La decisione di Donald Trump di trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme è stato il motivo scatenante delle ultime manifestazioni di protesta palestinesi a Gaza. I morti solo nelle ultime ore sono stati oltre 50, eppure fate fatica a far sentire la vostra voce.
Il mondo non riesce a capire che queste manifestazioni palestinesi a ridosso delle linee con Israele non sono frutto di macchinazioni politiche ma l’esito di 11 anni di assedio totale di Gaza che colpisce due milioni di persone innocenti. La condizione di Gaza non è più sostenibile, la popolazione non ce la fa più. Certe forze politiche sono coinvolte, senza dubbio, ma i palestinesi vanno al confine con Israele per chiedere una una vita normale, per avere la libertà. Le manifestazioni andranno avanti spontaneamente e non perché sia tutto telecomandato a distanza come sostiene Israele. Qualcuno deve intervenire, la comunità internazionale o i Paesi della regione, non lo so ma qualcuno deve agire per mettere fine a tutto questo.
Questo intervento internazionale non sembra all’orizzonte e il governo israeliano agisce in un contesto molto favorevole. Gli Stati uniti hanno trasferito la loro ambasciata a Gerusalemme e alcuni Paesi arabi, in particolare l’Arabia saudita ed altre monarchie del Golfo, rafforzano le relazioni con Israele. Per i palestinesi non sarà facile far emergere le loro ragioni.
Un nuovo massacro di palestinesi è avvenuto qui a Gaza nel giorno del passaggio da Tel Aviv a Gerusalemme dell’ambasciata statunitense e a poche ore dal 70esimo anniversario della Nakba. Di fronte a tutto ciò il mondo arabo tace, al massimo balbetta, non fa nulla per proteggere i palestinesi. Non si può negare, ci hanno dimenticato. Certo, capisco che alcuni dei Paesi arabi fanno i conti con crisi interne, conflitti e problemi economici e sociali molto gravi. Altri, come le monarchie del Golfo, sono occupati dal loro scontro a distanza con l’Iran e per loro la questione palestinese non ha più rilevanza. Israele e Usa prendono vantaggio da questa situazione e dalle divisioni esplose in questi anni tra i Paesi arabi.
Neppure la strage di decine di civili di Gaza pare aprire la strada alla riconciliazione tra il movimento islamico Hamas e l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen.
E’ sconcertante. Neppure di fronte al sangue che è stato sparso a Gaza Hamas e Abu Mazen riescono a trovare l’intesa auspicata da tutti per realizzare la riconciliazione nazionale. Il popolo palestinese merita una leadership migliore, e mi riferisco ad entrambe le parti. Sino ad oggi il nostro popolo non è stato in grado di darsi una nuova direzione politica e di rinnovare i leader che controllano la loro vita quotidiana. L’unica speranza è che la continuazione delle proteste e della manifestazioni (lungo le linee con Israele, ndr) metta sotto pressione l’Anp e Hamas fino a spingere queste due forze a fare i conti con la realtà e ad agire soltanto nell’interesse del popolo palestinese. Però non sono ottimista perché negli ultimi 11 anni, Israele ha lanciato tre grandi operazione militari contro Gaza e altre più piccole facendo migliaia di morti e feriti. Neppure questo ha indotto le fazioni palestinesi rivali a ricucire lo strappo e a dare vita a una politica nuova, ecco perché guardo con un certo distacco alla possibilità della riconciliazione. Temo che ci vorrà molto di più per convincere l’Anp e Hamas a voltare pagina.