Don Virginio Colmegna riflette sull' "emergenza freddo" di queste settimane. Ne approfittiamo per chiedere ai lettori di eddyburg di area milanese di mobilitarsi: per favore, portate alla Casa della Carità coperte, giacconi, indumenti invernali maschili e scarpe. Il servizio docce è in grande difficoltà!
la Repubblica Milano, 13 gennaio 2017 (m.c.g.)
Perché non vanno nei dormitori? Perché rifiutano l’accoglienza? Perché preferiscono la strada anche con queste temperature? In questi giorni di gelo, sono domande che mi capita spesso di sentire quando si parla di senza dimora. Ne ho conosciuti parecchi e altrettanti ne incontro ogni giorno. Eppure una risposta non ce l’ho. O meglio, non ne ho una sola, univoca, ma tante e diverse. Come tante e diverse sono le persone che in questo inverno continuano a dormire all’addiaccio.
Luigi lo fa perché in dormitorio ha avuto brutte esperienze, Maria perché ha problemi di salute mentale, Abdel perché è senza documenti, Aleksander perché, da poco in Italia, ancora non sa dove chiedere aiuto ed Emanuele perché non vuole separarsi dal cane. Sono motivazioni che possono essere considerate sensate o folli, ma che ci ricordano quanto gli homeless non siano una massa indistinta e omogenea. Sono persone senza dimora, certo, ma pur sempre persone che, in quanto tali, hanno un’individualità, una storia, relazioni, necessità e idee, giuste o sbagliate che siano. Il dovere di aiutarle però rimane. E non solo quando le temperature scendono sotto zero.
Le assi lungo cui muoversi sono due. La prima è strutturale e di lungo periodo, ed è la lotta alla povertà, intesa in una doppia accezione: prevenzione, da un lato, e percorsi di uscita, dall’altro. Mi sono già augurato che Milano diventi in questo ambito un esempio nazionale e, quindi, spero proprio che nel 2017 si affronti seriamente il tema del reddito di base. Nel frattempo però - e questa è la seconda direzione - serve aiuto per chi in strada già c’è. In Italia i senza dimora sono 50.724. Come ha dichiarato la presidente fio.PSD Cristina Avonto, «se si lavorasse in una logica di programmazione, durante tutto l’anno, quando arriva l’inverno non saremmo in questa situazione». Ha ragione: per proteggere davvero i senza dimora dal freddo, servono percorsi continuativi di conoscenza e fiducia.
Anche Milano deve operare in quest’ottica, pur tenendo conto delle sue peculiarità. La nostra è la città che in tutto il Paese ospita il maggior numero di homeless: 12.004. Ed è anche uno dei centri che oggi mette a disposizione più posti durante la cosiddetta “emergenza freddo”: 2.780, il doppio rispetto al 2010. Eppure, in questi giorni, alcuni di questi letti, tra i 200 e i 300, sono rimasti vuoti. Sembra un paradosso. Io credo debba debba diventare uno stimolo.
Dopo l’aspetto quantitativo, bisogna migliorare anche l’aspetto qualitativo dell’accoglienza. Più che dormitori, servono alberghi e non sto parlando di stanze singole, bagni lussuosi e stelle di qualità. Gli alberghi vanno incontro alle esigenze dei loro clienti. Così dovrebbero fare anche i servizi per la grave emarginazione, offrendo risposte non massificate, il più diversificate possibili, adatte alle diverse esigenze, segnate da una continuità della relazione e da una pluralità di servizi.
Non solo. Esiste una porzione di popolazione senza dimora che faticherebbe comunque a entrare nel circuito dell’ospitalità. È il caso di quel cittadino polacco mancato per il freddo in via Antegnati alcuni giorni fa. Milano deve occuparsi anche delle persone come lui, mettendosi proattivamente alla loro ricerca, andando loro incontro non solo durante l’inverno.
Credo sia necessario allora creare un osservatorio che monitori tutte quelle aree dove il disagio è forte e nascosto. Penso a una struttura snella che raccolga informazioni, segnali criticità e interagisca coi servizi. Ma soprattutto immagino uno strumento utile alle istituzioni, per far sì che il freddo, anche il più improvviso e rigido, non sia più un’emergenza per Milano e i suoi cittadini senza dimora.