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Fiorenza Marco; Sarzanini Imarisio
Il cardinale Sepe e il restauro fantasma
22 Giugno 2010
Beni culturali
Nell’inchiesta del Corriere della Sera, 21 giugno 2010, la disinvolta gestione di Arcus, la società del Mibac nel mirino di Corte dei Conti e magistratura (m.p.g.)

Nell’autunno del 2003 la facciata del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna viene completamente avvolta da un ponteggio esterno. «Manutenzione provvisoria e restauro» si legge sulla targa che segnala lo stato dell’opera. Il progettista è l’architetto Angelo Zampolini, che sette anni dopo diventerà noto per essere l’uomo di fiducia di Diego Anemone, il custode di molti dei suoi segreti. L’impresa a cui sono affidati i lavori è la ditta Carpineto, che in una recente informativa del Ros viene definita «vicina» ad Angelo Balducci, ex Provveditore alle Opere Pubbliche.

«Incongruo»

È solo l’inizio di quegli interventi che nel 2005 beneficeranno di un finanziamento statale da 2,5 milioni di euro, sul quale anche alcuni organi di controllo avevano sollevato molte perplessità. Il primo allarme, infatti, arrivò dalla Corte dei conti, sollecitata da una denuncia del sindacalista della Uil Gianfranco Cerasoli. L'iscrizione nel registro degli indagati del cardinale Crescenzio Sepe, presidente di Propaganda Fide del 2000 al 2006, e dell’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, è stata decisa dalla Procura di Perugia dopo l’acquisizione di una relazione della Corte dei conti nella quale si definisce «incongruo» e «non motivato» lo stanziamento della cifra, destinata a un palazzo extraterritoriale, essendo di proprietà del Vaticano. La stranezza di quella vicenda, e il fatto che i lavori non ebbero mai fine, hanno convinto i pubblici ministeri di essere in presenza di una contropartita concessa da Lunardi - firmatario del decreto insieme all’ex ministro della Cultura Rocco Buttiglione - in cambio dell’acquisto a prezzi decisamente vantaggiosi di una palazzina di Propaganda Fide in via dei Prefetti, a Roma. L’andamento di quel restauro ha sempre avuto una sorte accidentata. Il primo ponteggio venne smontato nel febbraio 2004. I lavori ripresero nell’estate del 2005, sempre con lo stesso progetto, dopo che all’interno degli «interventi in materia di spettacolo ed attività culturali» previsti per il varo di Arcus, la spa governativa che si occupa di edilizia culturale, venne deciso uno stanziamento di 2,5 milioni di euro per il restauro del palazzo. Cambiò la ditta appaltante, con l'ingresso della Italiana Costruzioni.

La Corte dei conti

Il totale delle spese previste per un secondo blocco di 26 lavori deliberato da Arcus era di 24,70 milioni di euro. La voce più alta nel capitolo riguardante gli ultimi 13 interventi previsti era proprio quella relativa alla palazzina del Vaticano. Al secondo posto, i lavori per la Metropolitana di Napoli, nelle stazioni Duomo e Municipio (1.5 milioni). In una relazione sul funzionamento generale di Arcus, la Corte dei conti critica pesantemente l’assenza di un regolamento attuativo, previsto in origine ma mai redatto. In questo modo, scrivono i giudici, le scelte non vengono mai fatte da Arcus, ma direttamente dai vertici dei ministeri, senza la necessità di alcuna spiegazione. «Il soggetto societario in mano pubblica è stato trasformato in un organismo che in concreto ha assolto prevalentemente una funzione di agenzia ministeriale per il sostegno finanziario di interventi, decisi in via autonoma dai ministri e non infrequentemente ed a volte anzi dichiaratamente, indicati come integrativi di quelli ordinari, non consentiti dalle ridotte disponibilità correnti del bilancio». La mancata esplicitazione della logica delle decisioni operate «dai ministeri e non da Arcus», scrive nel 2007 la Corte dei Conti, «avrebbe portato a decisioni apparentemente non ispirate a principi di imparzialità e trasparenza».

Il sospetto

L’episodio della palazzina di piazza di Spagna viene considerato importante perché fa emergere il contesto di presunte reciproche utilità tra il ministro e il religioso. Ma all’esame degli investigatori c’è la gestione complessiva del nutrito comparto immobiliare di Propaganda Fide ai tempi in cui la congregazione era presieduta dal cardinal Sepe. Tra il 2001 e il 2005 molti appartamenti e palazzi di Propaganda Fide vennero ristrutturati proprio da Diego Anemone. Nei giorni scorsi i carabinieri del Ros di Firenze hanno acquisito dal ministero delle Infrastrutture altri appalti e stanziamenti decisi da Lunardi, per verificare se tra quelle carte non vi sia qualche altra utilità fatta giungere tramite Balducci e il ministero a Propaganda Fide. Inoltre sarebbero in corso accertamenti sull’assunzione di un nipote del cardinal Sepe presso l’Anas, azienda pubblica dipendente dalle Infrastrutture. Candidamente, Lunardi ha raccontato che a gestire gli immobili della congregazione era Balducci insieme a Pasquale De Lise, ex presidente del Tar laziale, recentemente nominato presidente del Consiglio di Stato, e al genero di quest’ultimo, l’avvocato Patrizio Leozappa. Gli investigatori avevano già segnalato in una informativa gli «stretti contatti» tra Balducci e De Lise, senza ulteriori precisazioni. In una conversazione del 4 settembre 2009 l’alto magistrato chiama Balducci e gli accenna al fatto che, su input di Leozappa, si è anche «occupato» - le virgolette sono dei carabinieri del Ros - di un provvedimento di rigetto del Tar del Lazio che avrebbe favorito il Salaria Sport village, la struttura riconducibile a Diego Anemone dove Guido Bertolaso avrebbe usufruito di alcune prestazioni sessuali. È un provvedimento per il quale Leozappa incassa i complimenti telefonici di Anemone, per poi replicare: «Io il mio lo faccio». Neppure il nome di Leozappa è inedito. Appare nell’inchiesta fiorentina sulla presunta cricca, perché lavora spesso con l’avvocato d’affari Guido Cerruti, scelto da Balducci per aiutare l’imprenditore Riccardo Fusi in un suo contenzioso con lo Stato e arrestato lo scorso marzo.

Il magistrato

L’ultimo nome noto ricorrente in questa nuova fase dell’inchiesta perugina è quello di Mario Sancetta. Il regolamento di Arcus del quale la Corte dei conti lamenta la mancanza era stato affidato in origine proprio a lui, magistrato di quell’organismo, attuale presidente di sezione, indagato a Perugia per corruzione. Gli investigatori si stanno rileggendo alcune intercettazioni riportate in una informativa del Ros dello scorso settembre. Il 25 giugno 2009, Sancetta è al telefono con Rocco Lamino, socio del Consorzio Stabile Novus, di cui faceva parte anche Francesco Piscicelli, l’imprenditore che rideva la notte del terremoto dell’Aquila. Sancetta si lamenta dell’atteggiamento inconcludente che hanno nei suoi confronti Lunardi e «il cardinale», identificato poi come monsignor Sepe, perché «non sufficientemente solleciti al soddisfacimento di richieste di commesse» che il magistrato gli avrebbe fatto pervenire. «Non è che sia molto conclusivo, sto’ cardinale - dice -. Io spero allora di incontrarlo, così gli do sto’ depliant… perché l’altra volta gli diedi tutto quel fascicolo che non serve a niente, insomma… come pure ora devo vedere la prossima settimana a coso… Lunardi… anche lui, perché lui mi ha obbligato… ma la gente si piglia le cose degli altri e non gli fa niente… quella è una cosa indegna». Il canovaccio si ripete in altre telefonate, nelle quali Sancetta accenna alla possibilità di sfruttare il suo rapporto con Lunardi per far avere a Lamino qualche commessa da parte di Impregilo («Ma non so se dargli fiducia…») oppure nell’ambito dei lavori post terremoto, magari facendo leva sul fatto che l’ex ministro ha ancora un procedimento pendente presso la Corte dei conti. «Con Lunardi - dice - c’abbiamo una questione ancora in sospeso».

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