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Il censimento: cemento, i poveri e la miseria intellettuale
28 Aprile 2012
Articoli del 2012
Prime immagini dell’Italia come ce la presenta il censimento, articoli di Paolo Berdini dal manifesto> e Michele Serra dalla Repubblica, 28 aprile 2012

il manifesto

Un paese al cemento

di Paolo Berdini

Nimby forum è un sito molto istruttivo. Combatte come un sol uomo contro la cultura dell’egoismo di un paese che vuole ostacolare lo sviluppo, la crescita e il progresso. Chissà se troveranno il coraggio per commentare i primi dati provvisori del censimento Istat 2011 da cui emerge che nel decennio 2001-2011 l’Italia è stata invece riempita di cemento e asfalto, altro che nimbi.

Afferma l’Istituto di statistica che a fronte di un incremento della popolazione di circa 2,5 milioni di persone nel decennio 2001-2011 – all’incirca 1 milione di famiglie, visto che l’indice medio è di 2,4 persone per ogni famiglia- le abitazioni costruite sono state un milione e 571 mila. Sono stati dunque realizzati circa 400 milioni di metri cubi di alloggi. L’Istat non ci dice a quanto ammonta il segmento non residenziale, ma girando l’Italia, tutti noi possiamo però misurare a colpo d’occhio l’impressionante numero di outlet, ipermercati e centri commerciali. Ad essere prudenti si tratta in totale di un miliardo di metri cubi di cemento in dieci anni!

Nimby forum disegna un’Italia che esiste soltanto nella loro monocultura malata. Ciò che si evidenzia è invece un paese in preda ad una febbre speculativa senza precedenti. Esistono quasi 29 milioni di abitazioni: 24 milioni quelle occupate e 4 milioni e novecento mila quelle “vuote”. Le famiglie italiane sono complessivamente 24 milioni e 512 mila: un numero pressoché uguale a quello delle abitazioni occupate. Ma se consideriamo che una buona percentuale degli stranieri abita spesso senza contratto per volontà di proprietari senza scrupoli, il numero degli alloggi occupati aumenterebbe ancora, superando di molto il numero della famiglie residenti. E’ evidente che non c’è più nessun motivo per costruire nuove abitazioni e che è sempre più indispensabile avviare politiche di ristrutturazione urbana senza espandere più le nostre ipertrofiche città. Basta con la crescita urbana, congeniale soltanto agli appetiti dei fondi finanziari di investimento.

C’è poi un altro dato su cui è opportuno riflettere. Per commentarlo l’Istat stesso usa l’aggettivo “sconvolgente”. Si tratta dell’aumento delle famiglie che vivono in baracche, roulotte o in alloggi di fortuna: erano poco più di 23 mila nel 2001; oggi sono più che triplicate raggiungendo la cifra di 70 mila. In questo decennio ci hanno raccontato la storiella che bisognava cancellare il governo pubblico delle città e del territorio perché era un arnese inservibile e fallimentare. Sarebbe stato il “mercato” a risolvere tutto.

Ecco i risultati. La precarietà estrema riguarda oltre 200 mila cittadini italiani e se ad essi aggiungiamo le vittime del gigantesco fenomeno di espulsione urbana che ha riguardato milioni di cittadini costretti a trasferirsi verso periferie metropolitane sempre più lontane e invivibili, il quadro è completo. Il trionfo del liberismo selvaggio ha prodotto fenomeni di precarietà senza precedenti. Processi analoghi ai fenomeni che hanno distrutto la tutela del lavoro: le città, gli storici luoghi della convivenza sociale sono state cancellate dal fondamentalismo liberista.

E non è finita. Il peggio deve ancora arrivare. Il Politecnico di Milano ha svolto per conto della Cisl lombarda una ricerca sullo stock di abitazioni nuove invendute esistenti in alcuni capoluoghi e quelle prevedibili sulla base degli sciagurati progetti di cementificazione già decisi. A Brescia (191.000 abitanti) ci sono oggi 56 mila abitazioni invendute. Ce ne saranno 107 mila nel 2018. Un’altra città fantasma costruita intorno a quella esistente! A Bergamo (115 mila abitanti) ci sono oggi 58 mila abitazioni vuote e al 2018 saranno 135 mila: oltre il doppio della città esistente.

Questi dati non li troverete sul sito Nimby forum, troppo impegnato a propugnare la cancellazione di ogni ulteriore regola del vivere civile. Dimenticavamo. Tra i sostenitori del sito c’è –e chi poteva dubitarne- il Consorzio Venezia Nuova, inflessibile realizzatore del Mose di Venezia. In questo caso, purtroppo, nonostante sacrosante e motivate proteste non è scattata la fatwa del nimby e l’opera inizia purtroppo ad apparire in tutto il suo tragico orrore. Stanno distruggendo per sempre la laguna veneziana. E’ ora di fermarli.

La Repubblica

Tra baracche e cemento l'autoritratto della nuova Italia

di Michele Serra

PROVANDO a immaginare il quindicesimo censimento degli italiani come una gigantesca fotografia aerea, forse il primo colpo d'occhio, il più evidente, è che rispetto al 2002 c'è un aumento molto consistente degli edifici censiti: oggi sono 14 milioni e rotti, l'undici per cento in più in soli dieci anni. Nello stesso periodo la popolazione è cresciuta solo del 2,5 per cento: siamo 59 milioni e mezzo. Anche se le statistiche sono una lingua che chiede di essere tradotta con molta circospezione, questi due dati, incrociati, sembrano dare ragione a chi denuncia una cementificazione indiscriminata e immotivata (o motivata solo dalla speculazione) del nostro territorio. Gli edifici sono aumentati di una percentuale quattro volte più grande rispetto all'aumento degli umani. E nel paese dei mille borghi abbandonati, dei centri storici svuotati, della superfetazione delle villette a schiera che vanno a smarginaree confondere il confine tra città e campagna, i dati del nuovo censimento aiutano a capire che la gestione del territorio è una delle questioni più gravi e irrisolte.

Il secondo colpo d'occhio vede triplicati, in dieci anni, i residenti stranieri. Sono 3 milioni e 769 mila, ed è il loro arrivo (e la loro forte natalità) ad avere compensato la pigrizia demografica di noi italiani indigeni. Sono, gli immigrati, il solo vero elemento di percepibile dinamismoe di mutamento socialee culturale di un paese altrimenti "fermo" (a parte il fiume di cemento...).

LA FAMIGLIA

Rosaria Di Guglielmo e i suoi tre bambini sono stati accolti nel campo rom di via Bonfadini, nella periferia Sud di Milano vicino all'Ortomercato Gli edifici sono aumentati in modo impressionante e così le case Sono state create aree di nuova urbanizzazione con quartieri fantasma senza servizi STA alla lettura e all'ideologia di ognuno, naturalmente, decidere se questa "contaminazione" dall'esterno sia minacciosa o promettente. Certo è un fenomeno oramai strutturale (gli stranieri erano il 2,4 per cento della popolazione totale nel 2002, oggi sono il 6,34), e così "italiano" che risulta difficile, per chi ha meno di quarant'anni, immaginare o ricordare un'Italia senza stranieri, senza asiatici, africani, slavi, arabi.

Il censimento, per altro, conferma in modo inoppugnabile che l'immigrazione è anche un termometro implacabile del benessere economico di un territorio: due stranieri su tre vivono nel Nord Italia, nelle regioni dal reddito più alto e dal tessuto economico più sviluppato. L'assenza di immigrazione è segno chiarissimo di gracilità economica. Anche questo dovrebbe insegnarci ad accogliere gli stranieri, quando bussano alla nostra porta, come una buona notizia.

Terzo colpo d'occhio: il cambiamento delle famiglie. Il loro numero è aumentato (i nuclei familiari censiti sono circa 2 milioni e mezzo in più rispetto al 2002), ma le dimensioni sono più ridotte: 2,4 il numero medio dei componenti (era 2,6 dieci anni fa). Influisce fortemente sul dato la frammentazione del concetto stesso di famiglia: le famiglie allargate sono illeggibili dalle statistiche, ma si moltiplicano con il forte aumento di separazioni e divorzi. Così che il concetto stesso di "nucleo familiare" perde progressivamente senso, e i 2,4 componenti di ogni nucleo non riflettono la densitàe la varietà dei rapporti, anche coabitativi, tra persone non più facilmente definibili come membri di questo o quel nucleo. Si pensi, per esempio, ai tanti figli di separati che sono censiti in una sola casa, ma vivono abitualmente in due case. Quarto e ultimo colpo d'occhio: sono aumentati in modo esponenziale, rispetto al censimento di dieci anni fa, i residenti in Italia che dichiarano di abitare in baracche, roulotte o tende. Da 23 mila a 71 mila. È uno dei contraccolpi più vistosi, anche se quantitativamente meno rilevanti, dell'immigrazione, dell'aumentato ingresso di nomadi e dunque di poveri, che ci rimettono di fronte a immagini anche estreme di indigenza e di disagio sociale.

Un piccolo grande cortocircuito storico, che rende a noi coeve situazioni da dopoguerra, rifugi di fortuna e villaggi di lamiera che sorgono nel fango e tra le erbacce delle periferie urbane, questua diffusa, grande difficoltà di integrazione e di scolarizzazione. L'Italia è stata, per moltissimi arrivati da lontano, un approdo dignitoso e un progetto di vita. Per pochi è un parcheggio precario, una parentesi di stenti. È importante, ed è anche civile, che il quindicesimo censimento nazionale sia una fotografia così grande, e così minuziosa, da essere riuscita a inquadrare anche le baracche, i camper arrugginiti, i tetti di lamiera, le vie di terra battuta dove i bambini giocano con niente, come è pratica diffusa nelle infinite lande povere del pianeta.

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