Quando quest’articolo sarà pubblicato, il disegno di legge Lupi (dal nome del deputato firmatario Maurizio Lupi, di Forza Italia) denominato tanto enfaticamente quanto impropriamente “Principi in materia di governo del territorio” sarà stato, si spera, archiviato per via della fine della legislatura [1].
L’argomento merita comunque ulteriori riflessioni anche in vista della riproposizione del tema da parte del nuovo parlamento, che si spera possa occuparsi in maniera più convincente e più qualificata dell’argomento. Al riguardo non si può sottovalutare la posizione dei vertici dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, che, hanno fatto da sponda alla redazione del ddl, manifestando una notevole condivisione dei suoi contenuti. [2] Atteggiamenti critici sono stati espressi invece dalle Sezioni dell’INU di quelle regioni dove c’è una maggiore tradizione di pianificazione e di buon governo supportate da una sistematica produzione di leggi urbanistiche regionali. [3] Per completare il quadro delle posizioni registrate all’interno dell’INU si deve anche segnalare il documento fortemente critico presentato all’ultimo congresso dell’Istituto da autorevoli soci di varie regioni, dal quale è scaturito un vivace dibattito come non accadeva da anni. [4] Dibattito che l’Istituto si è impegnato ad alimentare.
Le critiche e le contestazioni più radicali da parte di architetti, economisti, urbanisti e giuristi, si trovano tutte sul sito diretto da Edoardo Salzano (eddyburg.it) e su un volumetto curato da M. Cristina Gibelli “La controriforma urbanistica” edito da Alinea e presentato a Roma il 15 dicembre 2005. [5]
Gli autori dei contributi pubblicati nel volume concordano nel considerare il ddl un testo raffazzonato e rozzo, privo dei principi fondamentali di interesse nazionale, di connessioni con le più importanti direttive europee in campo ambientale e con gli indirizzi internazionali finalizzati a incrementare la partecipazione dei cittadini e la coesione sociale. Che interpreta riduttivamente il governo del territorio come disciplina degli usi del suolo, senza curare l’integrazione con i temi ambientali, con la tutela del paesaggio, con la protezione della natura, con l’assetto idro-geologico, che, con incredibile arretratezza culturale, vengono invece intesi come ambiti rigidamente separati.
Un provvedimento sostanzialmente inutile a risolvere qualunque problema serio di assetto del territorio che sancisce la vocazione edificatoria del suolo nazionale, enfatizzando la problematica dei diritti edificatori e la loro commerciabilità, che entra in conflitto con le normative regionali e che consacra la “negoziazione” con il privato come metodo esclusivo di individuazione delle scelte urbanistiche.
In sintesi il ddl ripropone pedissequamente le modifiche al titolo V della Costituzione; indica il governo del territorio come la somma di varie attività di trasformazione del territorio stesso, per altro di competenza regionale, e non esplicita i “principi fondamentali” di competenza statale.
All’art. 2 (Definizioni) con qualche confusione tra pianificazione territoriale e pianificazione urbanistica, viene proposto un glossario con varie definizioni tratte frettolosamente dalle leggi regionali. Viene consacrato il doppio binario del “piano strutturale” e del “piano operativo”, che secondo alcuni operatori, dopo anni di sperimentazione, andrebbe rivisto perché i due strumenti tendono a identificarsi. Viene individuato (e ascritto incredibilmente alla competenza statale) il “rinnovo urbano” comprensivo dell’”adeguamento dell’estetica urbana”. Su quest’ultimo punto non riusciamo a immaginare che cosa abbia avuto in mente il legislatore se non un dialogo ravvicinato con la grande proprietà immobiliare al riparo di qualsivoglia interferenza. In linea generale, se è vero che la produzione delle leggi urbanistiche regionali, ha provocato la proliferazione di strumenti e di termini che indicano con nomi diversi le stesse cose, o con termini uguali, cose diverse, il metodo per riordinare terminologia e contenuti dovrebbe essere meno estemporaneo.
All’art. 3 (Compiti e funzioni dello Stato) si ribadisce ulteriormente la competenza statale sul “rinnovo urbano” e sulle residenze delle forze dell’ordine (v. art. 81 del DPR 61671977), argomento che dovrebbe essere attribuito senza ombra di dubbio alle competenze locali.
All’art. 4 (Interventi speciali dello Stato) si dice che per rimuovere condizioni territoriali di grave degrado, pericolo, e a rischio di calamità si ricorre a interventi speciali “attuati prioritariamente attraverso gli strumenti della pianificazione negoziata”. Il meno che si può dire è che la negoziazione non sembra la formula più adatta per intervenire nella casistica individuata.
Nell’art. 5 (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione) molti commentatori hanno identificato la parte più eversiva del ddl, la dove si afferma che “le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi………..”. In questa frase è stata letta la rinuncia al governo pubblico delle trasformazioni territoriali finalizzato a garantire l’interesse collettivo e quindi lo scardinamento di uno dei principi storici della pianificazione. Anche se il ddl non chiarisce chi siano gli attori della negoziazione si sospetta realisticamente che essi siano i portatori di interessi economici forti, non certo i semplici cittadini o le associazioni portatrici di interessi diffusi. La sussidiarietà, la cooperazione e la partecipazione servono solo a titolare l’articolo; sono enunciate ma non circostanziate, e nel testo non c’è alcuna misura finalizzata alla loro incentivazione. In estrema sintesi, il ddl demolisce il principio fondamentale dell’urbanistica: quello di tutelare l’interesse pubblico e di controllare le pressioni della proprietà immobiliare, cui viene offerto invece un ruolo da protagonista in una negoziazione senza regole [6].
L’art. 6 (Pianificazione del territorio) è un capolavoro di superficialità e di pressappochismo; non si riconosce identità e ruolo alla pianificazione di area vasta, presente in tutta la legislazione regionale, la cui utilità è indubitabile specie nel rapporto con la pianificazione comunale. Si precisa però (incredibilmente) che i piani territoriali …….”non possono avere un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali”. Ma chi proporrebbe il contrario? L’art. 6, in controtendenza con molte leggi regionali, incentiva insensatamente il consumo di suolo proponendo che il territorio non urbanizzato sia distinto (in maniera assai discutibile) in aree “destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili”, disconoscendo per es. il valore ambientale delle aree agricole e prevedendo comunque che si possa costruire dappertutto nonostante i continui richiami allo sviluppo sostenibile.
L’art. 7 e l’art. 8 sono dedicati rispettivamente alle “Dotazioni territoriali“ e alla “Predisposizione e approvazione del piano urbanistico“. Si tratta di argomenti ampiamente trattati nelle leggi regionali; anzi alcune regioni hanno dedicato molta attenzione al tema delle “Dotazioni territoriali”, specificando quantità e qualità di attrezzature e servizi, o prevedendo in alcuni casi i “Piani dei Servizi” (Lombardia, Emilia Romagna, Umbria). Nel ddl nazionale manca qualunque indicazione innovativa che garantisca anche una dotazione minima inderogabile di “Dotazioni territoriali” ai cittadini dell’estremo nord e dell’estremo sud. Si aggiunga poi che il ddl, all’art. 13, prevede l’abrogazione del D. Int. 1444 del 1968 sugli standard urbanistici; si aggiunga ancora che nelle città del mezzogiorno i cittadini non hanno ancora a disposizione lo standard minimo di servizi e attrezzature previsto dal predetto Decreto. Il tema avrebbe meritato ben altra attenzione.
L’art.9 (Attuazione del piano urbanistico) è dedicato essenzialmente alla perequazione e alla compensazione, considerate come strumenti cui si può ricorrere per l’”attuazione del piano urbanistico” secondo criteri e modalità stabilite dalle Regioni. Si afferma anche che la perequazione si realizza con l’attribuzione di “diritti edificatori” liberamente commerciabili dappertutto. Autorevoli commentatori di formazione giuridica sostengono che l’argomento, di per sé ostico e antipatico, perché considera il territorio come produttore potenziale di metri cubi, è pure trattato peggio che nelle leggi regionali. [7] Inoltre i diritti edificatori potranno essere incrementati “allo scopo di favorire il rinnovo urbano e la prevenzione dei rischi naturali e tecnologici”….. Nella sostanza, nessuno sarà più in grado di fare un bilancio e una valutazione complessiva dei metri cubi, virtuali e non, che aleggeranno su ogni parte del territorio comunale e di verificare la sostenibilità delle previsioni edificatorie.
L’art. 11 (Attività edilizia) propone sostanzialmente alcune modifiche al T. U. dell’Edilizia (DPR 380/2001).
L’art. 12 (Fiscalità urbanistica) prevede la definizione di “un regime fiscale speciale per gli interventi in materia urbanistica e per il recupero dei centri urbani” attraverso la redazione di decreti legislativi da emanare entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge. Anche ai commentatori più benevoli la complessità della materia sembra trattata in modo troppo semplicistico [8].
Conclude il testo l’art. 13 con l’elenco delle abrogazioni e le disposizioni finali. Per essere precisi il ddl propone due tipi di abrogazioni. Al comma 1 l’abrogazione tout-court di una serie di norme pre-vigenti; all’art. 2 una abrogazione “a tempo”: le norme elencate “perdono efficacia nel territorio della regione ove questa abbia emanato o emani normative sul medesimo oggetto”. L’abrogazione del Decreto nazionale sugli standard rientra in questa fattispecie.
Il ddl Lupi, secondo M. C. Gibelli e altri risulta anche in evidente controtendenza con quanto sta avvenendo in Europa, in realtà, sottolinea Gibelli, il ddl costituisce una vera e propria anomalia nazionale nel quadro europeo: infatti in Europa, dopo le esperienze deregolative degli anni ’80 e dei primi anni ’90 si sta assistendo a un rinnovato impegno riformatore e ad un deciso ritorno alle regole, anche se le regole vengono ovunque riattualizzate sulla base delle problematiche e delle sfide emergenti [9].
Nei contributi pubblicati nel volume curato da Gibelli emergono alcuni principi che potrebbero essere inseriti in una legge di riforma urbanistica nazionale e che sono comunque enunciati nelle migliori leggi regionali [10]. Tra questi l’integrità fisica e la stabilità del territorio, inteso come “bene comune”, la salvaguardia della cultura del territorio, il controllo dell’uso delle risorse ambientali, il blocco del consumo di suolo, il contrasto alla dispersione insediativa, il risparmio energetico; la coesione sociale, perseguibile attraverso una adeguata politica della casa e dei servizi; il recupero del patrimonio edilizio storico; una adeguata attenzione alla partecipazione dei cittadini.
Sarà possibile concordare politicamente un simile scenario? Non sarà facile perché come dice Salzano [11]: Se la legge Lupi è morta, non è morto il “lupismo”: cioè quella ideologia così largamente condivisa che ha potuto far esclamare all’onorevole Lupi, all’indomani dell’approvazione della legge, che essa è il prodotto di un lavoro bipartisan. Frase che non ha potuto essere contestata,poiché tutto il lavoro parlamentare testimonia il sostanziale accordo tra i parlamentari della destra e larga parte di quelli dell’opposizione su alcuni punti nodali del provvedimento…………La tesi di Salzano è che la legge Lupi esprime una cultura ormai diffusa, di cui si trovano tracce rilevanti in più d’una legislazione regionale e nel comportamento di molte amministrazioni locali di destra, di centro e di sinistra………In quest’ottica gli interessi immobiliari sono diventati veri protagonisti a attori delle trasformazioni territoriali che meritano un occhio di riguardo; il ruolo del potere pubblico si è trasformato: da regista e garante delle trasformazioni territoriali e urbane, a facilitatore delle negoziazioni; il sistema delle regole è considerato un impaccio fastidioso da cui liberare i portatori di interessi economici forti . Il quadro delineato diventa ancora più allarmante se lo riferiamo a quelle regioni dove gli interessi economici sono fortemente condizionati dalla malavita organizzata.
Palermo, 26 gennaio 2006
[2]V. gli articoli di Giuseppe Campos Venuti, Carlo Alberto Barbieri, Federico Oliva, sul n. 203/2005 di Urbanistica Informazioni.
[3] V. l’articolo di Pietro Maria Alemagna sul n. 203/2005 di Urbanistica Informazioni.
[4]Si tratta del XXV Congresso dell’Istituto Infrastrutture, città e territori tenuto a Roma i giorni 1 e 2 dicembre 2005.Questi i passi salienti del documento a proposito del ddl Lupi. …. L’Istituto deve saper ritrovare la capacità di indicare i “principi” che debbono essere inseriti in una Legge nazionale sul governo del territorio, senza accettare come ineluttabile la resa al “mercato immobiliare”, che comporta la perdita di un effettivo controllo delle trasformazioni dei suoli urbani e rende irreversibile il processo di distruzione delle nostre città.
Deve contribuire a superare gli equivoci che hanno suggerito indicazioni preoccupanti nel testo di Legge sul governo del territorio in discussione in Parlamento, in merito a:
- limitazione del principio della attribuzione dei poteri di governo del territorio agli Enti locali, attraverso l’assegnazione di uno spazio privilegiato per le scelte relative alle trasformazioni, a partire dal momento delle scelte strutturali, ad “atti negoziali” tra Enti pubblici e soggetti portatori di interessi connessi alla proprietà di beni, terreni e risorse finanziarie;
- conseguente divisione dei cittadini in due categorie, quelli che posseggono beni per trattare atti negoziali e quelli che chiedono “solo” risposte collettive ai diritti che qualificano l’uso delle città e dei territori;
- perdita del concetto di città - bene collettivo -, attraverso la soppressione del principio che impone una quantità di aree pubbliche destinate a servizi;
- mantenimento di una settorialità di approccio al tema del governo del territorio, che non pone con forza la “tutela dei beni storico-architettonici e del paesaggio” tra i principi fondanti della Legge stessa, né lo addita come strumento per coinvolgere le collettività locali, protagoniste consapevoli della tutela dei valori comuni.
……Il piano urbanistico deve tornare ad essere lo strumento fondamentale per assicurare la preminenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del mercato, che può e deve essere da esso guidato. L’adozione di procedure di tipo prestazionale deve far considerare ogni intervento non soltanto in rapporto ai riflessi diretti ed immediati, ma in rapporto agli assetti complessivi della città.
L’Istituto non può rimanere silente: deve mettere nel proprio programma una solida riflessione sulla stagione che ci attende, additando l’urbanistica come strumento per comprendere ed indirizzare i mutamenti che investono le nostre città e territori. Non può accettare che l’urbanistica resti esclusa dalla competizione culturale, relegata ad una dimensione prettamente tecnica, separata dalla cultura ambientale e da quella architettonica, alle quali è affidata la sopravvivenza di una sensibilità per l’uso del territorio…… (Giuseppe Abbate, Imma Apreda, Roberta Angelini, Piergiorgio Bellagamba, Teresa Cannarozzo, Piero Cavalcoli, Alessandro Dal Piaz, Luisa De Biasio Calimani, Umberto De Martino, Rosalba D’Onofrio, Roberto Gambino, Maurizio Garano, Tommaso Giura Longo, Daniele Iacovone, Manlio Marchetta, Walter Meneghelli, Loredana Mozzilli, Mauro Parigi, Antonio Perrotti, Camillo Pluti,Bernardo Rossi Doria, Domenico Santoro, Massimo Sargolini, Giulio Tamburini, Alessandro Tutino, Maria Rosa Cittadini, Livio Viel).
[5] V. Maria Cristina Gibelli (cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio". Contributi di Roberto Camagni, Luca De Lucia, Vezio De Lucia, Antonio di Gennaro, Alberto Magnaghi, Anna Marson, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Paolo Urbani; Firenze, Alinea Editrice, 2005. Era presente il senatore Cesare Salvi (DS), vice presidente del Senato, che, dopo avere ascoltato gli interventi, ha detto di condividere le contestazioni e ha assicurato un impegno politico conseguente.
[6] Questa disposizione è stata in assoluto la più contestata e il commento più diffuso è stato quello di escludere del tutto la negoziazione dalla fase di impostazione dei piani, ma di farvi ricorso solo nella fase attuativa. Anche i vertici dell’INU hanno preso le distanze dalla formulazione contenuta nel ddl.
[7] V. Luca De Lucia La perequazione nel disegno di legge sui “Principi in materia di governo del territorio” in Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio", op. cit.
[8] V. Simone Ombuen Elementi per la valutazione del Progetto di Legge statale per il governo del territorio, Seminario INU del 15 settembre 2005 “Un nuovo passo per la riforma urbanistica” (mimeo).
[9] Gibelli cita due leggi recentissime emanate in Francia e Spagna: la legge “Solidarité et rénouvellement urbains” approvata in Francia nel 2000, durante il governo Jospin, e la Ley de urbanismo para el fomento de la vivienda asequible, e la sostenibilidad territoriale y de la autonomìa local approvata dal governo socialista catalano nel 2005 sottolineando la distanza abissale di queste leggi dall’ipotesi di riforma urbanistica proposta in Italia. Si tratta infatti di leggi che affrontano alcun problemi che sono cruciali anche per il nostro paese: l’eccessivo consumo di suolo, la crescente doppia velocità urbana, la debolezza della pianificazione di area vasta, etc, e che propongono con coerenza principi volti a dotare i poteri pubblici dei nuovi strumenti necessari per orientare l’attività di pianificazione in difesa dell’interesse generale e, in particolare, per la razionale utilizzazione delle risorse territoriali e la solidarietà sociale. Entrambe le leggi introducono alcune innovative regole non contrattabili in materia di sostenibilità e di risposta alla domanda abitativa dei gruppi più deboli. Cfr. Introduzione di Maria Cristina Gibelli alla presentazione del volume La controriforma urbanistica, Roma, 15 dicembre, ex-albergo Bologna.
[10] Per una puntuale trattazione del tema relativamente ai “principi fondamentali” di competenza statale” e al governo del territorio di competenza regionale rinvio al contributo del giurista Paolo Urbani Osservazioni sul testo di riforma in materia di principi fondamentali del governo del territorio, in Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio", op. cit.
[11]Edoardo Salzano Relazione al convegno “Elementi imprescindibili di una legge urbanistica regionale”, Gruppi consiliari regionali Verdi, Rifondazione conunista, Comunisti italiani, Torino, 21 gennaio 2006; pubblicato su eddyburg il 22.01.2006.