Il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, quello di Bari Michele Emiliano, quello di Milano Giuliano Pisapia che si è scusato per l'assenza causata dall'inaugurazione dell'anno giudiziario, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che ha mandato un testo scritto, il governatore pugliese Nichi Vendola e ovviamente il padrone di casa, Luigi de Magistris, con il suo assessore di punta Alberto Lucarelli. La Rete dei Comuni per i bene comuni inaugura a Napoli una nuova stagione per la sinistra, con inedite alleanze territoriali e un rapporto stretto con i movimenti e le lotte sul lavoro. È l'alternativa «benecomunista» che si è presentata come l'unica opposizione sociale e perfino istituzionale nell'Italia del governo Monti.
AAA. POLITICA CERCASI
«A sinistra ci siamo abituati a dire pochi ma buoni, però poi si vincono le amministrative, poi anche i referendum e allora, come al forum di Napoli 'Comuni per i beni comuni', dobbiamo abituarci a dire buoni e tantissimi». Norma Rangeri apre i lavori dell'appuntamento partenopeo che ieri ha riunito amministrazioni, associazioni, movimenti, cittadini e tutte le realtà del territorio intorno alle possibili declinazioni del benecomunismo. Tocca alla direttrice de il manifesto «perché il nostro giornale dà voce e forma al cambiamento a cominciare dal referendum sull'acqua, su cui abbiamo condotto una battaglia quando erano in pochi a crederci. E poi siamo stati noi a scovare il comma dell'articolo 25, nelle liberalizzazioni di Monti, che avrebbe reso impossibile convertire le Spa in società speciali di diritto pubblico per gestire i servizi idrici», a partire da Abc Napoli - Acqua bene comune. «Ci siamo battuti e abbiamo ottenuto il ritiro della misura».
La sala del teatro Politeama, il più grande di Napoli, è gremita già dalle 11, arrivano anche gli scettici, non si sottraggono al confronto. Nei corridoi i banchetti per le firme per far tornare la Fiom sui luoghi di lavoro ma anche per la petizione popolare per cambiare il Trattato economico europeo. Dalla direttrice del manifesto, due bacchettate: «Come spesso accade, manca una presenza femminile più ampia perché viene disconosciuta l'importanza del contributo delle donne al rinnovamento della politica italiana. Manca l'attenzione all'informazione. I giornali indipendenti, come Liberazione, hanno già cominciato a chiudere, quando resteranno le multinazionali delle news quale sarà la qualità dell'informazione? Anche noi potremmo a breve non esserci più. Vogliamo assistere al funerale o scongiurarlo in nome della stampa Bene comune?».
Appello accolto da Alberto Lucarelli che comincia il suo intervento dalla difesa dei giornali senza padrone ma anche dei No Tav. Un tema, questo, che si rincorre in tutti i tavoli (contemporaneamente, alla stazione i movimenti occupavano in solidarietà i binari dell'alta velocità) perché ragionare di nuove forme di democrazia a partire dai Beni comuni è l'esatto opposto del delirio 'sviluppista' imposto con la forza. «Quando facevo parte della Commissione Rodotà - racconta Lucarelli - provammo a fare un elenco dei beni comuni, oggi non lo farei più perché è una categoria dell'essere e non dell'avere e si può declinare all'infinito». Ridefinizione dei parametri intorno a cui organizzare la democrazia attraverso la partecipazione ma, dice l'assessore, anche «strumenti concreti di azione a partire dal locale; rivendicare il diritto alla disobbedienza verso atti dello stato illegittimi e incostituzionali; un patto federativo tra amministrazioni per un modello pubblico e partecipato nella gestione dei servizi». E ancora: «Ci vogliono laboratori permanenti con capacità deliberativa per uscire dalla morsa della dittatura della delega da un lato e la proprietà privata dall'altro. Utilizziamo il Trattato di Lisbona per portare in Europa la Carta dei Beni comuni, rigettiamo unanimismo e pratichiamo la contaminazione permanente dei diversi».
La sala si svuota rapidamente perché ci sono i tavoli tematici al Maschio Angioino. Quello sull'Ambiente è talmente partecipato che viene spostato a Palazzo San Giacomo, sede del comune. Tra gli iscritti a parlare Marco Sirotti del centro sociale Tpo di Bologna: «Sono qui per capire cosa fanno Lucarelli e de Magistris. Il sindaco è andato all'inaugurazione dell'anno giudiziario, cioè di quella parte di stato che ha arrestato 30 No Tav, incluso mio fratello. Sono qui per capire se ci possono essere dei punti comuni per uscire a sinistra dalla crisi». Sala gremita anche per welfare e lavoro, a calamitare l'attenzione è la Fiom: Francesca Re David racconta cosa è successo alla Iveco, lavoratori dentro e Landini fuori col megafono. Antonio Di Luca ce l'ha con Ichino: «Parla di catena di montaggio lenta. La verità è che una Panda viene prodotta in un minuto e cinque secondi, 56 macchine all'ora, senza pause e senza mensa». L'assessore al Welfare, Sergio D'Angelo, è impegnato in una battaglia per impedire il taglio dei fondi: «Siamo sicuri che convenga eliminare i servizi per i cittadini in difficoltà?». Il patto di stabilità è l'arma per strangolare il benecomunismo. Dal tavolo sull'economia il titolare partenopeo al Bilancio lancia «la disobbedienza civile contro la legge di stabilità a patto che lo facciano tutti i comuni». Ribattono i movimenti: «Tra tutti e nessuno, comincino le aree metropolitane».
A portare il suo contributo sui Beni comuni Emiliano Viccaro del centro sociale romano Astra: «Cambiamo ragione d'essere all'esproprio, le amministrazioni lo usino per edifici pubblici vuoti rispondendo alla necessità della casa». Il gruppo ha riempito del tutto la Sala dei Baroni. L'esperienza del teatro Valle e del Cinema Palazzo è richiamata da Ugo Mattei. E ci sono anche loro. Non erano attesi, ma la democrazia partecipata non prevede limiti.
PAUL GINSBORG
«MONTI È LA VERA DESTRA STORICA»
Tra i relatori seduti al tavolo sui Beni comuni il professor Paul Ginsburg: inglese, insegna Storia dell'Europa contemporanea all'Università di Firenze. «Vedo che in Italia tutti dicono 'com'è sobrio Monti, com'è british'. Ma io sono quello genuino!». La sua relazione sulla democrazia partecipata comincia con un saggio di humour made in Uk, strappando una sonora risata alla sala gremita. Più tardi, una nuova provocazione sul filo dell'ironia: «Chi avrebbe mai pensato che a Napoli potesse succedere una cosa così?»
Sono passati dieci anni dal movimento dei professori, di cui lei faceva parte, sorto contro la scesa in campo di Berlusconi. Come è cambiato l'impegno di quella parte di mondo accademico?
«Eravamo un gruppo eterogeneo, c'erano moderati accanto a persone di sinistra, quel mix - in sé - era una bella cosa. Solo che la maggior parte di noi interpretava l'impegno politico in chiave difensiva, proteggere la democrazia contro l'attacco rappresentato dal signor B. Un gruppo minoritario, in cui c'ero anch'io, avrebbe voluto andare oltre, arricchire la democrazia. Credo che questo ci riconnetta ai professori di Napoli presenti al Forum. È raro trovare in Italia una tale passione civica, competenza e informazione come traspare, ad esempio, nella relazione introduttiva di Alberto Lucarelli».
I professori sono anche al governo...
«Forse Monti è un novello Cavour, sicuramente è il rappresentante della destra storica. I primi atti di governo sono molto lontani dall'equità sociale, ma comunque hanno un'idea molto precisa dell'Italia. Ad esempio la battaglia sulla semplificazione delle procedure burocratiche fatta in questo modo - non alla Brunetta, per intenderci - può portare un vasto consenso, nel paese europeo in cui i cittadini sono afflitti dalla burocrazia più farraginosa. È Monti che ha costruito in poco tempo una vera destra classica».
Il potere di attrazione del premier, il suo profilo di tecnico, può arrivare al punto di far coagulare il centro con i Democrat quando si andrà a votare?
«Non lo so, sono uno storico e non ho la sfera di cristallo, ma mi pare difficile che il Pd possa andare con il Pdl e Casini. Prima o poi capiranno che dovranno entrare in uno schieramento compatto di centrosinistra».
Come si può costruire la democrazia partecipata?
«Sul tema c'è una retorica insopportabile. La democrazia partecipata piace a tutti, tranne a D'Alema. La qualità della prima dipende da come si coinvolge il secondo termine nel processo decisionale. Ma non come fa a Firenze il Matteo Renzi che convoca assemblee dove se ne dicono di tutti i colori e poi il sindaco dice 'è stato molto proficuo' e non succede niente. Non basta votare o coinvolgere la base con meccanismi a scelta casuale e non ripetibile (come per le giurie) o, all'estremo opposto, attraverso assemblee fiume che finiscono alle tre di notte, perché non è socialmente sostenibile. Il mio modello ideale è Porto Alegre: il cittadino ha la sensazione reale di decidere e verificare che le decisioni vengano accolte e non, come per i referendum, cancellate attraverso vie 'misteriose'».
Devono cambiare solo le istituzioni o anche i cittadini?
«La democrazia partecipata presuppone, prima di tutto, un diverso modo di stare tra di noi. Bisogna lavorare su comportamenti e passioni. Rifiutare il neoliberismo nella nostra testa. Praticare passioni radicalmente diverse dalle forme politiche che assomigliano alla guerra. Restiamo a sinistra».