L'inchiesta di Report sul Piano Regolatore di Roma da conto, più di tante elucubrazioni, di una parte rilevante delle ragioni della sconfitta elettorale a Roma e dell'esito disastroso per la sinistra.
Certo c'è da ragionare sul candidato, sulla riproposizione dell'ex sindaco, sulla improvvisazione della lista Arcobaleno; ma è necessario indagare le cause strutturali del crollo e gli errori della sinistra che a queste cause sono collegate.
Il "modello Roma" scaturito dal PRG era un modello che separava nettamente la crescita urbana dai suoi presupposti sociali fondamentali: il censimento dei fabbisogni abitativi reali e non solo quelli indotti dall'offerta, il fabbisogno di infrastrutture e di servizi, dalle scuole materne agli asili nido, dai centri per i giovani o gli anziani agli uffici pubblici, ai trasporti rapidi e di massa su ferro. Per questo la dimensione della crescita, la sua qualità concentrata nei centri commerciali e nell'edilizia residenziale privata oltre che nelle cosiddette grandi opere, per quanto enorme e capace di determinare tassi significativi di incremento del PIL, non ha dato alcuna risposta alla domanda di abitazioni per i ceti deboli, ha accresciuto i problemi di vivibilità e di mobilità della città, non ha innalzato la qualità della vita nelle periferie. Anzi queste hanno visto peggiorare notevolmente la propria condizione sia per il crescente affollamento, anche multietnico, che ha aggravato pure i problemi di concorrenza sul mercato del lavoro oltre a rompere gli equilibri delicati delle comunità delle borgate, sia per il più marcato isolamento legato alla inadeguatezza del trasporto pubblico. Un PRG che avesse voluto esprimere l'idea della città accogliente, per tutte e tutti, avrebbe dovuto assumere questa condizione come motivazione fondamentale e il suo radicale cambiamento come obiettivo. Non è stato così.
Quel "modello Roma" e quel PRG, al contrario, sono la rappresentazione di una cultura di governo strutturalmente subalterna ai poteri forti della rendita finanziaria ed edilizia, alimentata da un obiettivo di mercantilizzazione e finanziarizzazione dell'uso della città. Il tutto sorretto da una impressionante capacità mediatica, tale da far credere che "mentre a Milano si contesta persino la utilità del Prg, Roma definisce la sua crescita attraverso il Piano Regolatore". Non era vero. Solo che a Roma mentre si costruivano milioni di metri cubi attraverso accordi di programma in deroga, sostanzialmente come a Milano, un gruppo di architetti, con la supervisione e la relativa copertura di autorevolezza accademica di Giuseppe Campos Venuti,presidente emerito dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, convertitosi al riformismo liberista, elaborava un Piano che veniva, di fatto, componendosi con le decisioni scaturite dai programmi dei costruttori contrattati con l'Amministrazione Comunale. Di questa contrattazione fanno organicamente parte lo strumento della perequazione al posto dell'esproprio, e quindi la marginalità dei progetti sociali pubblici rispetto a quelli privati, e la "compensazione", strumento inventato per riconoscere diritti edificatori inesistenti, presunti derivati da antiche previsioni di piani precedenti mai concretizzate in concessioni edilizie.
Report ha mostrato, opportunamente, la differenza con la pianificazione urbanistica di Madrid o di Parigi; ma anche la legge urbanistica regionale, la 38/99, prevedeva la possibile costituzione di Società per la Trasformazione Urbana come strumento misto, pubblico privato, per realizzare grandi progetti che fossero previsti dal Piano in base ai fabbisogni e all'idea di città da perseguire. Quella dell'accoglienza e del diritto all'abitare o quello della massimizzazione della rendita privata a scapito dell'interesse pubblico.
Il modo di procedere adottato a Roma venne battezzato con la definizione accademica altisonante del "pianificar facendo". Chi, come me, per fortuna in buona compagnia di illustri urbanisti e docenti di diritto urbanistico, non accettava questo,veniva tacciato di essere un "conservatore massimalista incapace di comprendere la nuova Urbanistica Riformista". Devo arguire che questa mia scarsa attitudine al riformismo urbanistico, nella misura in cui interferiva con le intese politiche nella giunta e nella maggioranza capitolina, consigliò il Partito a chiedermi di non occuparmi più dell'Urbanistica e specialmente a Roma!
Vezio De Lucia, oltre che maestro, coautore della proposta di legge sul "governo del territorio" presentata dai nostri gruppi parlamentari, finchè ci sono stati, alla Camera e al Senato, aveva definito "eversiva" quella proposta di PRG; ma la inveterata abitudine di separare, malgrado le affermazioni contrarie sempre ripetute, la teoria dalla prassi, ha consentito alla sinistra tutta di dialogare con Vezio nei giorni di festa dei convegni e smentirlo in quelli dell'ordinario operare come dirigenti ed amministratori.
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L'inchiesta di Report , anche per le acute ed informate critiche di Paolo Berdini, illustra in modo puntuale i meccanismi e i sistemi di relazioni ambigui che si determinano nel mercato immobiliare e negli accordi tra i proprietari delle aree e l'amministrazione; l'ambiguità dei ruoli giocati da figure a cavallo tra la professione libera e la funzione pubblica. Così come mostra la debolezza strutturale e la subalternità in cui la logica del "pianificar facendo" mette la pubblica amministrazione.
Infatti, accettata questa logica dell'urbanistica per progetti proposti dagli imprenditori, non solo viene a mancare il quadro organico di scelte responsabili a monte che danno l'idea della città che si intende realizzare, ma è necessario, perché i progetti possano realizzarsi nelle aree dei proponenti, rimuovere tutte le norme che regolano la pianificazione urbanistica, stravolgere quelle che sovrintendono la tutela ambientale e paesaggistica, svuotare i Piani Territoriali Paesistici previsti dalla Legge Galasso.
Campos Venuti e la giunta Rutelli, quando impostavano il Piano, hanno operato perché non venisse alla luce quella legge urbanistica regionale da me voluta e prodotta da un gruppo di studiosi e di tecnici coordinato da un maestro dell'urbanistica come Edoardo Salzano; poi l'hanno definita massimalista e rigida perché obbligava i Comuni a fare i piani prima di dare il via alle concessioni edilizie ed impediva che le varianti si facessero su richiesta privata, a trattativa diretta e con accordo di programma. La giunta Veltroni ha proseguito su questa strada di "riformismo urbanistico", demolitorio delle regole e delle tutele, concordando con la Regione, allora governata da Storace, un sostanziale stravolgimento della legge sulla tutela ambientale in modo che i vincoli di salvaguardia paesaggistica e ambientale, dovessero cedere il passo alle scelte urbanistiche.
È sempre il trito discorso dei vincoli che impediscono lo sviluppo delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo e della crescita urbana!
In ragione di ciò, e per consentire la localizzazione dei 70 milioni di metri cubi del PRG di Roma, il nuovo Piano Paesistico Regionale è uno strumento talmente labile e a "maglie larghe" da risultare sostanzialmente inefficace al fine di salvaguardare il patrimonio paesistico ed ambientale della regione e, nello specifico, dell'Agro Romano.
Non contenti di ciò, al fine di accelerare l'approvazione del Piano da esibire nella celebrazione dei fasti Veltroniani, la Regione, stavolta quella di Marrazzo con la partecipazione della sinistra, sostanzialmente abroga la procedura di approvazione dei Piani Regolatori prevista dalla legge e la sostituisce con una procedura di valutazione sostanzialmente politica, e quindi discrezionale, che si manifesta in una generica Conferenza di Copianificazione tra Comune, Provincia e Regione.
A sostegno culturale, si fa per dire!, di questa impostazione "riformista", rivendicata con orgoglio da Veltroni e da Campos Venuti, sta la impostazione della proposta di legge urbanistica avanzata nella passata legislatura berlusconiana dal forzista Lupi, ex Assessore al Comune di Milano, e fatta propria da DS e Margherita dell'epoca.
Report ci ha mostrato come sono andate le cose e ha dato conto dei risultati; le urne hanno manifestato il giudizio dei romani su questo "modello" costruito col Piano Regolatore. Nei 70 milioni di metri cubi del piano non trovano posto quelli che servono per le case popolari, per l'edilizia sociale. Hanno visto, i romani, la città crescere senza e contro di loro, l'edilizia sociale solennemente promessa con delibere "monstre" e quella privata solidamente realizzata a suon di varianti e accordi di programma, e hanno giudicato. È tutto qui? Certamente no! Ma se si salta questo dato di analisi si rischia di non essere in grado di ristabilire un rapporto con quelle periferie, peraltro assegnate per competenza assessorile alla sinistra, che hanno votato la destra e Alemanno.
Quel sistema di potere che si era costruito attorno al sindaco e che aveva alimentato quel modello crolla di schianto perché non ha dato risposte alla città, ma anche perché, non essendo fondato sul diritto positivo ed oggettivo ma su un sistema negoziale mercantile, ha lasciato crepe vistose e contraddizioni aperte tra gli interessi dei diversi gruppi economici in campo. E questi interessi si sono messi alla ricerca di altri interlocutori dopo aver preso tutto quanto il veltronismo poteva dare. Anche per questo non mi appassiona la casistica dei singoli immobiliaristi e l'approccio moralistico che giudica l'effetto e non indaga le cause di un processo gigantesco di arricchimento privato e di impoverimento sociale. L'analisi di questi interessi edilizi e il loro rapporto con la struttura dell'informazione e della comunicazione, la commistione/compenetrazione di interesse privato e funzioni direttamente o indirettamente pubbliche, sociali e di servizio, danno conto sia del meccanismo che ha alimentato il grande consenso e sia della dislocazione dei poteri che ha indotto la frana.
Purtroppo, quando la sinistra arcobaleno ha cominciato ad interrogarsi su cosa succedeva in città i danni erano stati compiuti. E come il Pasquino della tradizione si è trovata al "ne ho prese tante…ma quante glie ne ho dette!".
La sinistra, e Rifondazione in primo luogo, è stata investita dal crollo perché non ha impedito che quel blocco di potere si formasse; ha accettato che venissero stravolte le norme urbanistiche e paesaggistiche che la stessa sinistra aveva conquistato a livello regionale con la giunta Badaloni e che un insigne tecnico del diritto urbanistico come Sergio Brenna considera tra le migliori e più avanzate nel panorama delle legislazioni regionali. Norme che difendo e rivendico non solo perché le avevo promosse ma, soprattutto, perché rappresentano la cultura che la sinistra ha prodotto in materia di governo del territorio e tutela ambientale.
Oportet ut Report eveniat , si potrebbe dire parafrasando il detto evangelico che invita a muovere dallo scandalo; se questo può servire per avviare il percorso di costruzione del nuovo patto tra la sinistra e la società che ha bisogno di un modello diverso di città.