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Ettore Livini
Il delitto del Cairo. Dal petrolio alle centrali il business da 5 miliardi che lega Roma al Nilo
10 Aprile 2016
2016 Giulio Regeni assassinio di stato
Emerge ogni giorno di più
la complicità oggettiva con gli assassini dei governi della parte del mondo che si spaccia per garante di libertà, democrazia, giustizia. Chi incanalerà la rabbia?

La Repubblica, 10 aprile 2016
Follow the money. L’omicidio di Giulio Regeni non fa eccezione. Basta seguire i soldi per capire la delicatezza (qualcuno dice la timidezza) con cui Roma ha gestito finora il caso con l’Egitto. Il ritiro dell’ambasciatore del Cairo — mossa dall’alto valore simbolico ma dagli scarsi contenuti pecuniari — «è solo l’inizio» ha dichiarato il governo. «Nei prossimi giorni lavoreremo a misure immediate e proporzionali» alla reticenza di giudici e investigatori di Abdel Fattah Al Sisi, ha promesso il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Sanzioni economiche e l’inserimento del paese nella black list delle nazioni a rischio su tutte, due mosse che mettono a rischio la fiorentissima intesa commerciale bilaterale: l’Italia è il secondo partner dell’Egitto dopo la Germania. Gli affari tra le due sponde del Mediterraneo valgono 5 miliardi l’anno. In ballo ci sono investimenti superiori ai 10 miliardi già assegnati alle imprese di casa nostra grazie al legame privilegiato costruito con l’esecutivo del Cairo, dove Matteo Renzi è stato il primo premier occidentale a recarsi in visita dopo la vittoria di Al Sisi alle presidenziali.


GLI SCAMBI COMMERCIALI
La crisi diplomatica tra i due paesi ha fatto finora, economicamente parlando, pochissimi danni. Gli unici affari finiti in stand-by sono quelli (molto virtuali) messi sul tavolo dai 60 imprenditori impegnati nella missione sul Nilo con l’ex ministro Federica Guidi lo scorso 3 febbraio, giorno in cui è stato trovato il corpo del ricercatore. Per il resto “business as usual”, tutto è andato avanti come prima. Nel 2015 Roma ha esportato verso l’Egitto beni per 2,89 miliardi, il 6,6% in più dell’anno precedente, con la meccanica (oltre 900 milioni) in testa a tutti, davanti a metallurgia e chimica. Il vero Eldorado per l’Italia Spa è rappresentato però dai progetti di sviluppo infrastrutturali varati dal Cairo: c’è da concludere il raddoppio del Canale di Suez, da aprire sei nuovi porti e quattro stadi, da ricostruire un intero mega-quartiere nella capitale; ci sono 4 miliardi per l’edilizia e 1,7 miliardi per creare il polo industriale del Triangolo d’oro, 6mila kmq tra Fena, Safaga ed El-Quseir, il cui master-plan è stato affidato, gli amici sono amici, a una controllata dell’italianissima Rina.

GLI AFFARI DELL’ENI
Pecunia, come tradizione, non olet. E quasi tutto il mondo si è messo in fila per questi appalti in cui le aziende italiane — in caso di rappresaglie commerciali contro Al Sisi — rischiano di partire con l’handicap, se non addirittura di rimanere inchiodate ai blocchi di partenza. A dormire sonni agitati sono però anche le imprese tricolori — oltre 700 tra cui quasi tutti i big — che sotto le Piramidi lavorano da decenni o che hanno già monetizzato il flirt, oggi appassito, con Al Sisi. L’Eni, ovviamente, fa la parte del leone. Il cane a sei zampe ha interessi in Egitto per 14 miliardi di euro circa. Un tesoretto destinato a crescere visti i guai della Libia e l’asse geopolitico Israele-Egitto- Grecia-Cipro (con l’Italia a fare da convitato di pietra) sulle ricerche di idrocarburi nell’area. Cinque miliardi sono stanziati solo per il giacimento di gas Zohr, il più grande del Mediterraneo, con un potenziale di gas pari a 850 miliardi di metri cubi. Negli ultimi tre anni, inoltre, Eni ha raddoppiato la produzione nelle concessioni del Western Desert e di Abu Rudeis nel Golfo di Suez.

BANCHE E CEMENTO
In scia all’Eni però si muovono molte altre realtà tricolori. Ci sono presenze storiche come Pirelli, in Egitto dal ’90 e Intesa-SanPaolo — proprietaria dal 2006 di AlexBank. Italcementi è socia del primo produttore del settore e sta lavorando a un impianto eolico a Hurghada e Cementir (Caltagirone) ha una forte posizione. Al Cairo hanno interessi Edison (2 mld di investimenti), la Gemmo che lavora all’aeroporto, Danieli, fresca di un nuovo appalto da 70 milioni e la Tecnimont impegnata nella costruzione di un impianto per fertilizzanti dal valore superiore ai 520 milioni. L’arrivo di Al Sisi ha sbloccato però parecchi affari in più. La scorsa primavera sono stati finalizzati in un unico bilaterale accordi per 8,5 miliardi: Technip si è aggiudicata per 3 miliardi lavori su due raffineria (Assiut e Midor), Ansaldo ha ricevuto commesse dall’Enel locale, la stessa Edison si è garantita nuove forniture, Megacell un contratto sui pannelli solari. Gli affari sono affari. E in fondo tra le vittime delle sanzioni contro il Cairo ci potrebbero essere persino gli accordi di cooperazione tecnico militare tra i due paesi. Un capitolo che prevede tra l’altro la fornitura dall’Italia di ricambi per 1,6 miliardi ai jet F-16 dell’aviazione egiziana. Usati solo, prevede l’intesa, “per attività addestrative”.
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