La prima finestra- destinata alla ricerca europea sulla difesa – servirà a finanziare la Preparatory Action con una dotazione di 90 milioni di euro entro il 2019 e, in seguito, con la creazione di un programma di ricerca dedicato alla difesa nell’ambito del prossimo Programma Quadro 2021-27, con un ammontare previsto di 500 milioni l’anno, ovvero 3,5 miliardi per l’intero periodo. La seconda finestra punta invece ad assicurare il finanziamento congiunto per lo sviluppo e l’acquisizione di capacità strategiche di difesa, con particolare attenzione su ricerca e tecnologie e lo sviluppo di nuovi prodotti ed equipaggiamenti, inclusi i prototipi. Per questo comparto la Commissione Europea prevede un importo di riferimento cinque miliardi di euro all’anno. Ma come verranno finanziati questi due progetti di coordinamento della ricerca e dell'industria tecnologica destinati alla Difesa Europea? Con una struttura a “ombrello” che prevede l'aumento dei fondi destinati alle spese militari dei singoli stati membri e che verranno esclusi dal calcolo dei vincoli del Patto di Stabilità. Addirittura la Commissione consentirà di recuperare risorse attraverso l'emissione di titolo di debito pubblico. Un paradosso per chi da anni sta massacrando interi paesi all'insegna della riduzione del debito? Niente affatto. E' la logica conseguenza di un apparato – l'Unione Europea – che ha ingranato la marcia per una politica militare adeguata alle ambizioni di un polo imperialista. Una condizione ineludibile di questo processo, è proprio la costruzione di un complesso militare-industriale fortemente concentrato e tecnologicamente avanzato. Investire in questo settore le risorse sottratte ai capitoli sociali (sanità, pensioni, istruzione, salari etc.) è coerente con la logica della classi dominanti.
Qualcuno ha cominciato anche a fare i calcoli, indicando che 1 euro investito nell'industria militare, ne produce 1,6 di ritorno. Esattamente la stessa logica su cui è stato costruito e legittimato il complesso militare-industriale statunitense dagli anni'50 in poi. Il progetto prevede degli incentivi degli investimenti all’interno della catena dei fornitori dell'industria militare: 1) maggiore e migliore accesso ai finanziamenti per le Piccole e Medie Imprese (Pmi) e per il settore della difesa nel suo complesso; 2) rafforzamento del supporto fornito dai fondi Ue agli investimenti nella difesa; 3) incoraggiamento allo sviluppo di centri regionali di eccellenza tecnologica; 4) supporto al mantenimento delle capacità professionali nel settore della difesa. In tal senso va letta linea adottata dalla Commissione Europea per sostenere la revisione dei criteri di concessione dei prestiti da parte della Banca Europea degli Investimenti (Bei) che attualmente esclude il settore della difesa e penalizza, in particolare, le Pmi. Nel documento approvato il 30 novembre e nel suo piano di azione, la Commissione si dice “pronta ad impegnarsi a un livello senza precedenti” per sostenere gli Stati membri nel settore della difesa.
Insomma non è stato mandato in soffitta solo il "vecchio modello sociale europeo dai costi insopportabili" (parole di Draghi nel 2012), piuttosto le classi dominanti europee ci stanno presentando nero su bianco una delle loro priorità (l'altra è la stabilità del sistema finanziario). E ci dicono esplicitamente che i tagli dolorosi alle spese sociali in nome del rigore, servivano solo a reperire le risorse per finanziare le "loro" priorità a discapito delle nostre. E lo fanno con una perversione in più: rendere senso comune il dogma per cui le spese sociali sono un costo e sono improduttive, mentre le spese militari producono effetti benefici sull'economia e il sistema industriale. La ciliegina che mancava per un polo imperialista – quello europeo – che intende giocare a tutto campo nella competizione globale.