Nell'Italia della Grande Frenata - economica, sociale, politica - le uniche industrie che non rallentano sono quelle del malaffare. Non recedono le agromafie e i traffici di rifiuti tossici, la tratta di schiavi e la prostituzione. Basta scorrere le aride cifre di dossier e rapporti che associazioni e sindacati periodicamente diffondono, per rendersene conto.
Da ultimo, l'annuale rapporto Ecomafie di Legambiente - presentato ieri mattina a Roma - legge in controluce il dibattito politico sull'abolizione dell'Imu e i periodici tentativi di infilare un condono edilizio tra le righe di provvedimenti che legiferano su tutt'altro. Denuncia il presidente dell'associazione, Vittorio Cogliati Dezza: «Quella delle ecomafie è l'unica economia che continua a proliferare anche in un contesto di crisi generale e a costruire case abusive quasi allo stesso ritmo di sempre, mentre il mercato immobiliare legale tracolla. Con imprese illegali che vedono crescere fatturati ed export, quando quelle che rispettano le leggi sono costrette a chiudere i battenti. Un'economia che si regge sull'intreccio tra imprenditori senza scrupoli, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, professionisti senza etica e veri boss, e che opera attraverso il dumping ambientale, la falsificazione di fatture e bilanci, l'evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione degli appalti. Semplicemente perché conviene e, tutto sommato, si corrono pochi rischi».
Al netto degli aspetti penal-giudiziari, dal punto di vista politico-sociale quello che Cogliati Dezza denuncia è il sempiterno «blocco edilizio» di cui parlava Valentino Parlato in un memorabile articolo del 1970 sulla Rivista del manifesto. Parlato riprendeva Engels, secondo il quale «gli esponenti più accorti delle classi dominanti hanno sempre indirizzato i loro sforzi ad accrescere il numero dei piccoli proprietari, allo scopo di allevarsi un esercito contro il proletariato» per mostrare come quel «blocco edilizio», composto da «residui di nobiltà finanziaria e gruppi finanziari, imprenditori spericolati e colonnelli in pensione proprietari di qualche appartamento, grandi professionisti e impiegati statali incatenati al riscatto di una casa che sta già deperendo, funzionari e uomini politici corrotti e piccoli risparmiatori che cercano nella casa quella sicurezza che non riescono ad avere dalla pensione, grandi imprese e capimastri, cottimisti», rappresentava un esercito in grado di bloccare qualsiasi riforma. È lo stesso «blocco» legato al ciclo del cemento che, secondo Vezio de Lucia (La città dolente, Castelvecchi editore), in appena un sessantennio ha cambiato i connotati a un Paese rimasto sostanzialmente immutato per due millenni.
In Italia, spiega Legambiente, l'incidenza dell'edilizia illegale nel mercato delle costruzioni è passata dal 9% del 2006 - alla vigilia della crisi, dunque - al 16,9% stimato per il 2013. Se il crollo del mercato immobiliare ha fatto più che dimezzare le nuove abitazioni - da 305 mila a 122 mila - quelle abusive sono rimaste sostanzialmente invariate: dalle 30 mila del 2006 alle 26 mila del 2013. La spiegazione va ricercata nelle spietate leggi del mercato: costruire una casa in regola costa mediamente 155 mila euro, edificarne una abusiva consente di ridurre le spese a un terzo, non più di 66 mila. Se si valuta, poi, che vedersela abbattere ha quasi la stessa probabilità che vederla crollare per una calamità naturale, si arriva alla conclusione che costruire senza tener conto di vincoli e piani regolatori conviene, e non c'è bisogno di essere dei delinquenti incalliti per diventare un piccolo abusivo. A maggior ragione se si ha la ragionevole certezza che prima o poi arriverà un colpo di spugna: dagli anni '80 a oggi ce ne sono stati tre - uno a firma Craxi, gli altri due Berlusconi.