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Carla Ravaioli
Il clima del capitale
2 Dicembre 2007
Capitalismo oggi
"Non bastano pale eoliche e pannelli solari per ripensare il mondo".Da l’Insostenibile, supplemento settimanale di Liberazione, 26 maggio 2007

“Ma a questo modo si penalizzano le imprese!” Così ha reagito il ministro Bersani all’ingiunzione di ridurre drasticamente le nostre emissioni di CO2, inviataci dalla Commissione europea. Opportunamente Verdi e Prc hanno espresso dissenso. Ma dopotutto di che stupirci. Per economisti e politici, quasi tutti, la crisi ecologica è sempre stata poco più che un noioso fastidio, qualcosa che di tanto in tanto disturba la regolarità della produzione, ma risolvibile con modesti interventi tecnici o qualche provvedimento legislativo. Un problema tra i tanti, che mai potrà incidere sulla grande Politica

Ora però, tra catastrofi che senza sosta si moltiplicano e aggravano, l’ambiente sta diventando un fastidio grosso, non più così facile da ignorare, anche perché c’è l’Europa che preme. Bisogna dunque darsi da fare con energie alternative e fervidi inviti al risparmio. Che peraltro serenamente convivono con l’eterna invocazione alla crescita, la sempre più invadente pubblicità che sollecita a consumi di ogni tipo, la grande preoccupazione che il mercato dell’auto non “tiri” abbastanza, malgrado le innumerevoli offerte eccezionali di nuove eccezionali vetture.

Che non solo la qualità ma anche la quantità della produzione non sia più sopportabile dagli ecosistemi, che ciò possa richiedere nuove strategie economiche, e dunque un diverso impianto politico complessivo, ai nostri governanti non passa per la testa. Come a tutti i governanti del mondo d’altronde; anche quelli più impegnati ad attuare Kyoto, a tale scopo incentivando ricerca scientifica e elettrodomestici efficienti. Tutti pronti poi a cavalcare il grande business verde, capovolgendo il problema in risorsa, assimilandolo alla logica imperante. “Per rafforzare la nostra economia,” come ha detto Bush nell’annunciare la sua “svolta verde”.

Nessuno dei leader mondiali sembra nemmeno ascoltare le tante e autorevoli voci secondo cui lo squilibrio ecologico esige non solo la rimessa in causa dell’attuale sistema economico, ma un radicale ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente naturale. Ricordando che, pur con la sua particolarissima storia, la sua cultura, le sue grandi conquiste scientifiche e tecniche, anche la specie umana appartiene alla natura, e alla pari di ogni vita ne trae non solo nutrimento e continuità, ma forma biologica. E che è natura tutto ciò che vediamo, tocchiamo, mangiamo, beviamo, respiriamo, come è natura tutto ciò che trasformiamo mediante il lavoro. Che l’ambiente naturale è insomma la base di ogni nostra attività, ed è quello che condiziona e determina, anzi consente, l’esistere dell’economia in ogni suo momento, a cominciare dal suo operare concreto. Perché (parrebbe superfluo ricordarlo) la produzione di qualsiasi tipo è sempre consumo di natura: minerale, vegetale, animale. Ed è sempre la natura che fornisce la materia necessaria ad ogni nostra conquista scientifica e tecnologica, e ai nostri stessi deliri di onnipotenza.

Natura che però non è illimitata, ha dei confini precisi, che sono quelli della Terra. E ha delle leggi che non possono adattarsi a nostro piacere e che invece noi di continuo spensieratamente trasgrediamo. La nostra specie infatti, unica nel mondo vivente, ha perduto l’istinto a limitare se stessa in rapporto alla capacità del proprio habitat; dissennatamente negando ciò che tutte le creature sanno, dimenticando che “Gli alberi non crescono fino al cielo”, come illustra in un suo celebre libro Stephen Jay Gould (Mondadori, 1996). Non solo senza misura sviluppando se stessa, ma un paio di secoli fa dandosi un sistema economico che si regge sulla crescita esponenziale del prodotto, e a tal fine moltiplica i bisogni, veri o immaginari, di ciascuno di noi: il capitalismo industriale. L’attuale crisi ecologica ne è la conseguenza. Ed è un problema da cui nessun altro può prescindere, che tutti poco o tanto li determina, tutti li “contiene”.

“Il capitalismo è incompatibile con l’equilibrio del pianeta,” ha detto Fabio Mussi inaugurando “Sinistra democratica”. “Proprio la devastazione dell’ambiente (…) potrebbe forse imporre la necessità di un sistema produttivo nettamente diverso da quello attuale, e dunque farsi presupposto di un salto logico, di una nuova razionalità economica e sociale”, ha scritto di recente il segretario di Prc Franco Giordano. Alla formazione di questa nuova sinistra concorrono anche i Rosso-Verdi, nati proprio sulla duplice ragione sociale e ambientale, e l’Ars, pure da tempo sollecita della dimensione ecologica. Ch’io sappia, è il primo gruppo politico che mostra di avvertire la reale portata della minaccia che ci sovrasta, e ne indica le cause.

Lo conferma (insieme tracciando una sorta di abbozzo programmatico per la gestione della materia) la lettera inviata giorni fa al Presidente della Repubblica e ai Presidenti delle due Camere, da Franco Giordano, Gennaro Migliore, Giovanni Russo Spena, Roberto Musacchio di Prc. I quali non solo si dicono convinti che “la virata di rotta deve essere decisa, netta”, ma che il problema ambiente “debba assumere una dimensione sovraordinatrice: agricoltura, industria, energia, trasporti, stili di vita, ciclo delle merci (…) tutto deve essere rivisto, ristrutturato, ricalibrato, per rispondere a nuovi parametri di compatibilità”. Nella evidente consapevolezza che non bastano pale eoliche e pannelli solari per ripensare il mondo. Perché di questo in realtà si tratta. Magari ricordando Joseph Stiglitz, Nobel per l’economia, quando dice che produrre inquina, e che “quanto più un’economia produce, tanto più inquina.”

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