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Vittorio Emiliani
Il governo ascolti Soprintendenze e associazioni
25 Giugno 2012
Beni culturali
I molti problemi della ricostruzione del patrimonio culturale nel post terremoto in Emilia. L’Unità, 25 giugno 2012 (m.p.g.)

Oggi, lunedì, comincia a Pieve di Cento la complessa operazione di estrazione dalla Collegiata di Santa Maria Maggiore delle grandi tele di Guido Reni (l’Assunzione misura 4 metri x 2,80), di Guercino, di Lavinia Fontana, di Scarsellino e di altri ancora, nonché del grande crocifisso ligneo di fine ‘200. La volta della chiesa è crollata con la seconda forte scossa di terremoto (la messa in sicurezza antisismica degli edifici s’impone ovunque, senza indugio). Le pale d’altare – che bisognava sottrarre ai pericoli di una chiesa scoperchiata - verranno ricoverate nella vicina Cento. I pievesi infatti si sono ribellati all’idea che andassero più lontano. Temevano di non rivederle più. Com’è capitato ai loro antenati con le altre tele di Guercino presenti nella Collegiata. Segno di un forte attaccamento ai propri beni storici, all’identità comunitaria che gli stessi concorrono a mantenere viva. Come il museo della canapa, coltura sviluppata per secoli, fino a metà del ‘900, o quello della liuteria, rifiorita a Pieve con l’arrivo, nel 1900, del faentino Luigi Mozzani (1869-1943), il “Paganini della chitarra”, liutaio non meno pregevole.

Ma questo amore per la conservazione, per la tutela percorre davvero tutta l’area del sisma? E da Roma si è veramente compreso lo sciagurato errore commesso, scientemente, all’Aquila esautorando le Soprintendenze e affidando il timone alla Protezione Civile? Non mi pare. La degenerazione sottoculturale del berlusconismo ha inquinato i pozzi delle politiche della tutela e del restauro. I tagli feroci inferti da Tremonti – e da nessuno riparati – hanno indebolito e in più casi annichilito le Soprintendenze, ridotte con pochissimi tecnici e mezzi. Le dichiarazioni post-terremoto del segretario generale del MiBAC, Antonia Pasqua Recchia, parevano andare in una direzione opposta rispetto all’Aquila, cioè verso una ricostruzione di tipo friulano o umbro-marchigiano. Ma alla guida (si fa per dire) del Ministero c’è un ministro, Lorenzo Ornaghi, che “tecnico” proprio non è e che lascia fare o non fare. Né si avverte la voce del suo sottosegretario, Roberto Cecchi che tecnico è, ma che definì “una cartolina virtuale” il restauro di Venzone.

Così il governo “dei tecnici” si è riaffidato in toto, con una circolare, alla Protezione Civile: le Soprintendenze della zona colpita “dovranno riferirsi esclusivamente alla direzione generale territorialmente competente (…) l’unica struttura del MiBAC” collegata alla Protezione Civile. In tal modo – nota il magistrato modenese Giovanni Losavio già presidente nazionale di Italia Nostra – le Soprintendenze “di merito” vengono “mortificate e in pratica escluse”, sottraendo loro quel “pronto intervento” con cui potevano “adottare immediatamente le misure conservative necessarie”. “Inammissibile, illegittima lacerazione nel compatto tessuto della tutela” che burocratizza e spegne le Soprintendenze.

Nasce così, anche secondo altri esponenti di “Italia Nostra” - l’ex soprintendente arch. Elio Garzillo, e l’archeologa Maria Pia Guermandi – la “questione dei campanili”abbattuti qui in gran fretta. Mentre nel 1996, dopo un pesante sisma, nella Bassa reggiana vennero messi subito in sicurezza e salvati. Inoltre, si è riaperta una pericolosa discussione sul “valore” degli edifici, la stessa che tende di nuovo, dopo decenni di meritato oblio, a distinguere fra beni maggiori, o monumenti, e beni minori. A questa inopinata, micidiale resurrezione – essa marcia assieme alla monetizzazione dei beni culturali (redditizi e non redditizi) – dovrebbero opporsi i soprintendenti e anche i sindaci. “Gli uomini e le loro “cose” non costituiscono più un unicum inscindibile”, commenta Garzillo. “I restauri verranno riservati soltanto alle eccellenze?”, si chiede Maria Pia Guermandi. Le preoccupazioni sono tali che a livello nazionale “Italia Nostra” chiede in merito un incontro urgente al ministro Ornaghi. “La gestione aquilana”, si denuncia nella richiesta, “è un’esperienza da archiviare”.

Finalmente il berlusconiano direttore generale alla Valorizzazione, Mario Resca, ha traslocato dal MiBAC alla privata Società Acqua Marcia senza aver valorizzato nulla né attratto a Brera fondi privati considerevoli. E però gli anni in cui Giovanni Urbani, direttore dell’ICR, elaborava il Piano di prevenzione antisismica dell’Umbria e all’Istituto Centrale del Restauro si lavorava, con fatica ma con passione, alla Carta del Rischio, pur temporalmente vicini, sembrano culturalmente remoti dopo la desertificazione inferta al MiBAC e ai suoi organi tecnico-scientifici. Un’esortazione al commissario-presidente Vasco Errani che ieri ha ribadito di voler “ricostruire” (e non costruire): guardi ai buoni esempi della sua Regione, ai lavori dell’Istituto per i Beni Culturali, ai censimenti, ai restauri filologici, riapra il dialogo con le Soprintendenze, ascolti le voci delle associazioni territoriali.

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