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Slavoj ?i?ek
Il fallimento del Papa
15 Febbraio 2007
Scritti 2005
Le contraddizioni di un papato complesso, dal punto di vista dell’etica nell'era della modernità. Da il manifesto del 7 aprile 2005

L'ambigua reazione di Karol Wojtyla nei confronti di Passion, il film di Mel Gibson, è ben nota. Subito dopo averlo visto, profondamente commosso, ha mormorato: «È proprio come avvenne in realtà!», dichiarazione poi velocemente ritrattata dai portavoce ufficiali del Vaticano. La reazione spontanea del papa è stata dunque immediatamente sostituita dalla posizione neutra «ufficiale», emendata in modo da non ferire nessuno. Con questa ritrattazione, con questa concessione alla sensibilità liberale, il papa ha tradito ciò che di meglio c'era in lui, la sua intrattabile posizione etica. Oggi, in un'epoca di ipersensibilità verso il rischio di essere molestati dall'Altro, sta diventando un atteggiamento sempre più diffuso lamentarsi della «violenza etica» e criticare quegli imperativi etici che ci «terrorizzano» con le loro brutali imposizioni. L'ideale normativo di questa critica è un'«etica senza violenza», che (ri)negozia perennemente le sue norme: la critica culturale più alta incontra qui inaspettatamente la psicologia pop più bassa.

Durante una serie degli «Oprah Winfrey shows» John Gray, l'autore di Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere, ha spinto questa posizione all'estremo: dato che, in fin dei conti, «siamo» le storie che raccontiamo a noi stessi su noi stessi, la soluzione a un' impasse psichica sta nella riscrittura «positiva», creativa, del nostro passato. Gray non aveva in mente semplicemente le comuni terapie cognitive che mirano a trasformare le «false credenze» negative su se stessi in un atteggiamento più positivo, nella certezza di essere amati dagli altri e capaci di risultati creativi, quanto piuttosto un'idea più «radicale», pseudo-freudiana, di regressione fino alla scena della ferita traumatica primordiale. Gray accetta la nozione psicoanalitica secondo cui un'esperienza traumatica nella prima infanzia può segnare per sempre lo sviluppo futuro del soggetto facendolo virare in senso patologico, ma propone che il soggetto, sotto la guida del terapeuta, dopo essere regredito fino alla sua scena traumatica originaria ed averla così rivissuta direttamente, «riscriva» questa scena, questa struttura ultima del suo universo di significato, rendendola più «positiva», benigna e produttiva. Se, ad esempio, la scena traumatica primordiale che grava sul nostro inconscio deformando e inibendo la nostra creatività è quella di nostro padre che ci gridava «Non vali niente! Ti disprezzo! Non combinerai niente di buono!», noi dovremmo riscriverla ottenendo così una nuova scena con un padre benevolo che ci sorride affettuosamente dicendoci: «Sei in gamba! Mi fido pienamente di te!»

New Age cristiano

Per portare questo gioco fino alle estreme conseguenze, quando Wolfman, nel famoso caso clinico di Freud, «regredisce» fino alla scena traumatica che aveva determinato il suo sviluppo psichico successivo (il coitus a tergo dei genitori cui aveva assistito) la soluzione non sarebbe forse riscrivere la scena? In questo modo egli avrebbe visto solamente i suoi genitori stesi sul letto e intenti a leggere, il padre un giornale e la madre un romanzo sentimentale.

Il problema è che quanto viene qui evocato come esagerazione satirica, oggi sta succedendo veramente. Si pensi a come le minoranze etniche, sessuali ecc. riscrivono il loro passato in chiave più positiva, di autoaffermazione: gli afro-americani sostengono che molto prima della modernità europea, gli antichi imperi africani possedevano già un alto livello di sviluppo nella scienza e nella tecnologia, ecc.

Su questa falsariga, possiamo immaginare una riscrittura dello stesso Decalogo. Qualche comandamento è troppo severo? Regrediamo fino alla scena sul Monte Sinai e riscriviamola! «Tu non commetterai adulterio, a meno che esso non sia emotivamente sincero e non serva alla tua realizzazione profonda...»

Che cosa va perduto, in questa totale apertura del passato alla sua successiva riscrittura? Esemplare è qui The Hidden Jesus di Donald Spoto, una lettura «liberal» del cristianesimo contaminata dalla New Age, in cui a proposito del divorzio possiamo leggere: «Gesù ha chiaramente condannato il divorzio e il nuovo matrimonio. (...) Ma Gesù non è andato oltre, non ha detto che il matrimonio non può essere rotto (...). Da nessun'altra parte, nel suo insegnamento, c'è una situazione in cui egli incateni per sempre le persone alle conseguenze del suo peccato. Tutto il suo approccio nei confronti delle persone era liberarle, non legiferare (...). È del tutto evidente che di fatto alcuni matrimoni semplicemente crollano, che gli impegni vengono abbandonati, che le promesse vengono violate e l'amore tradito».

Il rovescio del diritto

Queste righe, per quanto comprensibili e «liberal», implicano una confusione fatale tra alti e bassi emotivi, e un impegno simbolico incondizionato che deve resistere proprio quando non è più supportato da emozioni dirette: «Tu non divorzierai, tranne quando il tuo matrimonio `di fatto' crolla, quando diventa un peso emotivo insopportabile che frustra tutta la tua vita». In breve, tranne quando la proibizione di divorziare avrebbe guadagnato il suo pieno significato (giacché chi divorzierebbe quando il suo matrimonio è ancora vitale?). È così che oggi tendiamo a stabilire un collegamento negativo tra il Decalogo (i comandamenti divini imposti traumaticamente) e i diritti umani, sebbene in ultima analisi il tema moderno dei diritti umani sia radicato nella nozione ebraica dell'amore per il vicino. Ossia, all'interno della nostra società liberal-permissiva, post-politica, in fondo i diritti umani sono semplicemente il diritto di violare i dieci comandamenti. «Il diritto alla privacy»: il diritto all'adulterio, commesso in segreto, quando nessuno mi vede o ha il diritto di intromettersi nella mia vita. «Il diritto di cercare la felicità e di possedere la proprietà privata»: il diritto di rubare (o sfruttare gli altri). «La libertà di stampa e la libertà di esprimere la propria opinione»: il diritto di mentire. «Il diritto dei liberi cittadini di possedere armi»: il diritto di uccidere. E, infine, «la libertà di fede religiosa»: il diritto di adorare falsi dei.

Quando, dunque, ci liberiamo di questo meccanismo? L'estrema ironia postmoderna è lo strano scambio tra Europa e Asia: nel momento stesso in cui, a livello dell'«infrastruttura economica», la tecnologia e il capitalismo «europei» stanno trionfando in tutto il mondo, a livello della «sovrastruttura ideologica» l'eredità giudaico-cristiana è minacciata nello stesso spazio europeo dall'assalto del pensiero «asiatico» New Age. Quest'ultimo, nelle sue diverse guise che vanno dal «buddismo occidentale» (odierno contrappunto al marxismo occidentale, in contrapposizione al marxismo-leninismo «asiatico») ai diversi «Tao», si sta affermando come l'ideologia egemonica del capitalismo globale. In questo risiede la più alta identità speculativa degli opposti nella civiltà globale di oggi: pur presentandosi come un rimedio contro la tensione e lo stress della dinamica capitalistica che ci consente di liberare e mantenere la nostra pace interiore, la Gelassenheit, in realtà il «buddismo occidentale» funge da perfetta appendice ideologica a questo tipo di dinamica. Dobbiamo qui menzionare il tema ben noto del «future shock», ossia di come oggi, psicologicamente, le persone non riescono più a tenere testa al ritmo abbacinante dello sviluppo tecnologico e dei cambiamenti sociali che lo accompagnano. Semplicemente, le cose si muovono troppo in fretta: prima che abbiamo il tempo di abituarci a un'invenzione, questa è già soppiantata da un'altra, sicché siamo sempre più privi della più elementare «mappa cognitiva». Il ricorso al taoismo o al buddismo offre un'uscita da questa situazione, decisamente più efficace della fuga disperata nelle vecchie tradizioni: invece di sforzarci di stare al passo con il ritmo in accelerazione del progresso tecnologico e dei cambiamenti sociali, dovremmo piuttosto rinunciare al tentativo di mantenere il controllo su ciò che avviene, rifiutandolo in quanto espressione della moderna logica del dominio. Dovremmo invece «lasciarci andare», vivere alla giornata, opponendo una distanza interiore e un atteggiamento di indifferenza alla danza folle del processo di accelerazione: una distanza basata sulla nozione che tutto questo sconvolgimento sociale e tecnologico è in fin dei conti solo un proliferare non sostanziale di sembianze che non riguardano il nocciolo più recondito del nostro essere... Si è quasi tentati di resuscitare qui il vecchio, famigerato cliché marxista della religione come «oppio dei popoli», come appendice immaginaria della miseria terrestre: la posizione meditativa «buddista occidentale» è probabilmente il modo più efficace, per noi, di partecipare pienamente alla dinamica capitalistica conservando allo stesso tempo l'apparenza della sanità mentale. Se oggi fosse vivo, Max Weber scriverebbe senz'altro un supplemento al suo L'etica protestante e lo spirito del capitalismo intitolato L'etica taoista e lo spirito del capitalismo globale.

La grandezza di Giovanni Paolo II stava nel fatto che egli impersonava il rifiuto di questa facile scappatoia liberale. Anche quanti ne rispettavano la posizione morale, solitamente accompagnavano quest'ammirazione con l'osservazione che egli restava però irrecuperabilmente all'antica, addirittura medievale, attaccato ai vecchi dogmi, non in contatto con le esigenze attuali. Come si può al giorno d'oggi ignorare la contraccezione, il divorzio, l'aborto? Non sono questi, semplicemente, fatti della nostra vita? Come può il papa negare il diritto ad abortire persino a una suora rimasta incinta in seguito a uno stupro (come è effettivamente successo nel caso delle suore stuprate durante la guerra in Bosnia)? Non è evidente che, anche se in linea di principio si è contrari all'aborto, in un caso così estremo si dovrebbe piegare il principio e acconsentire a un compromesso?

Ora possiamo capire perché il Dalai Lama è molto più adatto alla permissiva epoca postmoderna. Egli ci propone un vago spiritualismo basato sul benessere, senza obblighi specifici: chiunque, anche la più decadente star hollywoodiana, può seguirlo continuando allo stesso tempo nel suo stile di vita promiscuo e avido di denaro... Il papa, al contrario, ci ricorda che un atteggiamento propriamente etico comporta un prezzo da pagare; è il suo testardo attaccamento ai «vecchi valori», il suo ignorare le pretese «realistiche» del nostro tempo anche quando le argomentazioni contrarie appaiono «ovvie» (come nel caso della suora stuprata), a renderlo una figura autenticamente etica.

Ma Giovanni Paolo è stato all'altezza del suo compito? La chiesa cattolica ha la sua organizzazione segreta, la famigerata Opus Dei, la «mafia bianca» della chiesa, l'organizzazione (semi)segreta che incarna in qualche modo la pura Legge al di là di ogni legalità positiva: la sua regola suprema è l'obbedienza incondizionata al papa e la spietata determinazione a lavorare per la chiesa, con la (potenziale) sospensione di tutte le altre norme. Di regola i suoi membri, il cui compito è penetrare nei principali circoli politici e finanziari, tengono segreta la loro affiliazione. In quanto membri dell'Opus Dei, essi sono effettivamente «opus dei», «opera di dio», ossia assumono la posizione perversa di strumento diretto della volontà divina.

L'appendice segreta

Ci sono poi i molti casi di bambini molestati sessualmente da preti. Questi casi sono talmente diffusi, dall'Austria e dall'Italia fino all'Irlanda e agli Usa, che possiamo effettivamente parlare di un'articolata «controcultura» all'interno della chiesa, con il suo insieme di regole nascoste. E c'è un'interconnessione tra i due livelli, dato che l'Opus Dei interviene regolarmente per mettere a tacere gli scandali sessuali dei preti. Incidentalmente, la reazione della chiesa agli scandali sessuali rivela anche il suo modo di percepire il proprio ruolo. Essa sostiene che questi casi, per quanto deplorevoli, sarebbero un suo problema interno e mostra una grande riluttanza a collaborare con la polizia nelle indagini. E, in un certo senso, è giusto: molestare i bambini è un problema interno della chiesa, è cioè un prodotto intrinseco della sua organizzazione istituzionale e dell'economia libidica su cui essa si basa. Non si tratta semplicemente di una serie di reati particolari riguardanti individui che si dà il caso siano preti.

Per rispondere a questa riluttanza della chiesa non dovremmo limitarci a dire che abbiamo a che fare con dei reati e che la chiesa, non partecipando pienamente alle indagini, ne diventa complice. Al di là di questo, la chiesa come tale, come istituzione, va indagata in relazione al modo in cui essa crea sistematicamente le condizioni perché tali reati avvengano. Questa è una delle ragioni per cui non possiamo spiegare gli scandali sessuali che vedono coinvolti i preti come una manovra degli oppositori del celibato finalizzata a dimostrare come le pulsioni sessuali dei preti, non trovando uno sbocco legittimo, siano destinate a esplodere in modo patologico. Consentire ai preti cattolici di sposarsi non risolverebbe niente, avremmo comunque dei preti che molestano i ragazzini: la pedofilia è generata dalla stessa istituzione cattolica del sacerdozio, come sua oscena appendice segreta.

Ed è qui che il papa ha fallito: a dispetto delle sue pubbliche espressioni di preoccupazione, egli ha evitato di affrontare le radici e le conseguenze degli scandali sulla pedofilia. Sotto il suo pontificato, l'Opus Dei è diventata più forte che mai e il papa ha persino dichiarato santo il suo fondatore (un antisemita dichiarato e un protofascista), un atto che manifestamente contraddice e dunque cancella la sua apologia nei confronti degli ebrei per i crimini commessi ai loro danni dalla chiesa per secoli. Per questo motivo, Giovanni Paolo II è stato un fallimento etico, una prova di come anche una posizione etica sinceramente radicale possa essere una posa fasulla, vuota se non prende in considerazione le sue condizioni e conseguenze.

Traduzione di Marina Impallomeni

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