Corriere della Sera, 8 aprile 2013, postilla (f.b.)
CASERTA — Non si fa in tempo ad arrivare alla Reggia di Caserta: le indicazioni per il parcheggio sembrano fatte apposta per scoraggiare i turisti. Sono tutte sbagliate. Ti fanno girare in tondo. Ti fanno passare la voglia della visita. E, alla fine devono essere riuscite a farla passare davvero, perlomeno a giudicare dalle cifre: da 12 anni a questa parte la Reggia di Caserta perde ogni anno oltre 50 mila visitatori. Se riusciamo ad uscire dal parcheggio (dribblando le scale mobili rotte) non sarà difficile capire il motivo.
Benvenuti nella meraviglia Vanvitelliana. L'Unesco l'ha dichiarata patrimonio dell'Umanità nel 1997. E da quel momento la dimora che i Borboni vollero come il cuore del regno di Napoli ce l'ha messa tutta per perdere di prestigio e di credibilità. Ci siete mai stati dentro la Reggia di Caserta? Avete percorso per intero il vialone che attraversa il meraviglioso parco, costeggia le fontane, arriva a quello spettacolo mitologico che è la fontana di Diana e Atteone?
Giovedì scorso avreste visto una masnada di ragazzini tuffarsi in mezzo ai marmi di quel celebre gruppo scultoreo della fontana, come fossero stati in mare aperto. Si sono arrampicati sul Torrione, ovvero la parte terminale dell'acquedotto, e nessuno ha saputo come fermare quell'orda barbarica.
Nessuno, del resto, ogni giorno pensa che sarebbe il momento di arrestare il traffico delle automobili che sfilano lungo il viale tra le biciclette e le carrozzelle, e non sono certo soltanto le auto dei custodi, perché a giudicare dalla frequenza delle macchine che tagliano il parco, la Reggia sarebbe il luogo più controllato del mondo.
Non è un luogo controllato la Reggia, a dispetto della miriadi di uffici militari e di carabinieri che hanno occupato una parte del palazzo. Non lo è. E basta vedere la sequela di venditori abusivi che affollano il viale prima, e i cortili poi, e si infilano persino dentro le stanze degli appartamenti. Vendono guide taroccate e tarocchi della felicità, ombrelli, palloncini, biglietti per i ristoranti, persino numeri da giocare al lotto. Ormai fanno parte dell'arredamento.
Come, del resto, stanno diventando parte della Reggia quelle recinzioni in alluminio. Era il 5 ottobre scorso quando cadde dal cornicione un capitello, evitando miracolosamente i turisti. Una settimana prima era venuto giù un timpano. E da quel momento le recinzioni di alluminio sono state messe attorno alla facciata esterna, ma anche dentro tutti e quattro i cortili interni. Le impalcature per fare i lavori sono state montate da poco, cioè dopo quasi sette mesi dai crolli, e fino adesso sono servite soltanto a porsi un interrogativo: si sono arrampicati lungo quei tubi lì i ladri che sono saliti sul tetto a rubarsi il rame della gabbia di Faraday, ovvero il parafulmine della Reggia? Già, hanno rubato la gabbia di Faraday, senza che nessuno se ne accorgesse. Del resto i sistemi di allarmi sono precari da quando i fondi sono stati tagliati e alla Reggia deve essere difficile persino comprare la carta igienica, almeno a valutare dai bagni.
Benvenuti nella meraviglia Vanvitelliana dove c'è un gioiello chiamato Teatro della Corte, chiuso al pubblico da oltre dieci anni per problemi con le uscite di sicurezza, o forse per mancanza di personale, nessuno lo sa dire con precisione. Benvenuti alla Reggia. Tornando indietro dalla fontana di Diana e Atteone avrete visto la fontana di Venere e Adone e le dodici cascatelle ricoperte dai muschi e da parecchia immondizia. Vi sarete chiesti perché nel criptoparco dello spettacolare giardino all'inglese nessuno si sia mai occupato di pulire le statue divorate dalla muffa. Vorreste ricrearvi con la visione degli appartamenti e la bellezza in effetti non manca a filare per le Sale Reali e l'importante è non abbassare gli occhi a terra: i pavimenti sono sbeccati, distrutti, devastatati da enormi macchie rosse come quelle nella sala della Primavera, dell'Estate, dell'Autunno. E questo perché?
Perché nonostante il crollo, ci sono ancora una media di millecinquecento persone che ogni giorno vengono a visitare la Reggia di Caserta e i loro passi non fanno bene a pavimenti settecenteschi che un tempo erano protetti e i visitatori camminavano sopra le guide. Ma un giorno, una decina di anni fa, è arrivato un sovrintendente e ha detto: via tutte le guide. Nessuno ha più pensato di rimetterle.
Ascoltando qualche anno fa alla Scuola di Eddyburg di Asolo - altro luogo minacciato da analoghe prospettive distorte - l'intervento di Maria Carmela Caiola su Caserta, poi pubblicato su Spazio Pubblico, emergeva tra l'altro come in assenza di un approccio adeguato e contestuale, la Reggia finisse per svolgere ruoli che non le erano propri, diventando anche vittima di un eccesso di pressione dovuto all'assenza di altri spazi. Il racconto del Corriere ce ne segnala alcuni piccoli casi: certo esistono malcostume e disorganizzazione, ma c'è soprattutto un bene culturale che si trova a fungere da tutt'altro, e si logora irrimediabilmente nel farlo. Forse è davvero convinzione collettiva che, come diceva quel genio di Tremonti la cultura non si mangia, ed è ovvio che la si consideri così, fuori da un contesto in cui non riesce a “fare il suo mestiere” oberata da altri ruoli, come quello di unico sfogo per voglie di tempo libero, piccoli appetiti corporativi e simili. Solo all'interno di un'idea innovativa e organica di territorio, società, città e sviluppo, si possono contestualizzare e presumibilmente risolvere questioni del genere, e poi forse iniziare eventualmente a gridare contro malcostume e sprechi (f.b.)