«Siamo di fronte alla crisi sistemica di un modello che, per poter proseguire, è necessitato ad aggredire i diritti sociali e del lavoro e ad impossessarsi dei beni comuni. Il Forum dei movimenti per l’acqua torna in piazza contro le politiche europee fondate su fiscal compact, pareggio di bilancio, svendita del patrimonio pubblico».
Il manifesto, 13 maggio 2014 (m.p.r.)
Tre anni fa, nel giugno 2011, la maggioranza assoluta del popolo italiano votò un referendum per dire che l’acqua e i beni comuni, essenziali alla vita delle persone e garanzia di diritti universali, dovevano essere sottratti alle regole del mercato e riconsegnati alla gestione partecipativa delle comunità locali. Si è trattato di una cesura storica contro la favola, da decenni imperante, del pensiero unico del mercato e della promessa di ricchezza prodotta dal suo libero dispiegarsi.
Venne allora decretata la fine del consenso all’ideologia del “privato è bello”, mentre la miriade di conflittualità sociali aperte sulla difesa dei beni comuni e dei territori suggerì la possibilità e l’urgenza di un altro modello sociale. Fu allora che, complice la crisi, artificialmente costruita attorno alla trappola del debito pubblico — in realtà una crisi del sistema bancario, scaricata sugli Stati e fatta pagare ai cittadini — venne proposto, con rinnovata forza e ferocia, il paradigma del “privato” che, anche se non più bello, va comunque accettato come “obbligatorio e ineluttabile”. L’obiettivo, tuttora in campo, è la consegna della società, della vita delle persone e della natura ai grandi capitali accumulatisi in trent’anni di speculazioni finanziarie, che, per uscire dal circolo vizioso di bolle che preparano altre bolle, necessitano di investimenti su asset nuovi e altamente profittevoli, beni comuni in primis.
Ed è esattamente nella facilitazione del raggiungimento di questo obiettivo che si colloca la strategia delle élite politico-finanziarie al comando dell’Unione europea e l’azione compulsiva del governo Renzi: privatizzazione di tutti i beni pubblici, siano essi patrimonio o servizi, deregolamentazione totale delle condizioni di lavoro, messa a valorizzazione finanziaria del territorio e della natura, piena libertà di movimento per i capitali finanziari e messa a disposizione degli stessi della ricchezza sociale e delle risorse a disposizione. In attesa che, con il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (Ttip), in piena e segreta negoziazione fra Ue e Usa, si crei la più grande area di libero scambio del pianeta realizzando l’utopia delle multinazionali. Che tutto questo necessiti di una drastica riduzione della democrazia, appare evidente da diversi fattori di stretta attualità: le proposte di riforme istituzionali e di una nuova legge elettorale, tese all’azzeramento di ogni ruolo dell’attività parlamentare e al rafforzamento autoritario dei poteri degli esecutivi; l’attacco definitivo alla funzione pubblica e sociale degli enti locali, con l’obbligo, sotto la scure del patto di stabilità, della messa sul mercato di patrimonio, servizi e territorio; la repressione messa in campo contro i movimenti sociali, dalle assurde accuse di terrorismo per gli attivisti No Tav alla sconsiderata gestione dell’ordine pubblico nelle piazze di Roma e Torino.
Siamo di fronte alla crisi sistemica di un modello che, per poter proseguire, è necessitato ad aggredire i diritti sociali e del lavoro e ad impossessarsi dei beni comuni. Le conseguenze di questa perseveranza nelle politiche di austerità sono più che evidenti: un drammatico impoverimento di ampie fasce della popolazione, sottoposte a perdita del lavoro, del reddito, della possibilità di accesso ai servizi, ai danni ambientali e ai conseguenti impatti sulla salute, con preoccupanti segnali di diffusione di disperazione individuale e sociale.
Ma a tutto questo è giunto il momento di dire basta. In questi anni, dentro le conflittualità aperte in questo paese, sono maturate esperienze di lotta molteplici e variegate, tutte accomunate da un comune sentire: non vi sarà alcuna uscita dalla crisi che non passi attraverso una mobilitazione sociale diffusa per la riappropriazione sociale dei beni comuni, della gestione dei territori, della ricchezza sociale prodotta, di una nuova democrazia partecipativa. Sono esperienze che, mentre producono importantissime resistenze sui temi dell’acqua, dei beni comuni e della difesa del territorio, dell’autodeterminazione alimentare, del diritto all’istruzione, alla salute e all’abitare, del contrasto alla precarietà della vita e alla mercificazione della società, prefigurano la possibilità di una radicale inversione di rotta e la costruzione di un altro modello sociale e di democrazia.
Grazie ad una proposta avanzata dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, tutte queste esperienze si sono incontrate, si sono riconosciute e hanno giudicato maturo il tempo di prendere parola, per riaprire lo spazio pubblico della speranza e dell’alternativa, promuovendo tutte assieme una manifestazione nazionale a Roma per sabato 17 maggio. Un appuntamento collettivo — radicale nei contenuti, pacifico, colorato e partecipativo nelle pratiche — che chiama le donne e gli uomini di questo paese a dire, tutte e tutti assieme, come non vi sia alcuna uscita possibile dalla crisi, perseguendo le politiche di austerità dell’Unione europea e del governo Renzi, fatte di Fiscal Compact, patto di stabilità, pareggio di bilancio, svendita del patrimonio pubblico e dei territori, precarizzazione e privatizzazioni.
Una grande alleanza sociale dal basso, aperta e inclusiva, per riappropriarsi della possibilità di un futuro diverso, e per affermare come, tra la Borsa e la vita, abbiamo scelto la vita. Con l’allegria di chi vede l’orizzonte, con la determinazione di chi conosce l’insopportabilità del presente.