ope legis) collaborazione tra Stato e Regione nella formazione e variazione dei piani paesaggistici: a proposito del PPR della Sardegna, dei tentativi deregolatori di Cappellacci e del silenzio di Bray. Il parere di un autorevole testimone della vicenda ancora in corso
Arrivato a gennaio 2008 in Sardegna come direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici, ho subito provato la sensazione di essere stato proiettato in una troppo facile riserva di caccia. All’interno di una bomba a orologeria che la troppa bellezza e il ritmo sfacciato della natura non potevano non aver innescato, di un’armonia continuamente insidiata.
Ho visto giorno dopo giorno materializzarsi sul mio tavolo i più svariati tentativi di violare quell’armonia ed ho presto “scoperto” uno strumento che (da lontano) conoscevo poco: il Piano paesaggistico regionale. Un modello di coerenza fra necessità, comportamenti e idee. Un Piano, familiarmente indicato con il brutto suono di Ppr, in cui le esigenze della tutela delle qualità avevano la priorità, il primo caso in cui le prescrizioni del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” erano rispettate a pieno. Un documento unico e compiuto, con tanto di riconoscimenti conquistati su innumerevoli campi di battaglia, fino alla Corte Costituzionale e passando attraverso centinaia di ricorsi vinti ed un referendum abrogativo superato. E non senza medaglie appuntate, come la “menzione” dell’ONU.
Era però attiva anche un’informazione settoriale e fuorviante che, partendo da gruppi portatori di interessi concreti da soddisfare rapidamente, calava su un’opinione pubblica non sempre innocente, spesso impossessandosene. Insieme all’affermazione del Piano, si faceva avanti una gran voglia, anche pubblicamente dichiarata, di smantellarlo. E, contro le norme di tutela, la Giunta regionale ha lanciato in successione quattro siluri sotto forma di Piani Casa, in attesa di concludere il “procedimento di revisione” del Piano paesaggistico, iniziato e condotto in solitudine per oltre tre anni.
Ci si è alla fine arresi al fatto che la sola Regione, senza l’intervento del Mibac, non avrebbe potuto apportare nessuna modifica: e si è individuato un possibile grimaldello per la soluzione finale. Si sono improvvisamente ricordate le disposizioni inserite nel “Codice” nel 2008 (le quali, dopo l’approvazione del Ppr, hanno imposto la perimetrazione di tutti i beni paesaggistici e la definizione delle relative “prescrizioni d’uso”) e si è pensato di giustificare il quasi concluso procedimento di revisione con la necessità di recepire le “nuove” prescrizioni.
Sottoscritto l’accordo, le procedure adottate per “l’adeguamento” fanno malinconicamente pensare che il ruolo del Ministero sia stato ritenuto di mera sussidiarietà e sostanzialmente formale: ed è proprio su questa inaccettabile presunzione che ritengo di potere (anzi di dovere) esprimere il mio pensiero.
In particolare, dopo la tavola rotonda a Cagliari su “dove va il Piano paesaggistico della Sardegna” ed il dibattito che ne è seguito (a partire dalle considerazioni di M.P. Morittu per eddyburg.it), vorrei, utilizzando tre parole-chiave, riflettere invece proprio sul ruolo di primo attore -e non di semplice notaio- che spetta al Mibac nel procedimento di revisione. Un ruolo che non consiste solo nel prendere la parola, farsi ascoltare e co-pianificare, ma anche nella proposta di visioni alternative a quelle seguite dalla Regione fino a questo momento.
La prima parola-chiave è competenza.
Naturalmente non quella della burocrazia amministrativa: mi tocca…non mi tocca…muovo i miei bastoncini dello sciangai senza mai toccare i bastoncini -o le suscettibilità- altrui… Competenza, invece, intesa come specificità e capacità, come saperi esperti e comportamenti conseguenti, quelli che da sempre hanno caratterizzato le professionalità interne al Mibac. Competenze che, numerose, si sono sempre riconosciute nella tutela dei beni paesaggistici, nella loro individuazione e pianificazione, nel loro controllo e gestione. Come d’altronde indica con chiarezza il “Codice dei beni culturali e del Paesaggio” e come impone la Costituzione.
Elaborare congiuntamente alle Regioni i Piani paesaggistici è, per il Ministero, un’occasione unica di incidere nella realtà territoriale e far valere la propria vocazione tecnica e le proprie idee, che sono poi quelle della parte più avvertita del Paese. Puntando, ovunque, sul principio della competenza contro ogni crisi di rappresentatività.
Le comunità aspettano dal Ministero azioni energiche e coerenti, ponendo al centro dell’attenzione la tutela del paesaggio prima ancora dell’urbanistica e, ancor più, di ogni ipotetico atto negoziale. Senza debolezze, senza timidezze, senza assenze.
Naturalmente, non è questione di povertà di mezzi ma di volontà, di atti che devono essere ben concepiti, elaborati e motivati (e che, come tali, non “costano” nulla). Atti o strumenti che possono avere una forza dirompente con il semplice rispetto della legge.
Gli adeguamenti di co-pianificazione di un Piano che già c’è -e già assolve a pieno la sua funzione- sono un atto dovuto che va colto come la “madre di tutte le tutele”. Ma rappresentano anche, per il Ministero, la possibilità di dimostrare la reale e non burocratica competenza delle sue strutture e dei suoi tecnici e funzionari. Per dare un senso concreto alla propria esistenza (è questa la seconda parola-chiave), alla propria funzione civile, alla propria consapevolezza culturale.
In Sardegna si contrappongono due realtà. Una, apparentemente sonnolenta, è l’indifferenza, un albero secco che tuttavia molto contamina e infetta con il virus del disincanto. L’altra, come abbiamo visto molto viva ed agguerrita, esprime invece i molteplici interessi in gioco ed ha il dichiarato intento di annientare i sistemi di tutela, a partire dal Piano paesaggistico vigente. Ed ha fretta, molta fretta.
Le azioni che la Regione Sardegna va compiendo sembrano consequenziali a questa fretta. Esse implicano il recepimento di norme considerate incostituzionali dallo stesso Governo e ancora al vaglio della Corte. Comportano la “dimenticanza” dei vincoli definiti di “terzo genere” (che riguardano la fascia costiera, la necropoli di Tuvixeddu, gli insediamenti rurali sparsi che caratterizzano il territorio della Sardegna: stazzi, furriadroxius, medaus). Dimostrano inoltre una volontà di “spezzettamento” -come l’anomala trattazione delle aree archeologiche e della forma del paesaggio che include i siti archeologici- creando accordi diversi ed asincroni per problemi che sono invece unitari, senza coinvolgere nella revisione le Associazioni Ambientaliste, organismi giudicati “pericolosi”.
Non sembra importare neanche il principio generale che la Sardegna, Regione a statuto speciale, non possa comunque “diminuire la tutela” (come palesemente si tenta di fare) ma solo aumentarla e che tutto questo finirà all’esame della Corte Costituzionale. Importa “chiudere” le procedure in corso, in modo che sia possibile procedere con “i progetti strategici” e con tutta l’azione del costruire.
Ecco: tre parole chiave, competenza, esistenza, fiducia. Tutte riferite a un Ministero che ha certo bisogno di cure ma che, già oggi, molto può fare per il bene della collettività. Molto può fare contro la soluzione finale che, rendendo innocuo il Ppr, lascerebbe la Sardegna sola e indifesa.