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Loris Rocco; Campetti Di Michele
Il lavoro in Italia. «Modello Pomigliano per tutti»
15 Aprile 2011
Articoli del 2011
Non solo nelle istituzioni: al degrado della democrazia concorrono pesantemente i padroni dell’economia. Il manifesto, 15 aprile 2011

Obiettivo niente scioperi. Mai

di Rocco Di Michele

Una guerra in cui non si fanno prigionieri. Quella dichiarata dalla Fiat contro i propri dipendenti non ha precedenti nella storia repubblicana di questo paese. Il doppio colpo portato ieri è da questo angolo visuale chiarissimo.

La mattina si è discusso un problema apparentemente minore: il «monte ore» di permessi sindacali di cui - in proporzione agli iscritti - godono i delegati di fabbrica alla Sata di Melfi, la Sevel in Val di Sangro e la Fma di Pratola Serra. La Fiat aveva disdettato qualche tempo fa gli accordi che andavano avanti da decenni. Ora si è capito perché. In cambio di un certo numero di ore di permesso annuo, ha preteso fosse applicata una «clausola di responsabilità» per cui i sindacati che avrebbero firmato si impegnavano a evitare scioperi e proteste - anche quelle spontanee che nascono sulle linee quando «la catena» va troppo veloce. Se ci saranno, scatteranno sanzioni contro le organizzazioni, che perderanno parte o tutti i permessi e l'agibilità sindacale.

Solo apparentemente questa versione della «clausola» sembra meno grave di quella infilata negli accordi per Pomigliano e Mirafiori. Lì, infatti, era previsto anche il licenziamento dei lavoratori che scioperavano. Qui «solo» la riduzione della libertà sindacale. In realtà, cambia poco: i delegati - fin qui eletti dai lavoratori, in futuro si vedrà - vengono posti in conflitto diretto (per banale «interesse personale» a lavorare qualche giorno in meno l'anno) con gli altri lavoratori. Se i secondi scioperano, i primi ci rimettono. E ovviamente la Fiom non ha firmato.

Questo delle sanzioni per il sindacato è un obiettivo condiviso da tutta Confindustria (ne avevano parlato nei giorni scorsi sia Giorgio Usai, di Federmeccanica, che la presidente Emma Marcegaglia). E si crea una tenaglia chiarissima: «da una parte nei contratti individuali si chiede al lavoratori di impegnarsi a non scioperare, dall'altra si richiede identica disponibilità al sindacato». Giorgio Airaudo non ci va giù tenero. «Non stiamo neppure parlando di autoregolamentazione o procedure di raffreddamento, ma di uno scambio tra libertà d'azione sindacale e qualche privilegio per singoli sindacalisti». In generale, «sono restrizioni della democrazia; così la Fiat contribuisce alla disintegrazione della coesione sociale». Si «pratica l'obiettivo» di creare «un altro modello sindacale e altre ipotesi di rappresentanza».

Poche ore dopo è toccato alla ex Bertone, ora Officine Automobilistiche Grugliasco. Nell'incontro, chiesto dai sindacati«complici» (Fim e Fismic, soprattutto) per vedersi consegnare il testo dell'«accordo» da sottoporre al giudizio dei lavoratori, la Fiat si è rifiutata di esibirlo. Nel prossimi giorni, forse, sarà loro mostrato un «dispositivo» che avrà a «riferimento» il «futuro contratto dell'auto». Quale possa essere lo ha spiegato la stessa Fiat: il testo approvato per Pomigliano. Avremmo dunque un altro record: un contratto aziendale (doveva essere un «caso unico», giuravano!) che diventa «nazionale» senza altre discussioni.

L'idea di Marchionne è molto semplice: «in Fiat non ci possono essere due stati». Quindi tutti gli stabilimenti dovranno girare sullo stesso regime. A Grugliasco la Fiom raccoglie il 62% dei lavoratori. Nei prossimi giorni le Rsu - che avevano presentato addirittura una propria piattaforma - esamineranno la situazione. In ogni caso avevano già stabilito che qualunque accordo sarebbe stato sottoposto a referendum.

La Fiat, su questo punto, mostra di avere qualche incertezza. E quindi - stando alle parole dei dirigenti del Fismic (l'ex Sida fondato direttamente dal Lingotto negli anni '50) - non anticiperà più il pagamento della cassa integrazione (in violazione esplicita dell'accordo firmato solo un anno e mezzo fa). Un modo esplicito di ricattare i dipendenti: finché non votate come io voglio, non vi dò neppure i soldi che poi io (azienda) mi vedrò restituire dall'Inps.

Un'incertezza che la dice lunga anche sulla fiducia che ripone nei sindacati «complici». Ieri Di Maulo (segretario del Fismic) a fine incontro aveva detto erroneamente che «tutti i dipendenti di Grugliasco sarebbero passati a Mirafiori». L'ufficio stampa della Fiat è dovuto scendere di corsa per fargli correggere le dichiarazioni.

BERTONE

Chi fermerà Marchionne?

di Loris Campetti

Si scrive Fim, si traduce «Fabbrica Italia Mirafiori». È il nuovo nome depositato da Sergio Marchionne alla Camera di commercio con cui d'ora in poi si chiameranno le carrozzerie del gigante torinese. Non è uno scherzo, certo non è il prodotto di una trattativa tra la Fiat e il sindacato dei metalmeccanici Cisl - tu firmi tutto e io ti faccio pubblicità - però fa ridere.

Peccato che non ci sia molto da ridere. L'escalation del supermanager della Provvidenza fa paura. Prima bombarda Pomigliano fino a strapparne lo scalpo, i diritti dei lavoratori; poi procede con la panzer division contro Mirafiori e per il rotto della cuffia il ricatto antioperaio passa anche qui; ora è la volta della Bertone, più di mille operai da anni senza lavoro a cui impone le stesse condizioni servili delle due fabbriche maggiori. Marchionne non riesce a strappare l'anima, la dignità, ai suoi lavoratori e allora lacera il loro corpo. È ancora più indecente che questo avvenga alla Bertone, dove l'acquisto da parte della Fiat dopo 8 anni di tribolazioni, cassa integrazione, amministrazione controllata, tentativi di speculazione era stato accolto dagli operai come una liberazione, una speranza di futuro. Eccoli serviti a dovere.

Alla Bertone i due terzi dei lavoratori sta con la Fiom che si rifiuta di sottoscrive l'atto di condanna a morte dei diritti individuali e collettivi, si proibisce lo sciopero e si espellono le organizzazioni che non sottoscrivono. Dunque la sfida eccita ancor più Marchionne che vuol vedere se di fronte all'ultimatum «o accettate o vado a costruire la Maserati all'estero» la dignità reggerà, o prevarrà per fame il realismo di chi ha figli da mantenere e mutui da pagare. Fim, Uilm e Fismic si sono già consegnati e pretendono di consegnare tutti i lavoratori, a mani alzate, al generale occupante, fingendosi sindacati ragionevoli mentre servilmente mettono le loro guarnigioni a disposizione dell'esercito nemico per espugnare la roccaforte della Fiom. In cambio riceveranno distacchi e permessi sindacali, non diritti perché quando i diritti non sono per tutti si chiamano privilegi, merce di scambio sulla pelle di chi lavora che non potrà più scegliere da chi farsi rappresentare. Sempre nel caso in cui il ricatto passi al voto della fabbrica, sennò la Maserati sfreccerà su altre piste. Persino il timido tentativo del sindaco di Torino Sergio Chiamparino (per arrivare a una scelta condivisa la Fiat tolga le clausole sul diritto di sciopero) è stato rifiutato dall'arrampicatore della Chrysler, il «Marchionne del Grillo» come lo aveva definito questo giornale, quello che «io so' io e voi non siete un cazzo», nonché compagno di scopone di Chiamparino.

L'escaltion di Marchionne non si ferma qui. La Fiat annuncia che non pagherà più gli anticipi di cassa integrazione, in piena violazione di accordi sottoscritti. E aggiunge che a chi non firma saranno decurtati i permessi sindacali. Per concludere, il cancro alla Fiat produce le sue metastasi nelle aziende dell'indotto: la Magneti Marelli avrà commesse per la nuova Panda, ma solo a condizione che i suoi dipendenti accettino il contratto strappato a Pomigliano.

Marchionne è un pericolo per la democrazia italiana, democraticamente va fermato. Non è un compito della sola Fiom.

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