Nei giorni di Natale Roma era tappezzata da manifesti del Pdl che vantavano una drastica diminuzione dei reati. Qualche giorno fa un altro annunciava trionfante «tolleranza zero» verso gli immigrati. Parole vuote, a giudicare dall'ennesimo dolorosissimo caso di violenza sessuale contro un'adolescente. Eppure sono parole che incutono spavento, perché mancando una cultura alternativa, Alemanno e il governo nazionale daranno sfogo alla frustrazione dei loro fallimenti incrementando intolleranza e sentimenti razzisti. Siamo costretti a difendere i pochi spazi di ragionevolezza contro un imbarbarimento fatto di castrazioni chimiche, di "cattiveria" e di ronde. Basterebbe invece analizzare le motivazioni di potere che hanno alimentato il clima di paura.
Per ripristinare la "sicurezza", Alemanno ha messo in atto tre provvedimenti. Il primo è stato quello di vietare l'ingresso al centro storico di immigrati con i borsoni. Un provvedimento miope, teso a colpire non già l'illegalità del commercio di griffe contraffatte ma soltanto a scongiurare che quelle vendite avvenissero nel "salotto buono". Così i venditori si sono spostati in periferia. Il centro è diventato un modello di convivenza? Le cronache testimoniano un degrado crescente: vicoli e strade sono vuote di merci ma piene di bottiglie rotte delle interminabili notti di baldoria. In compenso la potentissima categoria dei commercianti del centro è stata accontentata.
Il secondo provvedimento è quello della rabbiosa opera di demolizione delle baracche e dei ricoveri di fortuna che sorgono in ogni luogo della città. La crescita urbanistica di Roma è la più anarchica del mondo occidentale e questi luoghi abbandonati sono infiniti. Lotti inedificati, aree verdi mai realizzate o in stato di abbandono. E così via. La cecità di questa politica sta nell'assenza di qualsiasi forma di assistenza alloggiativa. Si demolisce e basta. Così le baracche vengono ricostruite a qualche centinaio di metri di distanza o anche sugli stessi posti di prima. Il degrado si diffonde a macchia d'olio e non saranno le demolizioni a fermare la disperazione. Ma, anche qui, il dovere è compiuto: un regalo ai fedeli costruttori romani prevedendo una gigantesca espansione nell'agro romano. Invece di risanare l'esistente completando tutti i luoghi incompiuti, ci si espande, così da creare tanti altri luoghi adatti per le baraccopoli. La lobby del mattone è accontentata.
Il terzo provvedimento è simbolico e terribile al tempo stesso: restituire le armi ai vigili urbani dopo che ne erano stati privati oltre vent'anni fa dal clima culturale allora egemone. Un pensiero alto sulle città costruito da sindaci come Argan o Novelli a Torino, da grandi urbanisti come Salzano a Venezia, da intellettuali come Piero Della Seta e Maria Michetti. Quel pensiero complesso è stato buttato alle ortiche per abbracciare una visione economicistica delle città. Le persone sono scomparse: sono rimasti solo affarismo e cinismo. Non è per questo che Renato Soru è stato sconfitto in Sardegna?
E si stenta ancora, nonostante il crollo mondiale del neoliberismo, a fare i conti con la stagione della deriva culturale. In questi giorni a Roma è stato dato il via allo svolgimento di una gara del campionato mondiale di Formula 1. Non stupisce che il centro destra creda ancora nelle sorti del neoliberismo. Stupisce il silenzio della sinistra. Manca dunque una convincente cultura urbana fatta di tolleranza e inclusione. Un grave limite che non permette di riacquistare consenso e fiducia in un elettorato disorientato. E finché non saranno stati fatti i conti con l'acritica accettazione della concezione urbana liberista, dovremo rassegnarci al trionfo della paura, dell'intolleranza e del razzismo.