La Repubblica, 22 giugno 2015
Poco europeista, e indifferente alle critiche rivolte dai partner europei alla riforma autoritaria della Costituzione varata nel 2013, il primo ministro ungherese Viktor Orbán è diventato all’improvviso il difensore delle frontiere europee, deciso a costruire una barriera fisica che sigilli l’Europa sigillando l’Ungheria. E ha dato l’annuncio proprio mentre Papa Francesco lanciava il suo monito a quelle nazioni che “chiudono le porte” a coloro che cercano non tanto una vita migliore, ma la vita pura e semplice. Criticando la decisione ungherese, il rappresentante dell’Agenzia Onu per i Rifugiati, Kitty McKinsey, ha ricordato che «quello di chiedere asilo è un diritto inalienabile. Erigere una barriera significa mettere ulteriori ostacoli a questo diritto ». I diritti inalienabili sono però impotenti, senza Stati ed eserciti che li impongano e li difendano. E la buona volontà e lo spirito umanitario si fanno moneta rara in questi tempi di crisi economica e con un’Europa che non ha autorità ed è destituita di autorevolezza. A premere verso l’Europa ci sono in primo luogo rifugiati, persone che sono sradicate dai loro Paesi a causa di guerre e persecuzioni, e della fame e assenza totale di risorse che esse provocano. Non emigrano ma fuggono; non cercano una vita più decente ma cercano di sfuggire alla morte e alla tortura. E l’Europa si trova all’improvviso viva; anzi, la sua esistenza si intensifica mano a mano che questi disperati premono alle sue frontiere.
Strano destino quello dell’Europa: un’entità che non è politica (e non sembra volerlo essere) e che però scopre di poter avere frontiere arcigne e ben protette, proprio come se fosse uno stato fortemente nazionalista. Un paradosso stridente di cui l’Europa né carne né pesce si rende responsabile, poiché questo non-essere-politica la rende un facile espediente nelle mani di chi si trova per caso ad essere un guardiano delle sue frontiere. Il ministro ungherese degli affari esteri ha detto che il suo governo ha ordinato che comincino subito i lavori per la costruzione di una barriera lunga 175 chilometri. La decisione ha generato sorpresa e indignazione, soprattutto tra i serbi, anche se, in effetti, non sono loro i veri destinatari di questo nuovo muro, ma i migranti dall’Africa e dal Medio oriente. La Serbia si adonta ma per una ragione che non è più nobile: perché si sente resa responsabile della situazione che ha provocato queste ondate di migranti, mentre ad essere responsabili di questa crisi, si legge in alcuni commenti, sono gli Stati Uniti, o per non essere intervenuti (come in Siria) o per essere intervenuti (come in Libia). L’Europa e gli Stati europei come vittime, dunque.
E intanto, ci si dimentica che l’Europa, nata per smantellare le barriere al suo interno ed essere un territorio di libera circolazione per cittadini di varie nazionalità, oggi diventa un comodo paravento per nuovi e rinati nazionalismi. Ancora in questi giorni, i ministri degli esteri dei Paesi europei non sono riusciti a giungere alla decisione di redistribuire tra i vari Paesi membri le diverse migliaia di siriani ed eritrei arrivati sul vecchio continente.
A fronte di questi dati e dei soldi spesi a creare barriere stanno migliaia di rifugiati e richiedenti asilo che non hanno di che ripararsi e vivere. L’Unione europea non ha più alibi; un diritto di asilo europeo sarebbe un passo necessario, e un segno di voler invertire questo elenfantiaco attendismo, a tutti gli effetti un invito ai singoli Paesi a fare da soli, magari alzando muri.