Il primo progetto è in Sardegna, 6mila chilometri quadrati di mare in cui la società norvegese Tgs -Nopec vuole fare prospezioni (indagini) dei fondali marini con l’airgun: un dispositivo che spara aria compressa in acqua, produce onde che si propagano nel fondale e che, riflesse dagli strati della crosta terrestre, forniscono informazioni sulla struttura e la presenza di gas o di liquidi. Inizialmente ritenuto illegale nel disegno di legge sugli ecoreati, visto che secondo gli esperti di tutto il mondo è dannoso per la fauna marina, è stato poi eliminato dal testo con una mossa che da molti è stata interpretata come il primo dei numerosi favori fatti ai petrolieri nei mesi scorsi.
Ed ecco un altro favore: l’istanza per ottenere la Via necessaria per le prospezioni nel Mare di Sardegna viene presentata il 5 febbraio del 2015. Il 10 agosto, sei mesi dopo, il ministero chiede all’azienda una documentazione integrativa perché quella fornita non contiene tutti i rapporti e le misurazioni necessari. Il 29 ottobre, però, le richieste del ministero non sono ancora state soddisfatte e viene concessa una proroga di 60 giorni.
Ancora una volta, il tempo pare non basti e così, con una nota del 14 marzo 2016, il ministero ne concede un’altra, di otto mesi (tanto che le integrazioni arriveranno a luglio). Eppure, gli stessi documenti per la richiesta di integrazioni parlano chiaro: devono pervenire entro 45 giorni durante i quali la società deve fornire informazioni come la durata e le modalità delle operazioni – anche in relazione a quelle già in atto nelle zone limitrofe -, dati relativi alla morfologia del luogo e quelli sulle tecniche che saranno utilizzate. Ma, soprattutto, in questo caso la Tgs – Nopec deve predisporre una dettagliata relazione sulla fauna “con specifico riferimento al vicino santuario dei cetacei Pelagos” e deve riferire sulla presenza di possibili impatti ambientali, che oltretutto il ministero comunque ritiene “scarsamente fondata”.
Inoltre, deve predisporre un progetto per il “biomonitoraggio acustico” dato che l’azienda intende usare l’airgun. Stessa storia per due siti a terra, in Emilia Romagna, per i quali sono stati concessi altri due mesi di tempo per l’integrazione documentale. Nel primo caso, la Valutazione d’impatto ambientale riguarda un territorio vicino Comacchio, prossimo al sito Unesco delle Valli: la richiesta è dell’Eni. L’altra, di Enel Longanesi Development, in provincia di Ferrara. Anche stavolta il ministero ha chiesto che le integrazioni tengano conto dell’eccezionalità del territorio in cui ricadranno le prospezioni, del rischio sismico e del fenomeno della subsidenza.
Il Fatto Quotidiano ha allora chiesto al ministero dell’Ambiente spiegazioni sul perché non ci sia stato il respingimento previsto, in questi casi, dal Testo Unico Ambientale. Le risposte ne hanno confermato l’eccezionalità.
“Sul fatto che alcuni progetti rappresentino ri-proposizioni di progetti depositati negli anni scorsi – spiegano dal ministero – i progetti di idrocarburi a terra sono di competenza statale dal mese di marzo 2015”. Il riferimento è al decreto Sblocca Italia che ha reso le prospezioni e le coltivazioni petrolifere “strategiche” per l’interesse nazionale e ha spostato la competenza per il rilascio della Via dalle Regioni al ministero di Gian Luca Galletti, di fatto ignorando pareri, vincoli e volere degli enti locali. “Quanto ai tempi del procedimento come indicati dal Codice dell’Ambiente – rispondono, se si fa loro notare che le proroghe concesse non sono previste dalla legge – si evidenzia che sono da intendersi di natura ordinatoria e che l’azione amministrativa deve essere conformata al principio di economicità ed efficacia”. Tutto pur di favorire i cercatori di petrolio.