«Mi vendo!», la canzone di Renato Zero sembra ormai compendiare la triste sorte del MAXXI, il museo, ma forse l’ex Museo delle arti e dell’architettura del XXI secolo di Roma, in via di trasformazione in una sorta d'appendice di un polo del lusso, nascente sotto gli auspici di Bernard Arnault e del gruppo Fendi e Vuitton. Ma sì, la meravigliosa struttura progettata da Zaha Hadid sarebbe destinata a diventare il solito polo multifunzione, in sostanza un pot-pourri all'insegna della commercializzazione».
Faccio in fretta un altro inventario, smonto la baracca e via» recita la canzone di Zero e infatti l'idea è presto detta: al posto dei due edifici ancora da realizzare dell'originario progetto, ecco un bel palazzotto del lusso ad usum Fendi - Vuitton, costruito a spese di Arnault (25 milioni di euro), che lo avrebbe suo per 40 anni al prezzo di circa 500 mila euro l'anno. Dunque, via la biblioteca archivio e via il museo con archivi dell'architettura, largo alla moda, al lusso, all'eccesso: «Io vendo desideri e speranze in confezione spray» cantava Zero. Il progetto nasce dalla direzione di Pio Baldi, prima che la struttura fosse commissariata, ed è perseguito con convinzione dall'attuale commissario Antonia Pasqua Recchia. che al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali riveste anche il ruolo apicale di segretario generale. Chiaro l'intento: racimolare soldi privati per il Maxxi, nato come molte altre Fondazioni sotto i peggiori auspici, vale a dire con un solo socio lo Stato - ma a che serve fare un ente privato di proprietà solo pubblica?-, e per di più quando era ministro Bondi e dunque con un finanziamento miserrimo.
Eppure non poche sono le perplessità: innanzi tutto il nascente palazzotto del lusso, il cui progetto preliminare dovrebbe essere di Zaha Hadid, sorgerebbe su un terreno dello Stato, - difficile capire se dell'Agenzia Spaziale Italiana o del Mibac dunque sarebbe un cosiddetto progetto di finanza (project financing) assegnato al miliardario del lusso Arnault senza bandi o concorsi, cosa discutibile da un punto di vista legale. Anche il manufatto poi sarebbe dello Stato e quindi per la costruzione ci dovrebbe essere un altro bando pubblico, con tutto ciò che comporta di aumento dei costi e probabili ricorsi - basti ricordare o costi del Maxxi stesso pressoché triplicati. Lecito chiedersi se alla probabile crescita della spesa dai preventivati 25 milioni farà fronte lo Stato Pantalone o andrà a detrimento del canone di affitto. Per dirla con Zero «Mi vendo, e già! A buon prezzo si sa», perché anche ammesso tutto funzioni, e sarebbe davvero straordinario, in cambio il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali avrebbe una cifra modesta da girare al Maxxi: 500 mila euro a fronte di un fabbisogno che si aggira sui 10 milioni l'anno.
Ma a comandare sono sempre l'appalto, il cemento e i soldi che portano: in altre parole, molti pensano che il recente commissariamento del Maxxi, con tanto di tradimenti interni alla sua direzione, nasca dalla volontà di «controllare. da vicino gare e assegnazioni da parte di vecchie e nuove cricche. E sono cose che capitano quando il marketing si sostituisce alla cultura. Proporrebbe Zero: «Ti vendo, un'altra identità» perché poi la presenza di un vicino potente e, come capita ai potenti, anche arrogante come la moda e il lusso, probabilmente andrà a infiltrare con logiche di commercializzazione un museo come il Maxxi, già penalizzato da penuria economica ma forse anche da scarsità di idee.
E lo dimostra il fatto che per cercare finanziatori non si sia puntato sull'attività del Maxxi, trovando privati disposti a sostenerla, ma sul sempiterno mattone. Stupisce però che il Mibac usi strumenti come il progetto di finanza che funziona, e non sempre. nell'espansione delle città, ma assai meno nella cultura. E la storia del Maxxi è il simbolo di tante altre strutture pubbliche, costruite a caro prezzo con i soldi dei contribuenti, gestite attraverso stratagemmi come le fondazioni con criteri privatistici -che avrebbero dovuto essere la salvezza di queste stesse strutture- e alla fine svendute ai privati: è il momento di ricominciare pensare a musei pubblici con la pretesa che funzionino. Altrimenti: «Mi vendo la mia felicità, ti dò quello che il mondo distratto non ti dà».