La Repubblica, 10 agosto 2014
CON la riforma costituzionale approvata ieri, anche il Senato italiano, come le Camere alte francesi tedesche e olandesi, diventa un organo ad elezione indiretta: non saranno più i cittadini ad eleggere i senatori ma saranno i consiglieri regionali e delle grandi città a nominare i loro rappresentanti a Palazzo Madama. Con questo passaggio il Senato si uniforma ad uno standard europeo nella sua composizione e modalità di elezione.
Va invece nella direzione opposta quanto alla nuova attribuzione di funzioni e poteri. In Francia, infatti, il Senato, anche in virtù di un processo di selezione che prevede una vera e propria elezione dei senatori da parte di collegi elettorali molto ampi, da un minimo di 227 elettorali ad un massimo di 720, ha conquistato maggiore incidenza nel processo legislativo. In Germania, la riforma costituzionale del 2006 ha ridefinito le funzioni tra le due camere al fine di evitare lo stallo provocato dalle diverse maggioranze, per risolvere il quale bisognava convocare un comitato di conciliazione: ha affidato più poteri ai Lander in modo che i loro rappresentanti in Senato non siano più sollecitati a fare ostruzionismo sulle norme federali che in qualche misura potrebbero investire le competenze dei Lander stessi. In sostanza, per lasciare al Bundestag più incisività nella sua azione legislativa sono state aumentate le sfere di autonomia e le capacità di intervento dei vari Lander. La maggiore efficienza decisionale è compensata da un approfondimento dell’impianto federale.
Se quindi mettiamo a confronto la nuova architettura istituzionale approvata (in prima lettura) ieri con le recenti evoluzioni in altri paesi europei, vediamo che la composizione e le funzioni del nuovo Senato portano entrambe ad incrementare l’accentramento e la verticalizzazione dei poteri nell’assemblea parlamentare nazionale. Le regioni hanno perso ambiti di intervento e Palazzo Madama non può più “interferire” nel processo legislativo oltre un certo limite. In tal modo il nostro sistema istituzionale diventa un unicum, in quanto l’esautoramento delle prerogative di un ramo del parlamento non è compensato da un ampliamento di poteri, vuoi di controllo o di iniziativa da parte di altri “poteri dello Stato”.
In questo quadro diventa quindi molto più importante di prima la ridefinizione della legge elettorale per la Camera dei deputati (il cosiddetto Italicum). È ben più rilevante perché, una volta sottratta ai cittadini la possibilità di eleggere i senatori, non si può ridurre la loro capacità di scelta anche per quanto riguarda i deputati. E le liste bloccate sono esattamente una coartazione di questa capacità. Il rimedio invocato da alcuni per ridare voce ai cittadini ed eliminare il “parlamento di nominati” consiste nel reintrodurre le preferenze. In realtà, la memoria corta degli italiani ha cancellato i guasti prodotti dalle preferenze per quarant’anni: corruzione e spese folli, frammentazione correntizia e clientelismo. Meglio evitare quel ritorno al passato.
L’unica, vera, alternativa virtuosa allo stato dei fatti (e degli accordi), e cioè l’uninominale, preferibilmente a doppio turno come in Francia, scardinerebbe l’impianto proporzionale e premiale della riforma. Ma Berlusconi non vuole. E allora, visto che l’altro giorno il patto del Nazareno è stato saldamente imbullonato, ci terremo un sistema elettorale in cui i cittadini non hanno piena potestà di scelta dei loro rappresentanti nemmeno per la Camera dei Deputati.
Questo è l’esito imprevisto e problematico della riforma del Senato: riducendo l’elezione diretta dei parlamentari ad una sola camera e lasciando ai partiti totale discrezionalità nella selezione dei candidati, senza introdurre regole vincolanti per tutti come, ad esempio, le primarie, la legittimità della classe politica viene ulteriormente intaccata. In tempi di antipolitica l’Italicum non è il sistema migliore che sipossa congegnare.