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Marco Travaglio
I servi furbi
11 Gennaio 2015
Articoli del 2015
«Difendere la satira senza limiti non vuol dire che chi la fa non possa avere limiti. Vuol dire che quei limiti non possono e non devono essere fissati per legge».

Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2015 (m.p.r.)

Eppure non è poi così difficile capirlo che difendere la libertà di espressione non significa condividere tutto quello che pensano, dicono, scrivono e disegnano quelli che se ne avvalgono. Non è poi così difficile capire che difendere la satira senza limiti non vuol dire che chi la fa non possa avere limiti (tutti ne abbiamo, e sono unici al mondo: dipendono dallo stile, dalla cultura, dall’educazione, dalla sensibilità, dall’eventuale fede di ciascun individuo). Vuol dire che quei limiti non possono e non devono essere fissati per legge, con tanto di sanzione a chi li viola: fermo restando il Codice penale per punire chi commette violenze, o istiga a commetterle, ma non chi esprime un pensiero, foss’anche il più bieco e ributtante.

Giovedì a Servizio Pubblico e venerdì sul Fatto ho ricordato come i nostri politici e i loro servi hanno risolto in Italia il secolare dibattito sulla satira: abolendola dalla Rai. Ieri un poveretto con le mèches che scrive su Libero mi ha accusato di aver fatto «senza vergogna» un «odioso paragone tra l’editto islamico e quello bulgaro», cioè di aver messo sullo stesso piano «la vostra industrietta macinasoldi e le vostre barzellette sporche» con «la satira vera, quella degli ammazzati di Parigi». Poi ha ripetuto la vecchia barzelletta dei programmi di Luttazzi e di Sabina Guzzanti «morti da soli» perché «non facevano ascolti» (uahahahahahah). Se ogni tanto capisse ciò che legge e ascolta, il tapino scoprirebbe che non ho fatto alcun paragone («quella di Parigi è una tragedia, in Italia siamo sempre alla farsa», ho detto).
Ho semplicemente sbeffeggiato l’ipocrisia di una classe politica e giornalistica, con e senza mèches (questa sì “macinasoldi”, e pubblici), che ha passato la vita a praticare e giustificare le peggiori censure, salvo poi strillare «Je suis Charlie» e difendere la satira senza limiti, ma solo in Francia e dopo che l’hanno ammazzata. Ieri ho citato un articolo di Pigi Battista sul Corriere nel 2006: diceva – capita persino a lui - cose condivisibili e liberali. E cioè che «non sarà superfluo un supplemento di attenzione per scorgere qualcosa di repellente in quelle vignette di cui pure deve essere libera la circolazione». Cioè criticava delle criticabilissime vignette, ma al contempo metteva in guardia chiunque osasse anche soltanto pensare di vietarle per legge o di chiudere i giornali che le pubblicavano.
È la stessa critica che faceva Vauro, sulla reazione violenta che certe vignette sul Profeta potevano innescare, senza citare Charlie Hebdo né invocare censure o chiusure: quindi è ridicolo che oggi Battista additi Vauro al pubblico ludibrio. La satira scortica tutto e tutti, ci mancherebbe che pretendesse l’immunità dalle critiche. Perciò è sciacallesca l’operazione del Giornale, che sbatte Vauro in prima pagina accusandolo di versare «lacrime di coccodrillo» sui giornalisti e i vignettisti assassinati. Come se chi ha criticato una vignetta su Maometto bombarolo fosse un complice dei macellai islamisti. Ciascuno è libero di ritenere sbagliata o anche repellente una vignetta, un articolo, un libro, un programma tv, un film. Ciò che nessuno può fare è proibirli o chiuderli (come s’è fatto ripetutamente in Italia, con buona pace dei servi di regime), in nome di un “limite” che nessuno ha il diritto di fissare.

Cantava Lucio Dalla: «È chiaro: il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce, e come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare, com’è profondo il mare. Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche: il pensiero, come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare...». A me, personalmente, non verrebbe mai in mente di pensare o di scrivere che “il Corano è merda”, come dice una delle vignette incriminate di Charlie Hebdo. Perciò, se ci arrivasse una vignetta così gratuita sul Corano, sul Vangelo, sul Talmud o sul libro sacro o sul simbolo di qualsiasi altra religione, anche noi che ospitiamo più satira di tutti gli altri ci penseremmo un bel po’ prima di pubblicarla.

In nome di un limite che è chiaro e dichiarato: la sensibilità dei lettori, fossero anche soltanto uno o due quelli che potrebbero offendersi. Un quotidiano libero di informazione non è la buca delle lettere né Hyde Park Corner, ma un servizio ai propri lettori. Al contempo, è giusto e liberatorio che esistano giornali come Charlie Hebdo (ne avevamo anche in Italia, pensiamo al Male e a certe fasi di Cuore), interamente consacrati alla satira più libertina, che non hanno né debbono avere limiti. E, se qualcuno tenta di zittirli, chiudendoli o addirittura decimandone la redazione a raffiche di kalashnikov, le pagine di questo giornale libero sono a loro disposizione per ospitarli. A scatola chiusa.

Ronald Reagan, ancora in piena guerra fredda, raccontava questa barzelletta: «Un giornalista americano dice a un collega sovietico: "La differenza fra i nostri paesi è che io posso scrivere che Reagan è uno stronzo e non mi succede niente, perché noi siamo una democrazia". E il sovietico: "Ma pure noi! Infatti anch’io domani posso scrivere che Reagan è uno stronzo"...». È facile per gli integralisti cattolici, protestanti, ebrei solidarizzare con la satira, ora che è stata colpita da tre islamisti sanguinari: bisognerebbe farlo sempre contro ogni censura (non contro ogni critica), anche quando nel mirino c’è la propria religione.

Invece era tutt’altro che scontata la condanna degli stragisti parigini da parte degli ultraradicali di Hamas e di Hezbollah. La satira ha questo di bello: il suo linguaggio immediato e scioccante illumina e spalanca i cervelli. Chissà, forse il sacrificio dei ragazzacci di Charlie non è stato inutile.

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