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Luigi Einaudi
Il padre dei fratelli Cervi
19 Aprile 2010
Altre persone
Un liberale. Non come quelli che adesso si chiamano così. Qui il suo colloquio, del marzo 1956, con un comunista della Resistenza, ripubblicato oggi (luglio 2004) in un librino che consiglio a tutti di comprare. Qui accanto la copertina; lo trovate in tutte le librerie

Il 17 gennaio 1954, in occasione delle onoranze nazionali ai sette fratelli Cervi fucilati a Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943 dai nazisti, il Presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale il vecchio padre Cervi, trattenendolo affettuosamente a colloquio.
Il testo che qui pubblichiamo è apparso su "Il Mondo" il 16 marzo 1954, ed è raccolto nel volume Il buongoverno di Luigi Einaudi, pubblicato dalla casa editrice Laterza che ringraziamo per la gentile concessione.

Einaudi

Entrano nello studio del presidente della repubblica il padre dei sette fratelli Cervi, fucilati dieci anni fa dai nemici degli uomini, il magistrato Peretti Griva, già presidente della corte di appello di Torino, l'on. Boldrini, medaglia d'oro della resistenza e Carlo Levi, scrittore e pittore, il quale reca l'originale del ritratto da lui dipinto dei sette fratelli.

Il padre, che porta sul petto le medaglie dei sette figli morti per la patria, ricorda al presidente di averlo già incontrato in Reggio Emilia. Il presidente aveva letto, in un articolo di Italo Calvino, che tra i libri dei sette fratelli, si noverano alcuni fascicoli della rivista "La Riforma Sociale", un tempo da lui diretta e poi soppressa dal regime fascistico e dice al padre della sua commozione per poter cosí pensare con orgoglio ad un suo rapporto spirituale coi martiri.

Il padre racconta:

- Sí, i miei figli leggevano molto, erano abbonati a riviste; e cercavano di imparare. Se leggevano qualcosa che pareva buono per la nostra terra, si sforzavano di fare come era scritto. Quando abbiamo preso il fondo in affitto, ed erano 53 biolche di 2.922 metri quadrati l'una (circa 15 ettari e mezzo), vedemmo sul terreno monticelli e buche. I figli avevano letto che se la terra sopravanzante sui monticelli fosse stata trasportata nelle buche, il terreno sarebbe stato livellato e sul terreno piano i raccolti sarebbero venuti meglio. Subito acquistarono vagoncini di quelli usati dai terrazzieri sulle strade e si diedero a levare la terra dai tratti alti e metterla nelle buche. 1 vicini passavano, guardavano e scuotevano la testa: "I Cervi sono usciti pazzi. Dove andrà l'acqua che ora finisce nelle buche? Quando tutto sarà piatto come un biliardo, l'acqua delle grandi piogge ristagnerà dappertutto e frumenti ed erbai intristiranno annegati". Ma i figli avevano dato al terreno, fatto piano, una leggerissima inclinazione; sicché quando le grandi piogge vennero e quando d'accordo con altri tre vicini, fittaioli di poderi appartenenti alla stessa famiglia del nostro padrone, facemmo un impianto per sollevare le acque ed irrigare a turno i terreni, dopo due ore la terra è irrigata ma di acqua non ce n'è piú. Coloro che avevano detto che i Cervi erano pazzi, ora riconoscono che noi eravamo i savi e tutti nei dintorni ci hanno imitato.

- Anch'io, osserva il presidente, quando un terzo di secolo fa smisi di fare i fossi in collina per le vigne e di riempirli di fascine e di letame, ed invece eseguii lo scasso totale, senza concimazione e misi le barbatelle, innestate su piede americano, in terra tali e quali, quasi alla superficie, dopo aver resecate le radicette a un centimetro di lunghezza, i vicini i quali dallo stradone provinciale osservavano quel brutto lavoro, scuotendo il capo se ne andavano: il professore è uscito matto e dovrà rifare il lavoro. Quando videro però che le viti venivano su piú belle di quelle dei fossati e del letame, ci ripensarono ed ora tutti fanno come avevano visto fare a me.



Il presidente: - Ed in quanti vivete su quelle 53 biolche?

Il padre: - Io, il nipote, le quattro vedove, e gli undici figli dei figli, in tutto diciassette. I figli prima ed ora noi abbiamo faticato assai. Abbiamo ricevuto dal padrone la casa e la terra; ed avevamo quattro vacche e pochi arnesi. A poco a poco i figli comprarono due trattori, uno grande per i grossi lavori ed uno piú piccolo per i lavori leggeri; abbiamo falciatrici, mietitrici, aratri ed ogni sorta di arnesi. Il fondo di fieno e mangime è tutto nostro. Nelle stalle vivono una cinquantina di vacche ed un bel toro. Il toro lo comprammo in Svizzera, ma viene dall'Olanda ed è originario americano. Col toro ci hanno dato le sue carte; ma noi siamo stati sicuri di lui solo quando abbiamo conosciuto la figlia sua e poi la figlia della figlia. A venderlo come carne, prenderemmo pochi soldi; ma, vivo, non lo dò via neppure se mi offrono un milione di lire. Questo - trattori, macchinari, fondo di vettovaglie, vacche, toro - è il "capitale" ed è nostro, di tutti noi".

- Anche del nipote?

- Il nipote non è figlio, ma è come lo fosse. Quando uscii dalla prigione e, tornato a casa, non trovai piú i figli e mi dissero che li avevano uccisi, vidi il nipote.

Le nuore: - È venuto per aiutarci, mentre eravamo sole.

- Dopo qualche giorno, poiché il nipote aveva dimostrato di essere un buon ragazzo, radunai le nuore e: "Bisogna stabilire le cose per il nipote. Lo teniamo come giornaliero? Avrà diritto alle otto ore, alle feste, al salario che gli spetta. Lo fissiamo come servo? Dovrà essere trattato come salariato ad anno e dovranno essergli riconosciuti il salario e gli altri diritti del salariato. Lo riconosciamo parente? Il trattamento sarà quello che gli spetta come parente. Che cosa ne dite voi?"

Le nuore: - Padre, quello che voi direte, per noi è ben detto. Voi dovete decidere.

Il padre: - No. Voi, nuore, rappresentate i figli uccisi ed i figli dei morti sono vostri figli. Voi dovete parlare.

Le nuore: - Noi non sappiamo parlare. Chi deve parlare siete voi, padre.

Il padre: - Siccome lo volete, il mio avviso è questo; ed ho detto quel che pensavo. Avete quattro giorni di tempo per pensarci. Adesso non dovete parlare. Quando i giorni saranno passati, ritornerete e direte il vostro pensiero.

- E le donne ritornarono al lavoro.

Il presidente, il magistrato, la medaglia d'oro e lo scrittore-pittore attoniti ascoltavano il padre. Questi parlava lentamente, scandendo le parole e ripetendole per fissarle bene nella testa degli ascoltatori. Era un contadino delle nostre contrade, un eroe di Omero od un patriarca della Bibbia? Forse un po' di tutto questo. Dagli arazzi napoletani del 1770, stesi sulle pareti dello studio, il pazzo don Chisciotte pareva ascoltasse la parola dell'uomo saggio.

- Prima che fossero trascorsi i giorni fissati, dopo soli due giorni, le donne tornarono al padre, dicendo: Abbiamo pensato e quel che è il vostro consiglio rispetto al nipote è anche il nostro.

Il padre: - Sapete voi se il nipote intenda rimanere con noi?

Le donne: - Sí, padre, noi lo sappiamo.

Il padre: - Ciò è bene; ma io non posso parlare al nipote prima di aver parlato al padre ed alla madre di lui. Il nipote non può uscire dalla sua famiglia ed entrare nella nostra se i suoi genitori ed i suoi fratelli non lo sanno e non sono contenti.

Non stavano in un paese molto lontano ed andai a parlare al padre del nipote, che era mio fratello. Fratello, dissi, il nipote tuo figlio ha detto di volere rimanere con noi.

Il fratello e la cognata: - Lo sapevamo. Il figlio l'aveva detto quando era partito di qui per andare ad aiutare le donne, a cui avevano uccisi i mariti. Noi siamo contenti.

- Se cosí è, il nipote entrerà nella nostra famiglia. E, tornato a casa, radunai le quattro buone donne e il nipote e dissi: Il fratello e la cognata sono contenti che il nipote rimanga con noi. Ed io dico: i sette figli sono stati uccisi e voi, donne, siete al loro luogo. Ma abbiamo bisogno di un uomo, che diriga le cose. Io sono vecchio e non posso piú fare come una volta. Il nipote starà insieme con noi e sarà come fosse un figlio. Quando io non ci sarò piú, il "capitale" sarà diviso in cinque parti uguali, fra le quattro nuore ed il nipote.

Cosí fu deciso e cosí si fa. Nella casa lavoriamo, ciascuno secondo le sue forze, in diciassette; ed il nipote sta a capo, lavora, compra e vende.

Lui e le donne chiedono sempre il mio consiglio ed io consiglio per il bene di tutti.

Poi i genitori del nipote ed i suoi fratelli vollero spartire quel che c'era in casa al momento che il nipote li aveva lasciati e diedero a lui la parte che gli spettava. Ed egli volle fosse data alla famiglia in cui era entrato. Ed io dissi: noi non l'avevamo chiesta. Ma tu la dai alla famiglia ed entrerà a far parte del "capitale". Diventerà proprietà comune; e come il resto sarà diviso in cinque parti.

Il presidente, il magistrato, la medaglia d'oro e lo scrittore-pittore guardavano al padre e vedevano in lui il patriarca il quale, all'ombra del sicomoro, dettava le norme sulla successione ereditaria nella famiglia. Assistevamo alla formazione della legge, quasi il codice civile non fosse ancora stato scritto.

Il presidente, rivolto allo scrittore-pittore, il quale conosce i contadini dei suoi paesi - e sono uguali ai contadini di tutta Italia - interrogò: forseché i sette fratelli si sarebbero sacrificati se non fossero stati un po' pazzi costruttori della loro terra e se il padre non fosse stato un savio creatore della legge buona per la sua famiglia? Si sarebbero fatti uccidere per il loro paese, se fossero stati di quelli che noi piemontesi diciamo della "lingera" e girano di terra in terra, senza fermarsi in nessun luogo?

Lo scrittore-pittore rispose: Credo di no; il magistrato e la medaglia d'oro consentirono. Ed il presidente chiuse: Credo anch'io di no e strinse la mano al padre ed a tutti.

Qui potete scaricare e leggere il libro di Renato Nicolai e Alcide Cervi, I miei sette figli

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