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Pippo Civati e Giulio Marcon
Il parlamento rimanga aperto e si discuta della concessione delle basi aeree per la Libia
4 Agosto 2016
Articoli del 2016
«Libia. Per quanto ci riguarda la posizione per noi è chiara ed è quella espressa dalla Rete Disarmo: no ad interventi militari e no alla concessione delle basi militari italiane per i raid
«Libia. Per quanto ci riguarda la posizione per noi è chiara ed è quella espressa dalla Rete Disarmo: no ad interventi militari e no alla concessione delle basi militari italiane per i raid». Il manifesto, 4 agosto 2016 (c.m.c.)

Ieri la ministra della difesa Roberta Pinotti – a un question time chiesto dal Pd – ha annunciato che l’Italia «è pronta a concedere l’uso delle basi e dello spazio aereo nazionale» per gli aerei americani o della coalizione anti-Isis chiamati a intervenire dal governo libico contro l’Isis. Gli americani hanno già iniziato a bombardare Sirte da due giorni e forse stanno già utilizzando le nostre basi.

Nell’intervento la ministra - per l’utilizzo delle basi - non ha fatto riferimento al bisogno di autorizzazione parlamentare poiché la risoluzione 2259 dell’Onu già concernerebbe questa possibilità. Senonché, ora siamo a un punto di pericolosa accelerazione con davanti a noi 30 giorni (e forse più) di bombardamenti americani e l’utilizzo delle nostre basi.

Non ce la si può cavare con un question time e una comunicazione della ministra alle commissioni esteri e difesa che ci sarà oggi. Il parlamento italiano ha il dovere di riunirsi anche nei prossimi giorni e votare sull’impegno del nostro paese in questa vicenda.

Siamo ad un punto di passaggio pericoloso. L’avvio dei raid americani può avere effetti disastrosi, accendendo la miccia di una escalation di cui è difficile prevedere l’esito. E c’è una questione più concreta e drammaticamente importante: quei raid (e sappiamo quanti morti innocenti hanno fatto i droni americani in Afganistan e in Iraq) mettono a repentaglio la vita di 7mila civili tenuti in ostaggio in una zona di Sirte da un migliaio di combattenti dell’Isis. I precedenti dovrebbero invitare alla massima cautela.

Non è la prima volta che in Libia si gioca una partita geopolitica assai complicata, con la Francia coinvolta in una guerra a sostegno di Khalifa Haftar che agisce in proprio, fuori dal controllo del governo centrale di Al-Sarraj. E proprio la risoluzione 2259 chiede ai paesi di evitare «il sostegno a istituzioni parallele».

Proprio quello che sta facendo la Francia con le milizie di Haftar: un elicottero francese pochi giorni fa è stato abbattuto (con tre soldati francesi morti) durante una di queste azioni «parallele». La partita geopolitica ha per oggetto il controllo di risorse ed aree di interesse: per la Francia l’obiettivo principale è la Cirenaica con i suoi pozzi petroliferi. L’Italia non ne sta uscendo bene. Un anno fa la ministra Pinotti ha ventilato l’ipotesi di mandare 5mila soldati in Libia, salvo fare marcia indietro qualche giorno dopo l’altolà di Renzi e della comunità internazionale.

Ora ci apprestiamo a dare le basi di Sigonella e Aviano per i raid senza aver valutato le conseguenze non solo per la Libia, ma anche per il nostro paese. Abbiamo lasciato campo libero a Francia e Usa che ci stanno portando su una china non proprio rassicurante. Più che una missione è un’omissione: il Parlamento viene tenuto all’oscuro. Domani dovrebbe chiudere i battenti, ma vanno riaperti subito per discutere di una avventura da valutare con la necessaria documentazione e con la massima trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica e dei cittadini.

Per quanto ci riguarda la posizione per noi è chiara ed è quella espressa dalla Rete Disarmo: no ad interventi militari e no alla concessione delle basi militari italiane per i raid. Va bloccato il traffico delle armi verso quell’area e va rilanciata l’idea della convocazione di una nuova conferenza internazionale di pace, capace di un negoziato vero con gli attori locali, al riparo degli interessi e dell’offensiva geopolitica dei paesi occidentali, della Russia e delle altre potenze regionali. Questo è quello che vorremmo dire in parlamento, che chiediamo di riunire al più presto. Perché se c’è la guerra, le istituzioni repubblicane non possono andare in ferie.

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