loader
menu
© 2024 Eddyburg
Nadia Urbinati
Il parlamento umiliato
5 Aprile 2013
Articoli del 2013
La lunga parabola e i numerosi autori della decadenza del massimo istituto della nostra democrazia. Chi darà l'ultimo colpo?

La lunga parabola e i numerosi autori della decadenza del massimo istituto della nostra democrazia. Chi darà l'ultimo colpo?

La Repubblica, 4 aprile 2013, con postilla

Il nostro Parlamento ha subito in questi ultimi decenni gravissime umiliazioni. Prima di tutto a causa della crisi dei partiti tradizionali che ha partorito il regime del partito padronale. Il Parlamento è stato usato da Berlusconi come la tappa finale, o premio, di un processo di selezione che con la rappresentanza politica aveva poco o nulla a che fare (non va dimenticato il criterio del favore sessuale usato dal Pdl e denunciato già nel 2008 da Sofia Ventura). Per anni le Camere hanno funzionato come megafono dell’esecutivo berlusconiano, un’eco di Palazzo Chigi. I partiti di opposizione, da parte loro, non sono riusciti a correggere questa immagine vile del Parlamento anche perché non hanno mai seriamente lottato per cambiare il sistema elettorale, la madre di tutte le viltà. Movimenti di opinione hanno per anni denunciato questa piaga che avvelena la più importante istituzione dello Stato democratico.

Ma il declino di legittimità morale del Parlamento ha anche avuto altri risvolti. Prima di tutto, la crescita inconcepibile della distanza tra rappresentanti e rappresentati: distanza negli stili di vita, nei privilegi, nel potere effettivo di muovere risorse e creare alleanze o fazioni. La “casta”, questo termine orrendo che è entrato in uso corrente nel nostro linguaggio ordinario, ha per anni reso l’idea di un Parlamento oligarchico che rappresentava non più i cittadini ma alcuni interessi particolari e alcuni cittadini in modo speciale. Il secondo risvolto è stato forse ancora più grave: il declino di credibilità del Parlamento come istituzione dalla quale dovrebbe scaturire una maggioranza legittima e la ricerca di altre strade che confidavano invece sulla capacità di singole persone più che sulle procedure.

Il primo segno di questo risvolto lo si è avuto con la soluzione della crisi del governo Berlusconi nel novembre 2011, quando al ritorno alle urne è stata preferita la nomina di un governo totalmente tecnico. Sembrò che gli elettori fossero incapaci di esprimere un’alternativa all’altezza dei bisogni del Paese. La crisi di legittimità del Parlamento porta fatalmente con sé la crisi della democrazia elettorale, poiché sembra che i cittadini stessi non siano capaci di esprimere ciò di cui il paese ha bisogno.

Il declino del Parlamento va dunque ben al di là dell’istituzione parlamentare e coinvolge i fondamenti, la cittadinanza elettorale. Il governo tecnico è stato istituito come strategia sostitutiva dei partiti e del processo politico attraverso il quale si formano ordinariamente le maggioranze. Nel corso del governo Monti, il Parlamento ha aggravato la sua posizione poiché non è stato emancipato dal suo ruolo di passività anche se per altre ragioni: perché occorrevano decisioni spedite e soprattutto “quelle decisioni”, non altre. Il Parlamento divenne una camera di ratifica con una maggioranza che si avvicinava all’unanimismo, un segno ulteriore di crisi del Parlamento che vive di divisione tra maggioranza e opposizione. La crisi di legittimità del Parlamento si è riflettuta infine nell’esito delle recenti elezioni. Queste hanno registrato il riconoscimento del M5S che si è affacciato sulla scena dell’opinione politica proprio attaccando la “casta” e, sull’onda di questa campagna martellante, ha cambiato faccia al Parlamento.

E neppure le nuove Camere sembrano essere capaci di acquistare autorità, se è vero che il primo round di consultazioni per formare il governo non ha avuto buon esito e che, in conseguenza di ciò, il presidente della Repubblica ha deciso di uscire dalla prassi consueta e di rivolgersi a dieci “saggi” di alcuni partiti per avere da loro lumi sul “che fare”. Il declino di fiducia nel Parlamento non poteva raggiungere un punto più basso. Se non che, come scriveva su questo giornale Barbara Spinelli, precedenti tentativi fatti in tal senso da altri paesi sono stati mediocri nei risultati e fallimentari. Questi fallimenti e lo scetticismo con il quale è stata accolta la scelta del presidente Napolitano sono un dato ulteriore che conferma la centralità del Parlamento, il quale deve e può essere messo nella condizione di cercare da sé quelle soluzioni che alcuni suoi rappresentanti non hanno “per ora” trovato – ma possono trovare. Mettere alla prova il Parlamento è la saggezza di cui c’è bisogno ora. C’è più che mai necessità di recuperare fiducia nella saggezza della democrazia, e questo recupero può passare solo attraverso il recupero di autorità delle Camere. Senza il recupero di autorità della rappresentanza eletta nessuna istituzione può reggere all’urto della crisi di fiducia nella politica democratica.

<a id="postilla" name="postilla"></a>
Postilla

Mentre scriveva questo ineccepibile articolo Urbinati non poteva sapere che la presidente della Camera dei deputati ha avanzato una proposta decisamente controcorrente rispetto al catastrofico trend di dissoluzione del Parlamento ricostruito nell’articolo: decidano i parlamentari di costituire una commissione per proporre una nuova legge elettorale, svolgendo nell’assemblea degli eletti il compito che Napolitano ha affidato ai “saggi”. Chi si tirerà indietro rivelerà il colore delle sue vere intenzioni.

ARTICOLI CORRELATI
29 Settembre 2014
30 Dicembre 2013
29 Dicembre 2013
24 Dicembre 2013

© 2024 Eddyburg