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Galapagos
Il bluff europeo della tassa alle banche
18 Giugno 2010
Capitalismo oggi
Dietro i toni trionfalistici del nostro governo, la crisi politica dell’Europa che non riesce ad avere una sola anima politica. Da il manifesto, 18 giugno 2010 (m.p.g.)

«L'Europa non ha anima», ha detto l'economista francese Jean Paul Fitoussi ieri al termine di una audizione in commissione Bilancio della Camera. E ha spiegato: «Il problema dell'Europa sta nel fatto che abbiamo creato una zona economica senz'anima, senza governo e senza democrazia vera: questo conduce a politiche sbagliate perché abbiamo solo un bene comune, la moneta, senza avere un governo. Anzi, al contrario, abbiamo competizione tra i Paesi dell'euro e questa si fa al ribasso ed è un dramma perché stiamo entrando in una situazione di deflazione». Quello che è accaduto ieri conferma la giustezza dell'analisi.

Vale la pena partire dal Consiglio d'Europa, massima espressione politica della Ue, che ieri doveva trovare una posizione comune sulla introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie e su una tassazione del sistema bancario. Provvedimenti da presentare al prossimo G20 di Toronto. È finita con un brutto compromesso. In particolare, la tassa sulle banche è un «optional», nel senso che gli stati dovrebbero in ordine sparso introdurre meccanismi di prelievo sulle istituzioni finanziarie per garantire una divisione degli oneri della crisi. Una crisi, vale la pena ricordarlo generata dalle stesse istituzioni finanziarie, ma che finora è stata pagata a piè di lista dalle finanze pubbliche, ovvero da tutti i cittadini. Creare un fondo finanziate dalle stesse banche era una idea niente affatto estremista, ma solo di buon senso. Ma il provvedimento vincolante per tutti non è passato, sembra a causa dell'atteggiamento intransigente della Gran Bretagna, uno dei paesi i cui cittadini hanno più sofferto per la crisi finanziaria e che ora soffriranno ancora di più per i tagli allo stato sociale e agli investimenti pubblici.

Fitoussi ha fatto un altra giusta affermazione quando dice che «stiamo entrando in una fase di deflazione». La conferma è arrivata ieri dal «Bollettino mensile» della Bce, che parla di un fase di crescita con «incremento moderato» a causa dei processi di «aggiustamento dei bilanci» e dalle «prospettive di debolezza del mercato del lavoro». Questo potrebbe portare nel prossimo anno a una crescita ancora più bassa di quella prevista per quest'anno e non per merito dei paesi europei, ma per il sostegno alla domanda che arriva dagli altri paesi. La Bce spiega anche che la crescita moderata nell'area dell'euro è causata da «perduranti tensioni in alcuni segmenti dei mercati finanziari» e da «un livello insolitamente elevato di incertezza». Normalmente, come sosteneva Lorenzo dei Medici, «del doman non v'è certezza», figuriamoci oggi che la percezione comune è di una profonda instabilità e di occupazione che non si trova.

Ci sono poi le «perduranti tensioni finanziarie». Questo dovrebbe obbligare la Ue e il G20 a varare manovre che mettano sotto controllo la speculazione, ma a parte il divieto di vendite allo scoperto varato dalla Merkel nulla è stato fatto non solo perché tra gli stati gli interessi confliggono. Nulla è stato fatto perché le banche sulla speculazione campano, come ci hanno spiegato i dati Usa apparsi alcuni giorni fa, ma ignorati dalla stampa italiana (con l'eccezione de il sole 24 ore e de il manifesto) indicano in oltre 210 mila miliardi di dollari le operazioni sui derivati nel 2009. Operazioni di carta che non danno plusvalore all'economia reale, ma sono in grado di destabilizzarla.

Siamo in una situazione di caos. Gli stati, consapevoli di vivere una fase tremenda, non trovano strumenti comuni per affrontarla con strumenti di controllo più stringenti, tasse anti speculazione e rilanciare gli investimenti pubblici. Perché questo contrasta con l'ideologia dominante. Ne è la prova un'affermazione della Bce che parla dell'importanza delle riforme strutturali. Per poi spiegare che la prima vera riforma è rendere il salario una variabile dipendente del capitale e richiedere «aggiustamenti», cioè diminuzioni a seconda dell'andamento della congiuntura e dell'occupazione. Diminuire i salari e aumentare lo sfruttamento per rilanciare l'economia non serve, soprattutto quando il comportamento diventa generalizzato e amplia lo spazio tra chi è ricco e chi no. D'altronde l'economia è una «triste scienza» che non pone al centro le persone

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