«Non è difficile vedere negli anni Ottanta la corposa incubazione della stagione successiva, con il radicale modificarsi dei rapporti di lavoro e il dominio di un sistema dei media sempre più invasivo e distorsivo».
La Repubblica, 10 ottobre 2013
Un primo ventennio vi è certo stato, nel Novecento italiano, ed ha coinciso con un regime: ha devastato e sepolto l’Italia liberale, e sulle sue ceneri è nata la Repubblica.
Qui però le questioni si complicano: ove si guardi alla storia politica il 1945 è una cesura indubbia ma lo è anche per la storia economica o per quella sociale e del costume? Con il procedere dei decenni, poi, le periodizzazioni ci appaiono via via più discutibili e meno rigide, più ricche di contaminazioni e ambiguità. È sicuramente facile identificare la fase della Ricostruzione, segnata anche dalla guerra fredda (e dal centrismo in politica), o quella del miracolo economico (e del primo, più fecondo centrosinistra). Una grandissima trasformazione, il nostro “miracolo”: ha riguardato economia e consumi, culture e immaginari, geografia sociale e produttiva, modalità dell’abitare e del vivere, sino al rapporto fra religione e laicità o all’attuazione di una Costituzione troppo a lungo “congelata”: non c’è parte del nostro vivere collettivo che non sia stato segnata in profondità dal breve e tumultuoso scorrere di quegli anni. Una «mutazione antropologica», per dirla con Pier Paolo Pasolini.
Da lì in poi le periodizzazioni proposte di volta in volta lasciano invece molti dubbi, a partire da quella “stagione dei movimenti” che il ’68 avrebbe innescato e che rischia di coprire col suo manto anche pulsioni corporative o localistiche. E che confluisce in anni settanta variamente messi agli atti come stagione delle riforme o – per altri e opposti versi – della strategia della tensione e poi degli anni di piombo. Definizioni che alla lunga distanza appaiono molto parziali mentre sembra ingigantirsi invece la cesura di cui sono simbolo alla fine del decennio i funerali di Aldo Moro: quasi “funerali della Repubblica”, come è stato scritto. Spartiacque fra un “prima” e un “dopo” nel modo di essere della società e della politica. Di lì a poco, nello sconfitto rifluire del terrorismo, diventeranno sempre più visibili i guasti che stanno corrodendo istituzioni e partiti«muore ignominiosamente la Repubblica», scriveva il poeta Mario Luzi.
Non è difficile cogliere infine negli anni Ottanta anche la corposa incubazione della stagione successiva: con il radicale modificarsi dei luoghi di lavoro e dei ceti sociali, l’irrompere di nuove culture (o inculture), il dominio di un sistema dei media sempre più invasivo e distorsivo, e sempre più intrecciato alla politica. Con la crisi, non solo italiana, dei partiti basati sull’appartenenza e la militanza. Ma anche con il degradare delle istituzioni, con un salto di qualità nella corruzione politica, con lo sprezzo crescente dei valori collettivi. Solo un anticipo di quel che avverrà poi, scandito e accentuato dal tracollo del panorama politico precedente, dall’affermarsi prepotente del partito mediatico e personale, dall’erosione quotidiana della legalità e del diritto. Da questo punto di vista è certo lecito parlare di ventennio berlusconiano ma c’è da chiedersi se abbiamo avuto davvero una “seconda repubblica”.
Per avere qualche dubbio è sufficiente uno sguardo alla Francia: lì la “numerazione” delle repubbliche è scandita da grandissimi traumi (la Rivoluzione, il 1848, la Comune di Parigi, l’occupazione nazista, la crisi algerina), seguiti da profonde modifiche istituzionali. Davvero un’altra cosa, e per molti versi è utile cogliere invece le radici dell’ultimo ventennio: ci aiuta a capire meglio con quali e quante macerie dobbiamo ora fare i conti. Quanto sia lunga e difficile la nuova Ricostruzione che ci aspetta.