trafficanti è ben protetto.
Anche Atta è stato in Germania. «Per un certo periodo i migranti mi contattavano a Roma, il numero gli veniva dato in Libia, e io li portavo in Nord Europa ». Prezzo del servizio, da 400 a 800 euro. «Ero io a decidere le modalità più sicure del viaggio. Bus, treno o auto». Atta andava spesso a Monaco, per quei viaggi prendeva il massimo della tariffa, che poi versava all’organizzazione. A lui restava uno stipendio, come fosse un normalissimo dipendente: «Mi davano 4000 euro al mese. E mi bastavano per vivere».