La Repubblica
, 11 settembre 2013
«L’idea di governare il mondosta diventando il sogno di ieri». Specie se a coltivarla è un unico paese,aggiungeremmo. Sta diventando una distopia, più che un’utopia: una visione delfuturo indesiderabile, e storpiata. Anche nelle relazioni internazionali, comenella vita delle democrazie costituzionali, un potere e un leader non possonoregnare da soli, permanentemente allergici ad altri poteri o altri Stati.
Quandosi parla di sistema multipolare si dice questo: anche se non ancora scritta,deve esistere almeno un’idea di costituzione mondiale, tale da disciplinare ilpotere quando si fa troppo solitario. Se non viene frenato, controbilanciato,quest’ultimo diverrà per forza abusivo, arrivando «sin dove non trova limiti.Perché non si possa abusare del potere, occorre che il potere arresti ilpotere». Così dice Montesquieu: occorre che i poteri (esecutivo, legislativo,giudiziario) si bilancino a vicenda separandosi. La moderna democraziacostituzionale è stata inventata per spezzare l’assolutezza del potere. Nellospazio globale la regola non è codificata ma prima o poi tende a imporsi:ancora non esiste la Repubblica mondiale del diritto auspicata da Kant, mal’alternativa non può essere – e di fatto non è – il prevalere di una potenzaunipolare. Sarebbe come unire, in uno Stato, i tre poteri elencati daMontesquieu: quando questo avviene, «regna lo spaventoso dispotismo deisultani». Proprio in questi giorni il nostro Parlamento sta facendo i conti conun sultano che aspirava a simile dispotismo. Più di altri, gli italiani possonoimmaginare i disastri che l’egolatria può produrre anche nello spaziomondo.
Nonostantele promesse iniziali, Obama riproduce la distopia dei suoi predecessori, nellavicenda siriana. L’America che propone è ancora quel faro che pretende didettare legge al mondo, in nome di una universale funzione messianica. Latentazione è antica – risale all’idea ottocentesca del Destino Manifestoimpersonato dalla democrazia Usa – e dopo la fine dell’Urss si è dilatata: èallora che cominciano a succedersi i progetti, in genere fallimentari, sempremilitari, di affermare il primato americano in un ridipinto, fantasticatoGrande Medio Oriente. Le guerre condotte nella zona che fua suo tempo terrenodi scontro fra Usa e Urss sono praticamente tutte guerre egolatriche. L’Europasi è accodata in ordine sparso, mai cercando una linea comune e tanto menoun’alternativa: subalterni sempre, anche quando erano alleati riottosi.
Le guerre egolatriche non nascono senza buoni motivi, moralie umanitari. Sono veri tiranni, gli Stati combattuti. E terribile è quando cadeil tabù delle armi chimiche, anche se già è caduto più volte senza eccessivipatemi: fu usato dall’Iraq contro l’Iran, complici gli Usa, e non dimentichiamol’Agente Arancio e il napalm americano in Vietnam, o le bombe al fosforoisraeliane a Gaza. Ma i buoni motivi non bastano, quando ancora non è chiaro sedavvero il gas è stato usato da Assad, il 21 agosto nelle periferie di Damasco(tra i più dubbiosi: India, Cina, Brasile). Ancor meno bastano quandol’egolatra-guerriero misconosce i contesti locali, e dunque gli effettipossibili del proprio agire. O finge di disconoscerli. Nel 2001 non si sapevanulla del-l’Iraq, e il risultato fu l’irradiarsi regionale del potere iraniano.Nella guerra libica non si previde il caos successivo alla caduta di Gheddafi:l’arbitrio delle milizie, i massacri, lo Stato radicalmente sfasciato. Oggi,sulla Siria, si ragiona come se fossimo all’alba delle Primavere arabe: siamoimpigliati nel passato, e il futuro è occultato. Eppure non è Marte, il futuro:la logica conseguenza di un intervento in Siria sarà la sicura, ormai, atomicairaniana. Come difendersi, se non santuarizzando la propria terra e renderlainviolabile?
Sequestrati dai ribelli siriani, liberati dopo cinque mesi,il giornalista Domenico Quirico e l’insegnante belga Pierre Piccinin che eracon lui hanno lanciato una pietra nello stagno delle illusioni franco-americane: «Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana – così Quirico – mapuò essere che questa rivoluzione mi abbia tradito. Non è più la rivoluzionelaica di Aleppo, è diventata un'altra cosa, molto pericolosa e complessa. Ècome se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto che i miei marzianisono malvagi e cattivi». Ancora più preciso Piccinin, che ha dichiarato: «Ènostro dovere morale, mio e di Quirico, di dirlo: non è il governo di Basharal-Assad ad aver usato il gas sarin o altri gas di combattimento nelle banlieue diDamasco. Ne siamo certi a seguito di una conversazione che abbiamo ascoltato».
Quando la potenza solitaria traccia le sue invalicabililinee rosse (Obama lo ha fatto il 20 agosto 2012) gli abbagli che prende sonodue. Primo: ignora gli intrichi locali in cui s’infila, e si mette nelle manidi potentati non meno tirannici di quello siriano – l’Arabia Saudita,interessata a piegare l’Iran – oltre che delle correnti meno pacifiche diIsraele (rappresentate a Washington dall’Aipac: il gruppo di pressione AmericanIsrael Public Affairs Committee, non rappresentativo della diaspora ebraicamondiale). Secondo: presume che a tracciare la linea rossa sia il mondo intero,comesostiene il segretario di Stato Kerry. È l’hybris, ancora una volta, delDestino Manifesto.
La storia tuttavia non si ripete e le novità son numerose. Il potere Usa è oggiin declino, e non solo dispone di ben pochi alleati volenterosi ma è frenato daun argine potente: la Russia. Putin non è democratico. Ma se Assad saràconvinto a consegnare le armi chimiche a un’autorità internazionale, se laguerra sarà evitata, non lo si dovrà tanto all’escalation Usa quanto alCremlino, e al veto che può esercitare nel Consiglio di sicurezza Onu.Memorabile il rattrappimento verbale di Kerry, lunedì a Londra: «La guerra saràincredibilmente piccola». Così piccola da dissolversi, forse.
La seconda grandissima novità è la rivincita dei parlamentinazionali, il peso che si stanno riprendendo. La svolta, storica, è avvenuta aWestminster il 29 agosto, con il gran rifiuto opposto ai piani bellici diCameron. Dopo di che anche Obama ha deciso di cercareil consenso del Congresso.Secondo lo storico Andrew Bacevich non si era mai visto, in sessant’anni, el’atto è coraggioso: «Potrebbe essere l’occasione di ridiscutere un trentenniodi guerre disastrose».
Una terza novità, l’avremmo se l’Europa innalzasse unproprio argine, accanto a quello russo. Ma un’Europa siffatta non esiste, acausa soprattutto della Francia. Hollande imita il nazionalistico culto di sédell’America, ma in miniformato. E del tutto assente a Parigi è la rivincitadel Parlamento: la guerra rientra nellasfera riservata dell’Eliseo (anche se ildomaine reservé non figura nella Costituzione gollista) e nei conflitti sientra senza permesso parlamentare. Con le sue sole forze Parigi non può nulla,ma l’idea di agire con l’Unione non la sfiora. Suo obiettivo: sfoggiare lapropria potenza davanti a Berlino; contrapporre lo scintillio delle propriearmi (e del proprio commercio d’armi) allo scintillio del primato economicotedesco in Europa. Il risultato è un’Europa che a Vilnius, il 7 settembre, s’èdistanziata da Obama accucciandosi. Il comunicato dei suoi ministri degliEsteri è un capolavoro di dappocaggine. L’Unione è per una «risposta forte»all'attacco chimico del 21 agosto. Ma non osa dire che la colpa di Assad non èprovata, né dettagliare la risposta, né pensare un diverso Medio Oriente. Ametà strada fra Russia e America, l’Europa disunita ciondola, come un dentemalmesso. Ciondolando, mostra la propria inconsistenza sino a svanire.