La penultima speranza di Berlusconi per rimontare il disincanto della sua gente registrato dai sondaggi d´opinione è clamorosamente fallita: sedie vuote, coltre di noia e fiera dello sbadiglio (come aveva impietosamente preconizzato Giuliano Ferrara) hanno punteggiato la "tre giorni" monologante del congresso di Assago. Un´occasione sprecata che ha semmai accresciuto perplessità e voglie di distacco.
Ora l´ultimo appuntamento utile ai fini elettorali sarà l´arrivo di George Bush il 4 giugno, ma sembra difficile che abbia la forza di modificare una situazione di declino sempre più visibile e contagiosa.
C´è ancora un aiuto per le compromesse fortune del berlusconismo e potrebbe arrivare dalle possibili violenze delle "tute nere" e dei "disobbedienti" di Casarini, quel migliaio di teppisti che di fatto sono i migliori alleati del Cavaliere dal cavallo azzoppato. Faranno di tutto per favorirlo, bruceranno bandiere americane, cercheranno d´incendiare auto in sosta, di sfondare portoni e vetrine, d´accapigliarsi con la polizia, di sporcare le bandiere arcobaleno e coinvolgere i cortei pacifisti. È sperabile che non riescano nel loro intento. È sperabile che vengano isolati e che le forze dell´ordine non perdano il controllo e soprattutto l´autocontrollo come purtroppo avvenne a Genova.
Se anche questo ostacolo sarà superato, avremo elezioni europee e amministrative che, una volta tanto, daranno un giudizio su ciò che è stato fatto e non è stato fatto nei tre anni di governo del centrodestra, sul consuntivo e sul preventivo, sul passato e sul futuro. Ad oggi i sondaggi prevedono un 48 per cento al centrosinistra e un 42 al Polo; all´interno delle due coalizioni un 33 alla lista Prodi e un 22 a Forza Italia, con un 17 per cento di elettori ancora indecisi sul come votare o piuttosto astenersi. Entro questa forchetta si giocherà il risultato.
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Nel frattempo le forze sociali hanno già preso posizione. Non sugli schieramenti ma sui problemi, cioè sugli elementi strutturali della situazione italiana.
Il risultato è questo: le organizzazioni sindacali e la Confindustria hanno deciso di ridare vita, almeno tra di loro, al metodo della concertazione che da tre anni era stato abbandonato per volontà del governo e del collateralismo filogovernativo della precedente gestione confindustriale.
La svolta è notevole, gli obiettivi sono già stati indicati: un sistema di sostegni mirati alla formazione permanente dei lavoratori, al Mezzogiorno, alla ricerca privata e soprattutto a quella pubblica; un´attenzione particolare alla scuola e all´Università come sedi preminenti della formazione e dell´innovazione; la mobilitazione delle risorse necessarie per modernizzare il mercato del lavoro, passando dalla flessibilità precaria alla flessibilità di progetto; una copertura previdenziale che copra la flessibilità e la formazione; la crescita delle dimensioni aziendali; gli incentivi concentrati sulla fascia delle medie imprese con più di 50 dipendenti; l´utilizzazione del fondo liquidazioni per costruire da subito la «seconda gamba» del sistema previdenziale.
Questi obiettivi sono comuni alle forze sociali rappresentative dei lavoratori e degli imprenditori. Possono rilanciare gli investimenti privati e i consumi. Necessitano di un volano di robusti incentivi e di investimenti pubblici nel settore dei trasporti, delle reti ferroviarie, dei porti e aeroporti.
Alle spalle di questo complesso di iniziative ci dev´essere una pubblica finanza rigorosa che sostituisca alla politica dei condoni quella dei provvedimenti strutturali, della crescita nell´avanzo primario e della diminuzione effettiva del debito pubblico.
Su questa politica si avvieranno le parti sociali e su questa chiameranno il governo a prendere posizione. A quanto si è capito dalla relazione di Montezemolo e dalle reazioni molto positive dei sindacati confederali, la definizione di questa piattaforma è prevista per subito. Governo e forze politiche saranno chiamati a rispondere fin dal giorno dopo le elezioni del 13 giugno. Il che vuol dire che i nodi arriveranno al pettine per iniziativa delle parti sociali dopo che il popolo degli elettori avrà manifestato con il voto i propri orientamenti.
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Di questi problemi il lunghissimo monologo del presidente del Consiglio nella "tre giorni" di Assago non ha affatto parlato. Non una sola parola nel Niagara di frasi scucite che si è abbattuto sui quattromila delegati di Forza Italia riuniti per l´occasione.
Ma ne ha parlato invece l´uomo forte del governo, l´uomo immaginativo, anzi immaginifico, il ministro del Tesoro, delle Finanze, del Bilancio, delle Entrate, delle Spese, del Debito, dell´Indebitamento, del Fabbisogno, della Cassa. Insomma Giulio Tremonti, cui il Cavaliere dal cavallo azzoppato ha trasferito il suo «sacrum» sotto lo sguardo adorante di don Gianni Baget Bozzo, dei ministri Martino (Difesa) Lunardi (Grandi Opere) Moratti (Scuola), nonché Prestigiacomo in veste di "velina" ministeriale. Assente giustificatissimo Frattini (Esteri) in missione a Washington per dare (?) e soprattutto ricevere indicazioni dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato. Presente, plaudente, ma anche perplesso e parzialmente autoreferente Maroni, il solo titolare di un dicastero denominato in inglese: Welfare, un dicastero in rapida quanto retroflessa evoluzione.
Bisogna stare molto attenti alla progettualità di Tremonti. Quindici giorni fa mi premurai di attirare su di lui l´attenzione dei nostri lettori ed anche dei politici suoi alleati, che si erano (così mi parve) alquanto distratti.
Feci bene. Il risultato di quel campanello d´allarme fu infatti che la progettualità tremontiana fu bloccata e la sua attuazione rinviata a dopo le elezioni. Si parlava allora di taglio immediato, per decreto-legge, degli incentivi alle imprese e di riduzione successiva, a partire dall´esercizio 2005, dell´Irpef per tutti i contribuenti, dai redditi di 9.000 euro fino agli "over" 100.000.
Il piano era ben congegnato quanto esiziale. Esattamente l´opposto di quanto chiedono le parti sociali e di quanto sembra a noi necessario per l´economia italiana.
Ora, dopo il freno e il rinvio che gli è stato imposto da Fini e da Follini, che cosa ha detto Tremonti al congresso dello sbadiglio? È riuscito, almeno lui, a ravvivare l´interesse? A rilanciare l´entusiasmo? A far quadrare il contratto con gli italiani, ancora sbandierato da Berlusconi e ancora inevaso, con le nude cifre sulle quali il 14 giugno la Commissione di Bruxelles invierà la lettera di avvertimento all´Italia, che ha varcato la soglia del 3% nel rapporto debito/Pil previsto dal patto europeo di stabilità?
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Il Delfino ha ribadito:
1. La riduzione delle imposte ci sarà. Riguarderà tutti i contribuenti. Se ne dovrà discutere con gli alleati in omaggio alla collegialità. Tanto più voti avrà il 13 giugno Forza Italia tanto più la collegialità diventerà un «optional» (questo l´ha detto il Cavaliere quando ha chiesto agli elettori il 51% per il suo partito e alla faccia dei fottutissimi alleati).
2. La riduzione dell´Irpef entrerà in vigore il 1° gennaio 2005 (voto di fiducia per tenere unita la maggioranza).
3. Per l´immediato, ad evitare il warning di Bruxelles, una manovra da 12,5 miliardi di euro (25.000 miliardi di vecchie lire) per decreto-legge con valenza immediata sull´esercizio 2004. Ma non più tagliando gli incentivi alle imprese né utilizzando il trasferimento della previdenza degli statali all´Inps (giudicato incostituzionale dalla Corte).
Dove troverà dunque la copertura a questa manovra Tremonti? Non l´ha detto né gli è stato chiesto dagli assemblati di Assago.
4. Il Delfino ha anzi annunciato qualche spesetta in più: esenzione totale dall´imposta per le spese effettuate dalle imprese in ricerca e innovazione: piccola ma senz´altro utile goccia che tuttavia servirà a poco perché il grosso delle ricerche le fanno le pubbliche istituzioni e le grandi imprese.
Per le prime l´esenzione fiscale è una partita di giro; le seconde di fatto non esistono più in Italia, salvo Telecom e quello che ancora resta della Fiat.
Insomma la partita delle imposte è ancora tutta da giocare sul filo del risultato elettorale. Ma quello che Tremonti non ha detto è che, ai fini del rilancio dell´economia, ridurre l´Irpef non serve assolutamente a niente tantopiù se per finanziare quella riforma bisognerà tagliare i fondi alle imprese, ai Comuni, alla spesa sociale.
Occorre, anzi urge sostenere direttamente consumi e investimenti produttivi. Se il rilancio avverrà e riuscirà a migliorare i conti dello Stato, solo allora si potranno diminuire le imposte avviando un circolo virtuoso purché la riduzione sia concentrata sui redditi del ceto medio fino a 70-80 mila euro di reddito.
Se Tremonti dicesse questa verità meriterebbe plauso. Ma il Cavaliere lo ripudierebbe come Delfino. Perciò non la dice. Ma sa che gran parte degli italiani ormai l´hanno capita. Solo don Gianni e la gentile Prestigiacomo non lo sanno. Beati loro, ignari nella loro dolce incoscienza.
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Naturalmente anche le turbolenze del dopoguerra iracheno si ripercuotono pesantemente sulla congiuntura internazionale e quindi sulla nostra.
Soprattutto attraverso l´aumento del prezzo del petrolio, ormai stabilizzato in un range tra i 35 e i 40 dollari il barile. Non a caso il terrorismo di Al Qaeda picchia duro sugli oleodotti e sugli impianti petroliferi sauditi perché è quello il punto sensibile ed è lì, nella terra dell´estremismo wahabita, che il pesce terrorista trova il suo migliore alimento e la sua copertura.
Mentre scriviamo arriva la notizia che decine di lavoratori e tecnici in Arabia Saudita sarebbero in ostaggio nelle mani degli attentatori; notizia pessima da ogni punto di vista che dimostra per l´ennesima volta come tra la guerra all´Iraq e il terrorismo fondamentalista non c´è alcuna connessione, salvo di averne accresciuto la pericolosità e l´estensione tra popolazioni sempre più anti-occidentali e sempre più fanatizzate.
Quanto al caro prezzo del petrolio, esso impedisce che i tassi europei siano abbassati.
Se continuerà, la spinta al rialzo dei tassi diventerà irresistibile. Bisogna seguire con molta attenzione l´evolversi di questa dinamica. Siamo un paese oberato da un debito pubblico enorme e con un onere per il pagamento delle cedole che vieta operazioni finanziarie spericolate.
Finora la base di sostegno delle acrobazie di Tremonti è stato soprattutto l´avanzo primario delle partite correnti al netto degli interessi pagati sul debito. Questa è stata la dote che il centrosinistra ha trasmesso al governo della destra, altro che il tanto strombazzato «buco» che è servito soltanto da alibi alla mancata attuazione del famoso contratto con gli italiani.
Quella pingue dote è stata dilapidata per metà, l´avanzo primario è sceso dal 5 al 2,5 per cento del Pil. Se la finanza di Tremonti continuerà a buttare soldi al vento come finora è avvenuto, l´avanzo primario finirà con scomparire. Allora ogni centesimo di euro speso senza copertura andrà ad aumentare il fabbisogno di cassa e i conti di competenza, la soglia del 3 per cento tra indebitamento e Pil sarà definitivamente travolta, arriveremo al 4 e lo supereremo.
Chi parla di ridurre le imposte in queste condizioni è un irresponsabile.
Uno che vive alla giornata. Uno che crede vero quello che dice rifiutandosi di guardare in faccia la realtà. Uno che risponde con gli insulti a chiunque lo esorti da cambiare strada.
Vedremo tra poco il giudizio degli elettori. Poi quello dei suoi alleati.
Poi quello delle parti sociali. È giusto dire che le elezioni europee non comportano un cambio di governo e tanto meno la fine anticipata della legislatura. In teoria. Ma quando un governo è cotto e rischia di condurre in rovina il paese, queste sottigliezze teoriche perdono ogni validità.
Perseverare nell´errore è diabolico. Credo che molti ne siano ormai persuasi.