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Giorgio Fabre
Il neofascismo tecnico di un’archistar nazionale
6 Novembre 2010
Recensioni e segnalazioni
Una recensione a Daniela De Angelis, Luigi Moretti e i progetti di Galloro 1937-1942, Gangemi, e alcune riflessioni su inquietanti continuità. Alias/il manifesto, 6 novembre 2010 (f.b.)

Il verbale ha uno stile un po’ burocratico. Ma lascia intravvedere l’uomo colto e politicizzato. Forse anche spaventato. Per la precisione, è la trascrizione di un interrogatorio condotto da un ispettore di polizia nel carcere di S. Vittore il 28 maggio 1946. In uno dei punti cruciali, l’interrogato dice: «Fin dal 1943 io ed altri amici avevamo sviluppate alcune fondamentali idee politiche secondo le quali affermavamo essere necessario alla ricostituzione nazionale, una maggiore rivalutazione degli ambienti tecnici. In quell’epoca seguitavo ad occuparmi del mio lavoro professionale come consulente edilizio della cessata opera balilla. Iscritto al p.n.f. nel luglio del 1933, non ho avuto cariche di alcun genere. Nel novembre 1943 mi recai a Roma per incarichi professionali. All’avvicinarsi delle truppe Alleate, non avendo ancora liquidati alcuni compensi, mi recai al nord per liquidarli. Una frattura alla gamba mi immobilizzò e dovetti rimanere per oltre sei mesi all’Istituto Rizzoli a Bologna. Ancora degente, mi trasferii, verso il dicembre 1944, a Milano. Avvenuta la liberazione, ripresi le mie idee circa la costituzione di una corrente politica che poscia chiamammo “schieramento nazionale”, a carattere prevalentemente tecnico ed in merito avemmo a Milano molti aderenti».

Chi parla (o meglio, risponde all’ispettore) è Luigi Moretti: colui che, prima di Renzo Piano, è stata l’unica vera «archistar» internazionale che l’Italia abbia avuto. Un personaggio, com’è noto, complesso, capace di passare, quasi senza soluzione di continuità, da autentico, giovanissimo, «architetto del duce» (Foro Mussolini) ad architetto della Dc e del Vaticano. E non solo. Il testo che s’è visto, finora inedito, viene pubblicato in un libriccino senza pretese, curato da Daniela De Angelis, Luigi Moretti e i progetti di Galloro 1937-1942 ed edito da Gangemi (pp. 64, € 15,00). Uscito poco prima che aprisse la mega-mostra sull’architetto, in corso al Maxxi di Roma e all’Accademia di San Luca (con relativo mega-catalogo Electa, curato da Bruno Reichlin e Letizia Tedeschi), il libriccino è rimasto ignorato. Invece, senza dubbio, è il contributo più rilevante uscito in questo periodo, su questo talentuoso, complicato, discusso, cinico ma ancora misterioso personaggio.

Un contributo che chiude diversi problemi lasciati aperti da una biografia finora assai lacunosa, e forse non a caso (ancora, ogni tanto, dagli archivi di famiglia salta fuori qualche nuova carta). Insieme, getta qualche luce su quel fenomeno ben poco chiarito che fu il recupero dell’intellettualità fascista nell’Italia repubblicana. Aprendo però anche alcuni altri problemi e non piccoli. Moretti era entrato a San Vittore il 18 maggio 1946 e ci rimase fino al 19 giugno successivo. Così spiegano i documenti di polizia che De Angelis ha trovato all’Archivio centrale dello Stato (non tutti da lei pubblicati). Moretti rimase a San Vittore un mese e un giorno. E già questo è un dato nuovo. Era noto che Moretti era stato in carcere nel dopoguerra,ma non si sapeva esattamente per quanto tempo. Ed ecco il secondo dato: il motivo esatto dell’arresto. Moretti era il dirigente di un piccolo movimento politico che si preparava alle elezioni. Il nome era «Schieramento nazionale» e faceva parte della galassia neofascista fiorita nel dopoguerra, soprattutto a Milano. Lo scopo di questo movimento, ora sappiamo, sarebbe stato squisitamente «tecnico », come l’architetto s’affanna a spiegare nell’interrogatorio.

Forse quel termine «tecnico» si rifaceva al «partito dei produttori» di vetusta memoria fascista; o voleva dare dignità a gruppi intellettuali neofascisti che provavano a riemergere. Ma comunque impostava una tendenza che in futuro avrebbe avuto successo nell’estrema destra (si pensi al governo di «tecnici» di Sogno e Pacciardi). Come raccontano i documenti, era però anche una formazione infiltrata dalla polizia repubblicana. La quale procedette a un arresto in massa dei dirigenti dei movimenti neofascisti milanesi quando si rese conto che stavano per venire tutti ulteriormente infiltrati da forze neofasciste pericolose perché legate a elementi dell’esercito. Contro uno di questi, un tal Faccini, si scaglia anche Moretti nel suo interrogatorio. Passò poco più di un mese e la questura, ritenendoli poco pericolosi, decise di rilasciare molti degli arrestati, tra cui l’architetto. Ma, per cautela, continuò a monitorarli. E qui si apre il problema più rilevante. Uno dei rapporti della questura fornisce infatti altre notizie dell’architetto, sempre sottoposto ad «attenta vigilanza»: «non ha cessato, a quanto risulta, di svolgere una cauta attività politica, coerentemente agli ideali professati».

Il rapporto è del 23 novembre 1946. A quel punto, era già stata costituita la società Cofimprese, una finanziaria edile dove Moretti era associato col conte Adolfo Fossataro, personaggio poco noto e assai eclettico (nel 1953 produsse anche Viaggio in Italia di Rossellini). Entrambi erano neofascisti doc. Eppure, come ha raccontato Fossataro in un’intervista, di lì a pochissimo, nel 1947, riuscirono a ricevere dal Comune di Milano l’incredibile commessa per la costruzione di alcune «case albergo», la prima vera opera di ricostruzione a Milano: celebre tra tutte, e bellissima, quella di via Corridoni (si veda la mostra al Maxxi). Però la giunta era socialcomunista e l’assessore che appoggiò Fossataro e Moretti era il comunista Pietro Montagnani (per la verità Fossataro ha parlato di un Montagnana e Mario Montagnana era cognato di Togliatti).

Erano passati pochi mesi dall’arresto, pochissimo dal documento di questura che dichiarava che la futura archistar era ancora fascista e veniva tenuto d’occhio. Quelle case-albergo, finanziate con un’incredibile quantità di soldi, furono il trampolino di lancio per la nuova carriera di Moretti. Di lì a pochissimo tornò a lavorare a Roma e ingranò la sua ulteriore travolgente carriera all’ombra di grandi istituzioni di potere come la vaticana Società Generale Immobiliare.

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