Il manifesto, 23 maggio 2014
L’Europa nata nel 1957 non è quella che era stata sognata dagli antifascisti al confino di Ventotene. Nel loro Manifesto l’obiettivo dell’unità fra paesi che allora erano per la seconda volta in pochi decenni impegnati in una guerra sanguinosa, era la pace. E invece il primo embrione della futura Unione, che fu significativamente chiamata Mec, l’Europa la spaccò. Fu infatti pensato soprattutto come strumento della guerra fredda: un avamposto dell’occidente a ridosso della cortina di ferro, strettamente collegato alla Nato. Pochi lo ricordano: il primo atto istituzionale a favore della nuova creatura europea non fu dei nostri parlamenti, bensì di quello americano. Fu votato nel 1947, il 10 marzo al Senato, il 23 al Congresso, auspice il potente segretario di stato John Foster Dulles, fratello dell’altrettanto potente Allen, capo della Cia.
Da questa nascita bastarda l’Europa è rimasta segnata, sicché, anche quando è caduto il muro, non è migliorata. Basti pensare alla sua politica estera che, anziché ricercare un rapporto di cooperazione con il grande vicino euroasiatico che avrebbe potuto conferire al continente la possibilità di garantirsi un ruolo autonomo nel mondo, si è invece appiattita sulla linea di Washington, interessata a mantenere il proprio controllo: accettazione di tutti i possibili missili sul proprio territorio ai tempi di Breznev e Andropov, anche quando sarebbe stato necessario aiutarlo ad uscire dalla fatale spirale del riarmo; e oggi estensione della Nato ai confini della Russia, come se dovessimo rilanciare la guerra fredda, una linea che copre solo i più biechi competitivi interessi petroliferi americani (nell’insieme un bel regalo all’odioso Putin, che per via del comportamento occidentale ha ritrovato popolarità nel suo paese).
Sull’incongruenza europea si potrebbe continuare, citando i casi del Sahara occidentale, di Timor Est, di Cipro e naturalmente della Palestina. Per non parlare del silenzio sulla bomba atomica posseduta da Israele, con buona pace del Trattato di non proliferazione. Così come delle guerresche punizioni a chi non obbedisce alle decisioni dell’Onu, ma dell’assoluzione delle tante avventure belliche che quella copertura non hanno avuto. Nel caso, ancora una volta, di Israele, e di quelle che hanno avuto l’Europa stessa come protagonista.
E poi, forse più grave di tutte, la politica verso il sud Mediterraneo. Con sonore fanfare si lanciò anni fa l’Accordo di Barcellona, che avrebbe dovuto essere un amichevole partenariato, in grado di lanciare un compromesso per un lungimirante co-sviluppo delle rispettive economie ed è stato invece solo un’apertura al libero scambio che non avrebbe mai potuto colmare – e infatti l’approfondì — l’enorme dislivello storico coloniale fra le economie delle due sponde.