«Dal Municipio sciolto per infiltrazioni alle condanne ai boss per gli appalti sugli stabilimenti così si svela l’intreccio tra criminalità e politica che per anni ha dominato il litorale». la Repubblica, 5 febbraio 2017
C’è o non c’è la mafia ad Ostia? Il suo Municipio è sciolto per mafia. Il suo lungomuro è infestato di mafia. Il suo mare è negato dalla mafia. I suoi abitanti sono strozzati dalla mafia. Allora, c’è o non c’è la mafia ad Ostia?
Un anno fa ci sono stati giudici che dicevano che non c’era e altri che sostenevano il contrario (poi confortati anche dalle eccellentissime toghe della Cassazione), due giorni fa un altro Tribunale non solo ha confermato che c’è ma che ha pure allungato le mani proprio sul tesoro di Ostia: gli stabilimenti balneari. Notizia che fa clamore ma che conoscono pure i bambini, fra le dune di Capocotta e la pineta di Castelporziano.
L’aveva scritto in anteprima anche la nostra Federica Angeli e si era presa — e continua a prendersi — minacce e insulti che la costringono ad andare in giro sotto scorta e ad avere molta cura dei suoi figli che all’asilo vengono fotografati da ignoti vigliacchi. L’aveva denunciato l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella — che su Ostia aveva ricevuto una delega da commissario — e che un giorno ci ha confidato di sentirsi lì come nella Palermo dannata dei primi anni ‘80.
L’avevano gridato in molti ma contro di loro — ed è questo che bisogna tenere bene a mente per poi non fingere meraviglia — ogni volta si scatena una reazione sguaiata, violenta. Con intimidazioni. Minacce. Con campagne vergognose sul web e sui fogli locali, tutti foraggiate dai signorotti del luogo. Perché di Ostia non si deve parlare. Perché su Ostia, laboratorio politico criminale a pochi chilometri dal Colosseo, si sta giocando una partita che può diventare decisiva anche per Roma.
Gli Spada avevano finalmente il loro lido. Peccato che un’inchiesta di Repubblica li ha smascherati. Poi sono arrivate anche le condanne della magistratura. Manovalanza da usare alla bisogna, imparentati con i più famosi Casamonica, gli Spada avevano provato a fare il salto nell’aristocrazia del delitto per non rappresentare più soltanto la mafia delle estorsioni e dello spaccio. L’aggancio con Aldo Papalini, l’ex direttore dell’ufficio tecnico del loro Municipio, con un luogotenente della Marina Militare, con un esponente di CasaPound e con l’amministratore di una società. Intrallazzi conditi dall’articolo 7, l’aggravante mafiosa.
Quella che non avevano meritato secondo i giudici di Appello quasi un anno fa i Fasciani — livello più alto del crimine di Ostia — e che invece avevano ricevuto sotto forma di condanna i loro prestanome appena cinque giorni prima. Una giustizia schizofrenica. E a volte assai distratta: perché se i Fasciani non sono mafiosi nessuno è mafioso ad Ostia. Come in effetti i Triassi, altro clan di caratura per le loro parentele con i “siciliani”: e che siciliani, sono i generi dei capostipiti della Premiata Ditta Cuntrera & Caruana di Siculiana, quella che una volta era considerata la Wall Street della droga.
Ci sono mafie per tutti i gusti ad Ostia. Ma non si può dire. Non si può scrivere. Non si può nemmeno pensare. Quando ci sono i mafiosi, ci sono sempre i complici. Uno chi era? Il capo dei poliziotti di Ostia. Il primo dirigente Antonio Franco, arrestato, processato e condannato per la sua interessata relazione con il titolare di una sala scommesse vicina agli Spada. Poi ci sono funzionari e ed ex amministratori già finiti nel calderone di Mafia Capitale. Poi ancora personaggi come Mauro Balini, il “re del porto” al quale hanno sequestrato beni per 400 milioni di euro.
Una fauna corteggiata da associazioni antimafia assai ambigue che ogni giorno diffondono in rete veleni e grossolanità, un piccolo club di soggetti che in Sicilia li chiamerebbero “incagliacani” (accalappiacani), ovvero personaggi non proprio di spessore elevato ma sempre curvi e al servizio permanente ed effettivo di qualcuno. Ostia la considerano loro, fuori dai confini nazionali e dalle leggi. Ostia non si tocca. E nemmeno il suo lungomuro di 11 chilometri. Dove una cabina è diventata una palestra, dove un chiosco è ormai un beauty center, dove ci sono posti letto in riva al mare camuffati da spogliatoi.
Un paio di anni fa, le cartine catastali del 1992 di questa grande banlieu romana sono state nascoste in cassaforte, in un luogo segreto per paura che qualcuno le bruciasse o le facesse sparire. Confrontandola con le mappe Google dei giorni nostri, non c’è una sola Ostia ma ce ne sono due. La prima ancora dignitosa, l’altra che è un inferno di cemento.
La fine di questo piccolo romanzo nero a chi la vogliamo far scrivere? Alla tribù degli Spada, a Carmine detto Romoletto o a suo cugino Armando che a Federica Angeli l’ha avvicinata per urlarle “ti sparo in testa”? Ai Fasciani — non mafiosi per i giudici di una Corte di Appello? Ai Triassi di Siculiana che bivaccano sul litorale laziale? A Mauro Balini e ai suoi misteriosi amici? Agli “onesti cittadini” di Ostia, per fortuna pochi, che l’altra settimana sfilavano per protestare contro il Municipio sciolto per mafia e che mai avevano protestato contro la mafia?