Dopo le documentate denunce della stampa d'Oltreoceano anche i media italiani più vicini ai governi ENI grondano indignazione. Meglio tardi che mai. Articoli di Goffredo De Marchis e Francesca Caferri.
laRepubblica, 17 agosto 2017
REGENI, LITE SUIDOSSIER DAGLI USA
IL GOVERNO: MAI RICEVUTO DOCUMENTI
di Goffredo De Marchis
«Il New York Times:l’Italia fu informata sulle responsabilità dietro la morte del ricercatoreSalvini: gravissimo. I grillini: riaprite le Camere. I genitori di Giulio inEgitto a ottobre»
Il governo è sicuro: non esiste alcun documento trasmesso in via ufficiale dall’amministrazione americana all’esecutivo italiano sulla morte di Giulio Regeni. Dopo l’articolo del New York Times,
la sera di Ferragosto c’è stato un giro di telefonate tra gli attori dell’esecutivo: Gentiloni, Alfano, Minniti e l’ex premier Renzi. Con incarichi diversi, ognuno aveva un ruolo nella vicenda anche al tempo dei fatti raccontati dal quotidiano Usa: alla Farnesina, alla presidenza del consiglio, al Viminale, ai servizi segreti. Nessuno ha ricevuto niente. Mai Barack Obama, nei suoi incontri con il presidente del Consiglio Renzi, ha parlato del ricercatore ucciso. E comunque tutti gli atti in possesso dell’esecutivo sono stati consegnati alla Procura di Roma che indaga sull’omicidio. Questa è la versione di Palazzo Chigi.
Dunque, il New York Times sbaglia, perlomeno nel collegare le “prove esplosive” a livelli istituzionali italiani. Un altro conto sono gli scambi tra intelligence, ma questo non coinvolgerebbe responsabilità politiche. Il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, parla di «bufala» del Nyt, e si spinge a dar voce ad alcuni sospetti che circolano in ambienti di governo: «Con quell’inchiesta si vogliono colpire gli interessi italiani in Egitto e in particolare quelli dell’Eni».
Il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo non subirà uno stop. Ma nella capitale egiziana si preparano ad andare anche i genitori di Regeni. Lo faranno il 3 ottobre, anche se la madre di Giulio, Paola Deffendi, non esclude un viaggio anticipato per «prendere le carte, quelle vere». In un’intervista a Rainews24, i genitori del ricercatore non mettono in discussione la scelta di Gentiloni di riaprire i rapporti diplomatici con Al Sisi. Il punto è usare argomenti diversi dal nome di Giulio, dicono. La ragion di Stato, la presenza italiana in un Paese chiave per le dinamiche mediterranee. Ma non il nome di Giulio.
La mamma e il papà di Regeni chiedono di essere accompagnati al Cairo da «una scorta mediatica» per tenere vivo l’interesse sul caso. Iniziativa sostenuta dal presidente del sindacato dei giornalisti Beppe Giulietti. Il primo a chiedere un congelamento del ritorno dell’ambasciatore, almeno per il tempo utile a tradurre le ultime carte inviate dagli investigatori egiziani. Una linea che trova qualche sostegno anche tra le forze politiche.
Per il momento però le opposizioni sostengono la linea dura puntando il dito sulla scelta diplomatica del governo e chiedendo chiarimenti sui fatti rivelati dal New York Times. Alessandro Di Battista accusa Gentiloni, Renzi, Minniti e Alfano: «Sono traditori della patria. Vengano riaperte le Camere e i protagonisti riferiscano in aula ». I 5 stelle chiedono a una commissione d’inchiesta parlamentare sul caso. Anche Sinistra italiana chiede un informativa urgente, così come Pippo Civati che presenterà un’interrogazione parlamentare. Matteo Salvini incalza: «Se la ricostruzione del Nyt fosse vera, sarebbe gravissimo». Il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani invece non critica la decisione del governo: «Ma questo non significa non continuare a cercare la verità». Verità che l’Egitto giura di aver sempre detto e il ministro degli Esteri del Cairo Ahmed Abou Zeid dice: «Dopo l’ambasciatore, ora tornino i turisti».
L’UOMO CHE PER OBAMA SEGUÌ IL CASO:
“ORDINAI AGLI 007: AIUTATE GLI ITALIANI”
di Francesca Caferri
«La fonte del Nyt:“Le informazioni arrivarono alla vostra intelligence Era chiaro che il delittofu voluto dai servizi egiziani e che i vertici del regime sapevano”».
«Chiedemmo dipassare agli italiani quante più informazioni possibili. La scelta di nontrasmettere tutto quello che avevamo fu fatta per proteggere le fonti che ciavevano aiutato. Per questo non so dire se fu rivelata l’identità dell’unitàspecifica responsabile della morte di Giulio. Molto probabilmente quello chearrivò non era materiale che si poteva usare in un processo, perché non erastato raccolto seguendo canali tradizionali. Ma non ho dubbio alcuno che daidocumenti che trasmettemmo all’Italia si potesse capire quello di cui eravamofortemente convinti: che i servizi di sicurezza egiziani fossero responsabilidel rapimento e dell’omicidio di Giulio Regeni. E che quello che era accadutofosse noto ai livelli più alti dello Stato egiziano ».
L’alto funzionariodell’Amministrazione Obama, una delle persone che ha seguito sin dal primomomento e molto da vicino il caso del ricercatore italiano, pesa le parole unaa una. Ma le dichiarazioni arrivate ieri da Palazzo Chigi non spostano di unavirgola quello che, sempre in forma anonima, ha detto al New York Times e che oggi confermaa Repubblica: nellesettimane successive alla morte di Regeni l’intelligence americana, surichiesta del dipartimento di Stato e della Casa Bianca, trasmise ai colleghiitaliani le informazioni raccolte dai suoi uomini su quello che era accaduto alCairo fra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016.
La fontericostruisce la vicenda con precisione: «Seguimmo il caso di Giulio con moltaattenzione: perché ci aveva sconvolto e perché temevamo che quello che eraaccaduto potesse capitare di nuovo a uno dei nostri cittadini. Non aprimmonessuna inchiesta specifica, ma raccogliemmo tutto il materiale che potevamo.Concludemmo, con forza, che la responsabilità era dei servizi di sicurezza egiziani.Chiedemmo che la condivisione delle informazioni con gli italiani fosse unapriorità per i nostri servizi segreti: non c’era alcuna resistenza, ma volevamocon forza che il passaggio di informazioni fosse fatto senza ritardi perchécredevamo che potesse aiutare a fare giustizia. So per certo che leinformazioni furono trasmesse via servizi segreti, e non per canalidiplomatici: e che lo scambio avvenne in diverse occasioni, non in una solavolta. Tutto questo accadde nelle settimane successive al ritrovamento delcorpo di Regeni».
Quello che l’ex funzionario non sa o non può dire, è qualiinformazioni esatte siano arrivate a Roma: per evitare di identificare le lorofonti, gli americani decisero di non consegnare l’intero fascicolo ma difornire comunque tutto il possibile agli alleati: «Non so se sia stato rivelatoagli italiani quale unità fu responsabile della morte di Giulio: ma fu di certoindicata la responsabilità dei servizi di sicurezza. E il fatto che i verticidello Stato erano a conoscenza di quanto accaduto». Dette così, leparole del funzionario non aiutano a fare luce su uno dei punti più controversiche ancora oggi, a più di 18 mesi dalla morte, circonda la vicenda Regeni: sela responsabilità dei servizi di sicurezza egiziani è (almeno da parteitaliana) ormai chiara, meno semplice è capire a quale dei tre apparatiparalleli del Cairo, - la Sicurezza nazionale, i Servizi segreti veri e proprie i Servizi segreti militari, spesso in competizione l’una con l’altro - sia daattribuire il rapimento, la tortura e l’assassinio del 28nne di Fiumicello.
A domanda direttala fonte si trincera dietro a una frase interlocutoria: «Non so se siano statetrasmesse informazioni su quale fosse l’apparato responsabile », ripete. Paroleche però dicono molto: gli Stati Uniti avevano informazioni in questo senso.Ovvero, erano in grado di dire quale sia l’apparato di sicurezza responsabiledi quello che è accaduto: «Abbiamo raccolto prove incontrovertibili sulleresponsabilità», si limita a dire il funzionario. C’è solo uninterrogativo che il funzionario americano non è in nessuna maniera in grado disciogliere. Lo stesso che agita le notti di Paola e Claudio Regeni: perchéGiulio è stato ucciso? «Posso capire perché era finito nel mirino: in quellegiornate di tensione per l’anniversario di Piazza Tahrir c’era un clima diparanoia e le sue ricerche avevano destato sospetti. Ma perché sia statoucciso, e in quel modo, non so dirlo. Anche io me lo chiedo ancora ».