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Il padrone della cultura
1 Giugno 2010
Beni culturali
Nella gestione dei fondi per gli enti culturali, alla scure si accoppia l’arbitrio. Come eddyburg aveva previsto. Negli articoli su Il Tirreno e il manifesto, 1° giugno 2010 (m.p.g.)

La lista nera di un banditore

Arianna Di Genova – il manifesto

Dopo aver finto di essere caduto dalle nuvole e aver recitato la parte dell'offeso con il suo stesso governo («mi hanno esautorato», si lamentava di fronte alla imponente lista di tagli che di fatto censurava ogni manifestazione culturale in Italia) ora il ministro Bondi gongola e ha ritrovato il sorriso. Di più, si lancia in sperticati elogi: «Ringrazio il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il ministro Tremonti e il dottor Gianni Letta per la sensibilità che hanno dimostrato», stralciando la black list di fondazioni e istituti.

Ha anche assicurato i suoi di non sentirsi per nulla arrabbiato e di essere pronto a mettersi «al lavoro come sempre, con l'assoluta convinzione della necessità e giustezza della manovra, coinvolgendo tutti i colleghi ministri, presidenti dei gruppi parlamentari e l'intero mondo della cultura su come e in che modo ridurre le spese inutili, salvaguardando le eccellenze...».

Questo il suo editto pauroso. Perché non è poi così vero che i tagli agli istituti di cultura e al pensiero libero tout court siano stati scongiurati o ridotti di importanza: la discrezionalità politica e ideologica non è preferibile al calderone caotico della lista. Il ministro, infatti, deciderà quali rami recidere, in base a motivazioni imperscrutabili e certamente non tarate su ragioni economiche. Bondi potrebbe disporre che i fondi non debbano più andare alla Casa Buonarroti perché magari ama più Raffaello che Michelangelo; oppure, che Galileo sia ormai desueto con quell'ossessione della terra rotonda che gira intorno al sole o ancora che la Magna Grecia sia da cancellare perché le generazioni future si «istruiranno» con l'iPad e non spolverando antichi reperti di civiltà sepolte.

In un teatrino politico alla ricerca del consenso acritico (le parole di Mariastella Gelmini sulla manovra sono illuminanti al riguardo: «le promesse di Berlusconi sono state tutte confermate. Tutela dei ceti deboli, senza tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola, ai centri di ricerca e al fondo per l'università...»), un paese colto, costituito di individui consapevoli e formati non è augurabile, è anzi fattore urticante. Assoggettare è una ricetta migliore. Così come l'editoria costretta a rimettere i suoi diritti nelle mani del governo di turno. E va ribadito che non è un'umiliazione per la cultura ricevere contributi e sostegni pubblici perché il suo campo magnetico non è esattamente il mercato, ma la ricerca, la libertà degli studi, la passione intellettuale. E un welfare serio non si sognerebbe mai di abbrutire un paese lasciandolo al palo, deprivato del futuro e a corto di cervelli (dopo averli istigati alla fuga). Per non toccare poi il tasto dell'occupazione in questo settore e dei livelli agghiaccianti di depauperamento e depressione raggiunti già oggi, con il progressivo dimagrimento (fino in alcuni casi alla sparizione) dei finanziamenti.

Non siamo di fronte a una manovra economica, ma a una farsa politica in cui l'arma di Tremonti è un silenziatore delle coscienze. Basta mettere in fila i termini del «confronto con la crisi»: editoria, scuola, ricerca, università, cultura. E come mai nelle voci «contabili» sono sparite le spese militari?

Un attacco alla storia e al patrimonio d’Italia

Il Tirreno

La scure del taglio dei contributi a enti culturali colpisce indirettamente anche Grosseto, almeno in un caso, che ci riguarda. Nella lista dei 232 c’è l’Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, cui l’Isgrec è associato e di cui da anni la direttrice è membro del consiglio di amministrazione. Oggi è annunciato lo stralcio di questo capitolo della finanziaria, per intervento del Presidente della Repubblica. Rimane la consapevolezza che la cultura può continuare a essere il luogo verso cui far convergere i primi tagli della spesa pubblica. Ricerca scientifica, università, scuola sono oggetto non di investimento sul futuro, ma di riduzione di un impegno statale, che la comparazione con l’Europa rivela tra i più bassi.

Abbiamo letto, nella lista: Domus Galileiana, Accademia Chigiana, Gabinetto Vieusseux... Una volta cancellata la regolare tabella in cui sono iscritti gli enti di rilievo nazionale sostenuti dal Ministero dei beni culturali, il 30% dei risparmi sarebbe stato distribuito a chi Premier e membri del Governo scegliessero di sostenere, a loro arbitrio. Non vi leggiamo, come qualcuno ha sostenuto, un sovrappiù di libertà, in quanto rinuncia della politica al controllo sulla cultura, inevitabile se la finanzia. È l’opposto: cancellazione di regole e cultura sotto tutela. Ma anche il segno di un processo di desertificazione della cultura, che asseconda - o produce? o è prodotto da? - un dilagare di modelli veicolati da un brutto mercato. L’Insmli, di cui siamo parte, conserva e gestisce un pezzo non piccolo di patrimonio dello Stato: archivi storici consegnati nel 1949 al suo fondatore, Ferruccio Parri. Analogamente, l’Isgrec nel suo territorio rende fruibili fondi archivistici di interesse collettivo. Quanto vale il patrimonio pubblico in beni culturali per chi ha pensato questi tagli? Non più del Comitato per la celebrazione del quarto centenario dalla morte di Alberico Gentili, che cadeva nel 2008! Non sappiamo prevedere, ora, il seguito di questa storia; niente ci autorizza ad essere ottimisti.

Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea

Su questa vicenda, l’opinione su eddyburg: Il colore della cultura

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