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Ignazio Marino
Ignazio Marino: «Primarie ipocrite, io non parteciperò e a Roma il Pd non presenti il simbolo»
22 Gennaio 2016
Roma
Indire a Roma le primarie per il candidato sindaco sarebbe per il PD un grave errore, dopo aver calpestato le scelte dei cittadini e aver cacciato il sindaco eletto a grande maggioranze con il pesante atto di prevaricazione compiuto nei confronti del consiglio comunale.
Indire a Roma le primarie per il candidato sindaco sarebbe per il PD un grave errore, dopo aver calpestato le scelte dei cittadini e aver cacciato il sindaco eletto a grande maggioranze con il pesante atto di prevaricazione compiuto nei confronti del consiglio comunale. La Repubblica, 22 gennaio 2016

Caro Direttore, le primarie sono uno straordinario strumento di partecipazione e di democrazia. Io stesso vi ho preso parte per ben due volte: nel 2009 contro Pierluigi Bersani e Dario Franceschini, per la carica di segretario del Pd, e nel 2013, quando venni scelto come candidato sindaco di Roma, staccando di quasi 30 punti David Sassoli e di 40 Paolo Gentiloni. A quelle consultazioni, avvenute meno di tre anni fa, parteciparono più di 100 mila romani, che mi scelsero con oltre il 55% dei voti. Immediatamente dopo mi dimisi da senatore per correre senza alcun paracadute.

Ma le primarie hanno un senso a patto che chi le propone e chi vi partecipa ne rispetti il valore e poi l’esito. Se si calpesta la scelta dei cittadini, com’è successo a Roma, si svuota il significato stesso di quelle consultazioni. Per questo ho trovato sconcertante la decisione del segretario del Pd, Matteo Renzi, di indire nonostante tutto le primarie per la candidatura a sindaco di Roma. Mi chiedo come possa Renzi non vedere il danno arrecato al Pd e all’istituto stesso delle primarie dalle sue decisioni e pensare di andare avanti come se niente fosse. Non capisco come ritenga credibile chiedere alle elettrici e agli elettori romani di sacrificare una domenica mattina, mettersi in coda, versare i due euro e indicare il nome del proprio candidato sindaco, dopo che egli ha eliminato con un atto di forza chi quelle primarie aveva vinto l’ultima volta.

Il Presidente del Consiglio non si rende conto che con la sua interferenza sull’Amministrazione cittadina, interferenza che in altri casi egli stesso ha definito inaccettabile perché “il sindaco lo eleggono i cittadini”, ha reso le primarie, almeno a Roma, un rottame inutilizzabile. Convocando gli assessori della Giunta nella sede del Partito Democratico per imporgli di dimettersi e costringendo tutti i consiglieri comunali del Partito Democratico ad allearsi con la destra e a rimettere in blocco il mandato da un notaio, con il solo scopo di provocare la caduta del sindaco, Renzi e chi lo rappresenta a Roma hanno violato l’etica di una sana politica e il rapporto di fiducia fra il Pd e i suoi sostenitori, che il 7 aprile 2013 affidarono a me l’onore di candidarmi alle elezioni che poi vinsi con il 64% dei voti.

Rotto quel patto, le primarie non hanno più alcun valore, perché il loro esito può essere capovolto per ordine del vertice del partito. Dirò di più: il Pd a Roma non dovrebbe nemmeno partecipare con il proprio simbolo alle elezioni amministrative del 2016. Troppo lacerante è stata l’eliminazione del sindaco scelto dagli elettori, troppo contraddittori i comportamenti e le dichiarazioni dei vertici del Pd, troppo pretestuose e in malafede le giustificazioni. Troppo evidente l’inganno perpetrato ai danni delle cittadine e dei cittadini di Roma, troppo lampanti i benefici delle lobby e dei potentati. Eliminando il sindaco, i consiglieri del Pd hanno eseguito un ordine del capo, e forse qualcuno ne beneficerà personalmente, ma hanno destinato il Pd alla dannazione politica.

Almeno a Roma, almeno per questa tornata elettorale, oggi il Pd è ormai diventato il problema e non la soluzione. Non a caso, si susseguono in questi giorni indiscrezioni su candidati del Partito Democratico alle primarie romane. Molte persone si sono rifiutate. Il vicepresidente della Camera dei Deputati, con le spalle coperte dal suo ruolo di garanzia istituzionale, ha alla fine ceduto ed ha dato, seppur malvolentieri, la propria disponibilità. Ma non lascerà il suo incarico parlamentare, a riprova che non ci crede nemmeno lui fino in fondo, perché è facile candidarsi quando si ha un paracadute d’oro sulle spalle.

Non sorprende tuttavia che nessun esponente di spicco del Pd abbia finora accettato la sfida. Candidarsi per ordine di Renzi significherebbe accettare una logica secondo cui, in caso di vittoria, a governare Roma sarà il capo del partito e del governo, mentre il sindaco sarà ridotto a una sorta di commissario esecutore.

Con la sua sciagurata gestione, la credibilità del Pd romano ha subito e inferto un grave danno: la pretesa di giocare un ruolo da protagonista in questa fase non è oggettivamente credibile.
Ma il partito ha ancora margini per dare un contributo, se avrà il coraggio e l’onestà di ammettere il grave abuso commesso e di compiere un gesto di serietà, umiltà e di lungimiranza. Solo così potrà aiutare le forze civiche di Roma a trovare la motivazione necessaria per dire no all’avanzata del Movimento 5 Stelle che si propone come raccoglitore del malcontento e della protesta, ma che appare privo, almeno per ora, di un candidato.

Per concludere, caro Direttore, molti in queste settimane mi hanno chiesto cosa farò io. Posso solo dire cosa non farò, e cioè: non parteciperò alle primarie del Partito Democratico.

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