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Sebastiano Canetta ed Ernesto Milanesi
Il 15 la Laguna cerca un sindaco, la carta Casson sotto i gazebo Pd
28 Febbraio 2015
Articoli del 2015
Una panoramica interessante sulla situazione pre-elettorale nel Veneto e a Venezia. Ma lo sguardo è rivolto quasi esclusivamante all'universo dei partiti e partitini che costituiscono i frammenti grandi e piccoli della sinistra storica. C'e anche dell'altro.

Il manifesto, 27 febbraio 2015

La Liga è sem­pre una sicu­rezza: prima le guerre inte­stine, poi il Veneto. E para­dos­sal­mente si capirà domani a Roma l’esito del brac­cio di ferro fra il gover­na­tore Luca Zaia e il sus­si­dia­rio sin­daco di Verona Fla­vio Tosi. In 48 ore Mat­teo Sal­vini si gioca la fac­cia nella capi­tale e la lea­der­ship nel gran con­si­glio, che dovrà met­tere fine alla «guerra del Nord Est».

Si vota a mag­gio per le Regio­nali, ma le grandi mano­vre nel cen­tro­de­stra par­tono dall’implosione di Forza Ita­lia orfana di Gian­carlo Galan (ai domi­ci­liari per lo scan­dalo Mose). Se dav­vero esplo­desse anche la Lega, si ria­pri­rebbe lo sce­na­rio poli­tico dopo un ven­ten­nio. Ci conta Ales­san­dra Moretti che già batte a tap­peto ogni angolo del Veneto: il Pd di Renzi ha l’ambizione di repli­care il modello Ser­rac­chiani, tanto da imbar­care per­fino gli «auto­no­mi­sti» di Franco Rocchetta.

Ma la vera par­tita si sta gio­cando a Vene­zia. Il 15 marzo sono fis­sate le Pri­ma­rie del cen­tro­si­ni­stra: in lizza per la can­di­da­tura a sin­daco l’ex pm e sena­tore «dis­si­dente» Felice Cas­son, il gior­na­li­sta Nicola Pel­li­cani e l’ultrà ren­ziano Jacopo Molina. Sull’altro fronte, invece, domani mat­tina all’hotel Rus­sott di Mestre rompe gli indugi Fran­ce­sca Zac­ca­riotto: «Il nostro domani ini­zia oggi» è lo slo­gan su sfondo aran­cio e gri­gio dell’ex pre­si­dente (ed ex leghi­sta) della Provincia.

È la mara­tona elet­to­rale che mette in palio la pol­trona di Ca’ Far­setti con l’ingombrante ere­dità di Gior­gio Orsoni (a pro­cesso sem­pre causa Mose, uno spet­tro che si allunga sull’intero ver­tice Pd di fe
de ber­sa­niana). Intanto il Car­ne­vale ha rega­lato il cor­teo in Canal Grande di maschere, bar­che alle­go­ri­che e vele spie­gate con­tro le lobby che can­ni­ba­liz­zano la laguna. Il Comi­tato No Grandi Navi non molla, anzi. E alla pre­sen­ta­zione di «Se Vene­zia muore» di Sal­va­tore Set­tis si è regi­strato un signi­fi­ca­tivo «pienone».

La città-cartolina da sogno sem­bra inghiot­tita dal buco nero di affari & poli­tica. Il Mose — la grande opera della Repub­blica per anto­no­ma­sia, con 5,5 miliardi di euro solo di lavori pub­blici – è sci­vo­lato ai mar­gini del circo media­tico. Come se l’architettura della «fat­tu­ra­zione paral­lela» (messa a punto fra la sede del Con­sor­zio Vene­zia Nuova a Castello 2737/f e la suc­cur­sale di Piazza San Lorenzo in Lucina 26) non fosse stata clo­nata altrove.

Vene­zia come nel 1630, all’epoca della peste nera: è cer­ti­fi­cato dalla Pro­cura alle prese con un «sistema» che spa­zia dalle auto­strade ai nuovi ospe­dali, dalle boni­fi­che all’urbanistica.

Intanto, il Comune soprav­vive nell’interregno dell’ordinaria ammi­ni­stra­zione. Il com­mis­sa­rio straor­di­na­rio Vit­to­rio Zap­pa­lorto con­se­gnerà un bilan­cio pesante, nono­stante la man­naia da 47 milioni abbat­tu­tasi su ser­vizi sociali e buste paga dei dipen­denti. Gli affari, però, non si fer­mano. C’era una volta il nuovo palazzo del cinema: vero e pro­prio buco al Lido, costato 40 milioni. E Zap­pa­lorto ha messo in ven­dita Villa Hèriot alla Giu­decca (10 milioni), con annessa «oppor­tu­nità» di tra­sfor­marla in albergo.

In attesa del voto, ogni lobby lavora a pieno regime. Lo testi­mo­nia in modo ine­qui­vo­ca­bile la rela­zione della Guar­dia di Finanza che ripro­duce la «mobi­li­ta­zione» in vista dello scavo del canale Con­torta. È la mini-Grande opera indi­spen­sa­bile a dirot­tare le gigan­te­sche navi da cro­ciera. A marzo 2014, Pier­gior­gio Baita (ex pre­si­dente Man­to­vani Spa, appena scar­ce­rato) insieme ad Atti­lio Adami (pre­si­dente di Pro­tecno Srl di Noventa Pado­vana) si «attiva» con Maz­za­cu­rati del Cvn affin­ché Paolo Costa (pre­si­dente dell’Autorità por­tuale) asse­gni il can­tiere alle imprese del «giro Mose». Inter­cet­ta­zioni agli atti.

In ter­ra­ferma, invece, si vola. Nel qua­drante Tes­sera si pro­fila la seconda pista dell’aeroporto cal­deg­giata dal pre­si­dente di Save Enrico Mar­chi, ma il master­plan rulla su ben altre rotte. Con­tem­pla un tun­nel per il Tav e addi­rit­tura la metro­po­li­tana subla­gu­nare; con­ta­bi­lizza oltre 3 milioni di metri cubi di cemento nelle stesse aree «sal­vate» dal piano comu­nale; fa scat­tare l’«imbonimento» delle barene per inte­resse pub­blico. Infine, si rici­cla l’Expo con il padi­glione Anta­res a ridosso del Parco Vega. Michele De Luc­chi, l’architetto del «padi­glione zero» di Milano, replica in laguna la strut­tura poli­fun­zio­nale rea­liz­zata da Con­dotte Immo­bi­liare. Una «rige­ne­ra­zione» a Mar­ghera che vale 30 milioni. Ma si conta sull’arrivo di 156 milioni che il governo deve aggiun­gere in tre anni per la «nuova fiera del Nord Est». A gestirla fino al 2027 sarà Expo Venice, Spa a cavallo fra isti­tu­zioni, cate­go­rie eco­no­mi­che e pri­vati.

Dal Mose all’Expo, dun­que: Vene­zia doget?

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