loader
menu
© 2024 Eddyburg
Rossana Rossanda
Il muto richiamo di Euridice
11 Luglio 2006
Recensioni e segnalazioni
La bellissima recensione a un suggestivo svelamento del mito, nel libro di Claudio Magris: Lei dunque capirà (Garzanti) . Da il manifesto del 9 luglio 2006

Che farò senza Euridice? Dove andrò senza il mio bene? Il lamento dell'Orfeo di Gluck è di quelli che tutto il mondo conosce. E' dolore, ma addolcito dalla malinconia. Povero Orfeo. Perché diamine s'è voltato verso la sua amata mentre la portava fuori dall'Averno, perdendola per sempre? Di lui sappiamo molto: che era un grande poeta e musico, che non solo gli umani ma le fiere si immobilizzavano al sentirlo, incantate. Che amava tanto Euridice da convincere i crudelissimi dei a permettergli di andare laggiù, dove nessuno va e da dove nessuno ritorna, a riprendersela. E loro, che amano giocare sulle debolezze dei mortali, avevano finito con il dire: Sì, va, ma non voltarti a guardarla finché non sarete fuori dagli inferi, perché la perderesti. Lui si precipita nel profondo Averno, si avviano all'uscita, ma Orfeo non regge, si volta, le getta un solo sguardo. E la perde, stavolta per sempre.

E di Euridice che cosa sappiamo? Finora niente. Ce ne dà notizia una signora di mezza età e mezza condizione nell'ultimo romanzo di Claudio Magris: Lei dunque capirà (Garzanti, pp. 55, euro 9,50). Dice Lei, perché scrive al presidente della Casa di riposo in cui si trova. Gli si rivolge rispettosamente, perché lui non si fa mai vedere come si addice a una grande autorità, e lei nulla pretende. Nella Casa di Riposo si sta quieti, un po' noiosamente, un po' grigi, con poche parole e molte regole, ma la signora non si lamenta. Vuole solo spiegare la condotta dissennata del suo uomo, che è venuto a riprenderla, cosa raramente concessa e della quale al Presidente lei si assicura assai grata. E' pieno di fascino, è un geniale, piace moltissimo, ma è un po' debole, diciamo un po' immaturo, viziato, come sovente succede a chi ha successo. E' il suo uomo, proprio suo, lei gli ha insegnato tutto, anche come si fa l'amore sul serio, non soltanto sesso come si dice ora, e gli perdona tutto, anche certi suoi cedimenti alle squinzie che gli girano attorno, purché non le vengano sotto mano che cava loro gli occhi. E', la loro, una storia d'amore qualsiasi, forse un po' meno che borghese, dei nostri giorni senza smalto, ma è amore davvero. Lei lo sa. Lui scrive e compone, come gli gira, e lei sa anche dove sbaglia registro, dove cade - e non gliene fa passare una, e lui borbotta ma le è grato, sa che nessuno come lei conosce quanto, o a volte quanto poco, vale. E se ne va in giro per il mondo coperto di complimenti e allori, uno po' sciocco, fragile, insomma senza una gran spina dorsale, e torna sempre da lei, che di spina dorsale ne ha per due. E' tornato anche quando si è ammalata, molto ammalata, si sono abbracciati sino alla fine, quando lei ha dovuto ritirarsi nella Casa di Riposo, enorme e grigia. Lui ha fatto il diavolo a quattro per entrare, il regolamento è severo. Lei ha avuto il cuore traboccante di gioia: era proprio da lui ostinarsi in questa impresa, riuscirci, è venuto.

Ma poi s'è voltato. Per troppo amore, dunque per troppo poco, più amore per sé, per il suo trasporto, che per lei? No, signor Presidente, non è andata così. Era venuto a cercarla perché da lei voleva assolutamente sapere quel che lei solo poteva dirgli: quel che si sa soltanto quando si è nella Casa di Riposo, dall'altra parte. Chi ne è fuori, i vivi, pensano che chi ne è dentro, i morti, sappiano tutto - tutto quel che ai viventi sfugge. Lui lo vuol sapere, arde di saperlo, poi lo canterà. Sarà il primo, il solo. Orfeo. Per questo è venuto a cercarla, oltre che beninteso per amore. E lei, nel seguirlo verso l'uscita, se ne è resa conto, ha capito che appena fuori lui le domanderà: E allora, dimmi? E lei dovrà rispondergli: Niente, qui non si sa niente più di quel che si sappia fuori. Di là come di qua non si sa nulla. Ed egli ne sarà così tramortito da restare senza parole, senza speranza, senza voce... di là come di qui non si sa niente, mai! Non c'è niente da sapere? Non se ne darà ragione, quel suo debole uomo così amato, non troverà più parole né musica, non sarà più lui. Lei, questa verità non gliela può dire. E dunque, signor Presidente, sa perché s'è voltato? Perché io l'ho chiamato. Non se lo aspettava, s'è voltato e mi ha visto dolcemente sparire.

Così parla Euridice, rivendicando a sé anche quel suo voltarsi e perderla. Non poteva non voltarsi se lei lo avesse chiamato. E lei così ha fatto perché continuasse a essere Orfeo, a tradurre in musica quella domanda senza riposta, e riceverne onori e gioie. Finché rimaneva da questa parte.

Raramente è stata scritta una così assoluta elegia per una donna come ha fatto Magris in Lei dunque capirà. A una donna si può dovere tutto. Non è facile trovare questa confessione neanche negli autori che più amano una figura femminile. Perché devono riconoscerle una grandezza che il mito non dà a Euridice. E neanche Gluck. Gluck la sfiora nella sua meno nota bellissima Alcesti, quella che amava tanto il marito Admeto che quando lui si disperava senza vergogna all'annuncio di dover morire, non si dava pace, strepitava, supplica che qualcuno prenda il suo posto, Alcesti ha detto: Al tuo posto vado io. Non perché non ami la vita. Non perché il cavernoso Averno non le faccia paura. Ma scende tremando verso quelle livide acque e chiede a spaventevoli voci di poter prendere il posto di Admeto, perché a morire quel povero diavolo non ce la fa.

Con Alcesti alla fine gli dei saranno pietosi come con Orfeo non sono stati. Il canto di Alcesti fra vita che non vorrebbe perdere e morte che domanda di avere, è la voce della signora che scrive al Presidente. Claudio Magris la rivela. E risponde alla melodiosa domanda retorica di Orfeo: Che farà senza Euridice? Continuerà a cantare. Dove andrà senza il suo bene? Girerà il mondo per incantarlo. E così sia.

Il mito di Orfeo ed Euridice racontato in Elicriso

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg