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Laura Matteucci
Il furto. Pensioni, per il 42% dei giovani di oggi solo mille euro al mese
7 Luglio 2011
Articoli del 2011
Un passo per volta il welfare va via, chi lavora s’impoverisce, chi traffica con la finanza s’arricchisce. L’Unità, 7 luglio 2011

Meno di mille euro al mese, meno che a inizio carriera, per quasi un giovane su due quando smetterà di lavorare. La relazione del Censis per Unipol traccia un quadro preoccupante dell’Italia che verrà.

Un’Italia di anziani poveri. Con il 42% dei dipendenti, oggi giovani fra i 25 e i 34 anni, che intorno al 2050 andrà in pensione con meno di mille euro al mese. I lavoratori in questa fascia di età sono attualmente il 31,9%, e guadagnano una cifra inferiore a mille euro. Ciò significa che molti di loro si troveranno ad avere dalla pensione pubblica un reddito addirittura più basso di quello che avevano a inizio carriera. E la previsione riguarda i più fortunati, cioè i 4 milioni di giovani oggi inseriti nel mercato del lavoro con contratti standard. Poi ci sono un milione di giovani autonomi o con contratti atipici e 2 milioni che non studiano né lavorano. Perchè, come ha certificato l’Istat solo qualche giorno fa, il tasso di disoccupazione giovanile è da tempo ormai sul 30%.

È questo il quadro che emerge dai risultati del primo anno di lavoro del progetto «Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali» realizzato da Censis e Unipol. Si parte da un assunto di base: il nodo pensioni si fa sempre più complicato. L’Italia resta uno dei paesi più vecchi e longevi al mondo. Nel 2030 gli over 64 anni saranno più del 26% della popolazione: ci saranno 4 milioni di persone non attive in più e 2 milioni di attivi in meno. Il sistema pensionistico, sottolinea il rapporto, dovrà confrontarsi con seri problemi di compatibilità ed equità. Se le riforme delle pensioni degli anni ‘90 hanno garantito la sostenibilità finanziaria a medio termine, oggi a preoccupare è il costo sociale della riduzione delle tutele per le generazioni future. A fronte di un tasso di sostituzione del 72,7% calcolato per il 2010, nel 2040 i lavoratori dipendenti beneficeranno di una pensione pari a poco più del 60% dell’ultima retribuzione (andando in pensione a 67 anni con 37 di contributi); mentre i lavoratori autonomi vedranno ridursi il tasso fino a -40% (a 68 anni con 38 anni di contributi).

ZERO TUTELE

Dati che dovrebbero preoccupare, e molto, ma che invece non suonano affatto come un campanello d’allarme per il governo. Non per il ministro al Welfare Maurizio Sacconi, almeno: «Proiezioni di questo tipo credo che siano molto opinabili, scontano ipotesi di percorsi lavorativi che nessuno può disegnare in un tempo di così straordinari cambiamenti», commenta. E punta sulla «necessità di forme di previdenza e assistenza complementari». «Il tema c’è ed ha una dimensione importante», replica l’amministratore delegato di Unipol, Carlo Cimbri. «Una volta continua - il tasso di sostituzione era pari al 90% dell’ultima retribuzione. Oggi al 70% e calerà ancora». Fondamentale, quindi, anche per lui «trovare forme di integrazione della previdenza». Ma non è così semplice. La relazione del Censis, dicono Cgil, Cisl e Uil, è solo la conferma di un allarme lanciato più volte. «Tutti gli studi - spiega Susanna Camusso, leader Cgil - dicono che, a sistema invariato, con una crescita così bassa e sei i punti di Pil persi negli ultimi anni, le pensioni del futuro saranno troppo basse. E non vale - aggiunge - scaricarle in termini di responsabilità sui giovani, dicendo che non si fanno subito la previdenza complementare; il lavoratore precario non ha le risorse per farlo». Dati che «fanno rabbrividire» per il Pd, che proporrà come emendamento alla manovra la proposta che consente di trasferire le annualità di contribuzione versate oltre quelle necessarie per raggiungere l’età pensionabile dai genitori ai figli, già presentata alla Camera, come «nuovo patto generazionale».

«Complementare» (leggi: privata), peraltro, oltre alla previdenza rischia di essere sempre di più pure la sanità. L’indagine Censis parla anche di questo: le famiglie spendono in media mille euro l’anno per visite mediche private, fino a 1.400 euro se qualcuno ha bisogno del dentista. Aumentano quindi i servizi sanitari pagati di «tasca propria». Nell’ultimo anno solo il 19,4% delle famiglie ne ha potuto fare a meno, mentre oltre il 70% ha acquistato medicinali a prezzo pieno in farmacia, il 40% ha fatto ricorso a sedute odontoiatriche, il 35% a visite mediche specialistiche e più del 18% a prestazioni diagnostiche.❖

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