Dal Sapere al Comprendere, dal Comprendere al Sentire, e viceversa: dal Sentire al Comprendere, dal Comprendere al Sapere. Anche eddyburg ricorda Antonio Gramsci, nell'anniversario della sua morte (i.b.)
Dal Sapereal Comprendere, dal Comprendere al Sentire,
e viceversa
Passaggiodal sapere al comprendere al sentire e viceversadal sentire al comprendere al sapere.
L’elemento popolare «sente», ma noncomprende né sa; l’elemento intellettuale «sa» ma non comprende e specialmentenon sente. I due estremi sono dunque la pedanteria e il filisteismo da unaparte e la passione cieca e il settarismo dall’altra.
Non che il pedante non possa essereappassionato, tutt’altro: la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola epericolosa che il settarismo o la demagogia appassionata.
L’errore dell’intellettuale consiste nelcredere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senzasentire ed essere appassionato, cioè che l’intellettuale possa esser tale sedistinto e staccato dal popolo: non si fa storia-politica senza passione, cioèsenza essere sentimentalmente uniti al popolo, cioè senza sentire le passionielementari del popolo, comprendendole, cioè spiegandole egiustificandole nella determinata situazione storica e collegandoledialetticamente alle leggi della storia, cioè a una superiore concezione delmondo, scientificamente elaborata, il «sapere».
Se l’intellettuale non comprende e nonsente, i suoi rapporti col popolo-massa sono o si riducono a puramenteburocratici, formali: gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio (centralismoorganico): se il rapporto tra intellettuali e popolo-massa, tra dirigenti ediretti, tra governanti e governati, è dato da una adesione organica in cui il sentimento passione diventacomprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente),allora solo il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementiindividuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè sirealizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, si crea il «blocco storico».
Da: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Q II (XVIII), pp. 77-77 bis.