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Franco Cordero
Il Caimano Cola di Rienzo
10 Febbraio 2010
Recensioni e segnalazioni
Similitudini e differenze, a cavallo dei secoli nelle pagine dd’un libro tutto da leggere. La Repubblica, 10 febbraio 2010

ESCE il nuovo libro di Franco Cordero. Si intitola Il brodo delle undici. L'Italia nel nodo scorsoio (Bollati Boringhieri, pagg. 194, euro 14). Sarà in libreria domani. Il giurista, maestro della disciplina procedurale, commenta tutte le distorsioni introdotte nelle norme a vantaggio di pochi e legge le vicende dell'oggi intrecciandole con quelle del passato.

Il Cavaliere in arcione deve le insegne a Bettino Craxi, sultano d'un allegro socialismo d'affari. L'altro nasceva nell'Urbe ancora mezza gotica, anno Domini 1313, aprile o maggio, tra i mulini del Tevere, sotto la Sinagoga, rione Regola, figlio d'un oste, Lorenzo: lo chiamano Nicola; la madre, Maddalena, lava i panni e porta acqua. Morta lei, cresce ad Anagni presso dei parenti e non dev'essere un'infanzia selvatica se, tornato sui vent'anni, apprende l' ars notaria sposando la figlia d'un notaio. Roma pullula d'epigrafi e lui è uno dei pochi lettori: coniuga le fonti giuridiche ai classici; ha sulla punta delle dita grammatica, retorica, dialettica, storie, poeti. L'anonimo autore d'una Cronica in volgare romano dal passo scultorio, databile 1357-58, lo descrive filologo: «deh, como e quanto era veloce lettore!»; racconta bellum gallicum et civile; «tutta die ... speculava nelli intagli de marmo»; solo lui decifra «li antiqui pataffii»; traducei testi, interpreta le figure, rivive i tempi. Chiamiamolo sogno petrarchesco (...) Il Senato è organo nobiliare: i due senatori formalmente investiti del potere esecutivo, con vari magnati ed esponenti delle couches borghesi, visitano Clemente VI, nuovo papa; tra i petita c'è un secondo giubileo, a metà secolo, che porti sollievo economico. In quest'interregno nasce un governo popolare, i tredecim boni viri, priori delle arti; e dobbiamo supporre che l'epigrafista avesse parte nel movimento se (autunno 1342) sale ad Avignone col mandato d'ottenere dal papa una ratifica del nuovo regime.

Sua Santità, benedettino ( in saeculo Pierre Roger) ma poco asceta, anzi incline al fasto, ha un passato accademico nonché politico (cancelliere sotto Filippo) e ama i discorsi ornati. L'emissario romano narra quanto patisca Roma sotto le soperchierie nobiliari (gli avevano ammazzato un fratello): la «diceria fu sì ... bella che subito abbe 'namorato papa Chimento»; il quale «molto concipèo ... contra li potienti». Ovvio risentimento dei baroni, influenti nel Collegio cardinalesco. L'Eminentissimo Giovanni Colonna lavora tra le quinte e Cola cade in disgrazia. Corre l'inverno 1343: povero, infermo, malvestito, sta «allo sole come biscia»; «poca defferenzia era de ire allo spedale» ma, cambiato l'umore (è congetturabile un'intercessione dal molto ascoltato Petrarca), lo stesso cardinale «lo remise davanti allo papa»; sa d'inflazione psichica la lettera in cui riferisce l'esito della missione, qualificandosi console romano, inviato dal popolo. Il soggiorno avignonese dura fin dopo Pasqua 1344. Dal Rodano torna con un buono stipendio, 5 fiorini d'oro al mese, notaio del Tesoro comunale. La penna d'oca non basta, ne usa una d'argento (...).

«Ora te voglio contare como fu fatto cavalieri». Martedì 31 luglio 1347 uno splendido corteo muove dal Campidoglio a San Giovanni; vi confluisce «tutta Roma, maschi e femine»; gran festa nel porticato, musiche, «buffoni senza fine», gare ippiche. In abito bianco, nel crepuscolo, dà l'annuncio al popolo: stanotte «me dego fare cavalieri»; domani udiranno meraviglie, cose che allietano Dio in cielo, gli uomini sulla terra. La gente sfolla. I preti dicono l'ufficio. Siamo al clou: entra nella vasca del battistero, dove Costantino aveva ricevuto il battesimo guarendo della lebbra; «stupore ène questo a dicere» (...). L'ospedaliero Monreale oggi non trova chi gli somigli: asceta della guerra masnadiera, nella cui etica, ferrea come l'armatura, incutere terrore è gesto onorevole; ha una Weltanschauung prossima alla mistica d'eremiti e penitenti, esposta nei manuali de contemptu mundi. Invincibile nelle partite d'armi, subisce l'inganno d'un grasso ciarlatano sull'orlo della fossa: contava d'intervenire al momento topico risolvendo l'affare con profitto; e calcola bene i tempi; l'errore dipende dal pregiudizio cavalleresco.

Non vede fin dove sia pericoloso un notaio codardo: va in Campidoglio e vi resta, colto a tradimento; se ne vergogna. Siamo nei quadri della shame culture: non piange né smaniao spende invettive; era stanco del mondo, sebbene non sia vecchio; regola i conti dell'anima senza pentirsi delle gesta violente (le considera ancora onorevoli), e vive un trapasso da signore, mentre Cola rimane plebeo sotto magniloquente maschera antiquaria.

Notiamo quanto poco gli somigli il Cavaliere regnante anno Domini 2010, soperchiatore fraudolento, piagnucoloso, commediante. C'è del simile nei due Cavalieri quando elaborano messinscene recitando se stessi, mossi dall'Io gonfio, abili comunicatori, maghi del plagio. Cola strega i due giovani occitani, fratelli del terribile Monreale, con la sola parola, avendo perso i carismi: viene senza titolo; il cardinale gli misura le provvigioni; sappiamo quanto poco valga in figura, tra ridicolo e repellente. Infine, sono entrambi plebei. La similitudine finisce qui. Il figlio del taverniere ha un ricco mondo psichico: latinista colto, archeologo, grammatico, retore, dialettico, viveva in trance evocando glorie romane da lapidi, monumenti, rovine, paesaggi lunari; così lavora i cervelli; popolani e baroni ignoranti ascoltano e imparano o almeno intravedono dei fantasmi. Il notaio megalomane modifica l'immaginario collettivo in senso ascendente. L'attuale incantatore non ha mondo psichico: ammesso che esista un'anima, misteriosamente combinata alla macchina corporea, l'Ingegnere cosmico s'era dimenticato d'infondergliela; sotto l'aspetto d'un giulivo imbonitore (quale appariva nella fase rampante) appartiene alla famiglia dei caimani, il cui modello Yahweh vanta allo sgomento Giobbe. O meglio, delle tre anime che san Tommaso mutua dallo scibile aristotelico, gli manca l'intellettiva: non pensa, nel senso complesso del fenomeno; al segnale percettivo rispondono riflessi infallibili e questa struttura assicura dei vantaggi sugli animali pensanti, perché il pensiero induce dubbi, stasi contemplative, conclusioni perplesse. Altrettanto utile è il vacuum morale: gli manca l'organo ossia i sentimenti definibili vergogna e colpa; quando mai gli alligatori soffrono nel ricordo delle prede divorate (...). Tale configurazione anomala spiega tante cose: vedi la sicumera con cui nega quel che ha appena detto (è caso raro scoprirlo veridico); o l'urlo belluino con cui assale chiunque pretenda d'applicargli le regole consuete. Insomma, è una macchina: accumula soldi, istupidisce l'audience, divora i concorrenti, tresca imbrogli, falsifica i conti, affattura le norme con l'automatismo delle ruote dentate; non avere coscienza, che risorsa.

Salta agli occhi quanto i due Cavalieri differiscano in carica agonistica. Al tribuno viene meno dopo sette mesi: era spento già nella grottesca mancata battaglia a Porta Tiberina (...); poche settimane dopo cede il campo chiudendosi nel Castello; atto gratuito, infatti i baroni aspettano tre giorni extra moenia. Felicemente privo della psiche, spesso molesta, il Caimano non patisce malinconie, né rischia cadute endogene, finché almeno sia biochimicamente in sesto. L'8 ottobre 1354 Cola subisce una fine squallida e orribile. Non è pensabile niente d'analogo, tanto diversi sono i contesti seicentocinquantasei anni dopo: era un povero diavolo nell'Urbe ingovernabile; costui dispone d'apparati formidabili, ricchissimo, sicuro della sua stella, fortunato sopraffattore dovunque s'avventuri, bienaimé, altro che Luigi XV; se non vanta exploits intellettuali, è solo perché li considera roba da poco ( risum tenebamus quando un almanacco elettorale raccontava che fosse familiare con l'Erasmo latino); e passa quasi incolume nel ridicolo. Trent'anni fa conniventi e profittatori gli aprivano le porte ritenendolo innocuo, divertente, utile: rampava; è arrivato; chi lo sloggia più? Il notaio romanista aveva un pericoloso daffare con i mercenari, esosi e infidi. Dominus Berlusco assolda quante barbute vuole: fischia e corrono; comanda un apparato letale dell'omicidio bianco e l'adopera; i suoi giornali rodono teschi, affinché ognuno sappia d'essere vulnerabile dai sicari.

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