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Paolo Berdini
I numeri, i diritti acquisiti e la compensazione
28 Novembre 2004
Roma
Relazione di Paolo Berdini sul nuovo PRG di Roma al convegno "La qualità delle città: dove va l'urbanistica in Italia?", organizzato dalle associazioni Aprile e Polis - Roma 26 ottobre 2002

Il rilancio dell’urbanistica

La differenza tra le esperienze urbanistiche di Milano e Bologna e quella romana sta tutta nello stato d’animo di chi ha il compito di svolgere la relazione introduttiva. I due relatori che mi hanno preceduto, infatti, hanno sottolineato con forza e con sdegno le distorsioni prodotte da una prassi che demolisce la pianificazione sull’altare di una contrattazione continua con la proprietà fondiaria.

Non si può dar loro torto, poiché criticano quello stesso schieramento politico che nel breve volgere di un anno ha sconvolto il panorama legislativo nazionale. La legge sulla privatizzazione dei beni immobiliari pubblici prevede la possibilità di variante urbanistica mediante accordo di programma per valorizzare (così recita l’articolo 14, comma 3) i beni da vendere. Con la legge sulle grandi opere si abolisce di fatto ogni vincolo paesistico e ambientale: basta essere inseriti nell’apposito elenco delle opere strategiche per superare qualsiasi tutela. Con la introduzione della “super dia” è permesso demolire e ricostruire anche nei centri storici con una semplice segnalazione al comune. La valutazione di impatto ambientale è di fatto abolita. E mentre si avvia la svendita del patrimonio culturale per fare cassa, nel Lazio si vuole restituire alla speculazione una parte delle aree tutelate dai parchi. Lo sdegno è dunque il sentimento adatto per giudicare l’operato delle forze della destra.

Il mio stato d’animo non può essere lo stesso. Dovrò elencare una serie di gravi alterazioni della prassi pianificatoria che a Roma ha preso il nome di “pianificar facendo”, che non differisce affatto dai due precedenti casi. Anzi a ben guardare è la più sistematica operazione culturale di demolizione dell’urbanistica mai tentata fin d’ora, anche per la contiguità fisica e culturale tra le persone che hanno contribuito alla redazione dei nuovi strumenti di intervento in deroga che il Ministero dei Lavori pubblici ha emanato negli anni ’90 e quelle che hanno costruito la nuova disciplina urbanistica romana.

Ma Roma rappresenta contemporaneamente la più solida speranza di un’alternativa al governo delle destre. Per questo motivo, insieme alla critica severa non è mai mancata in nessuno di noi la consapevolezza di non fare regali a coloro che renderebbero ancora peggiore la qualità del governo urbano. Anche nei momenti di maggiore attrito si è sempre mantenuto un atteggiamento teso alla correzione di quelli che consideriamo errori gravi.

In quest’ultimo periodo, per la verità, siamo in presenza di segnali che non sottovalutiamo. Il sindaco Veltroni è intervenuto spesso nella vicenda urbanistica dimostrando di avere a cuore le critiche che si muovono in molte parti della società romana. Svolgerò la mia relazione nella speranza che si possa ancora cambiare una proposta di piano regolatore che non convince la città.

Una questione preliminare: i numeri

Se poniamo con forza una questione di numeri del piano è perché ci troviamo di fronte ad una contraddizione insanabile. Una città che conferma il forte declino demografico viene allo stesso tempo sottoposta ad una previsione edificatoria che è pari a quella che venne realizzata nel periodo 1981/1991. Allora furono realizzate 135.000 nuove abitazioni, pari a circa 40.000.000 di mc. Oggi i documenti ufficiali del nuovo piano ci dicono che la manovra complessiva è pari a 69 milioni di metri cubi, equamente suddivisi tra residenze e servizi.

Appare evidente che la città viene condannata a un destino insostenibile, anche perché il consumo di suolo aumenta vertiginosamente proprio per le caratteristiche culturali del piano. Di recente le associazioni ambientaliste hanno presentato un approfondito studio da cui si evince che a fronte dei circa 40.000 ettari di territorio urbanizzato al 1998 si aggiungono altri 11.000 ettari, ma a fronte di una percentuale di aumento di volume sull’esistente pari al 9,2%, si arriva ad un valore del 19,8 % di incremento di consumo del suolo: è la conseguenza del meccanismo della “ compensazione urbanistica” come vedremo in seguito. Resta il fatto che se ai 51.000 ettari se ne aggiungono ulteriori 5.000 relativi a tutte le aree urbanizzate presenti all’interno dei perimetri dei parchi, si ha che la superficie urbanizzata totale al 2011 è pari al 43 % dei complessivi 129.000 ettari del territorio romano. Restano dunque 73.000 ettari di spazi aperti: ma essi sono parzialmente a rischio per l’indeterminatezza della normativa tecnica del piano (come ad esempio per le aree ferroviarie).

Lo ripetiamo, questa prospettiva è insostenibile a fronte dell’enorme spostamento di popolazione nella fascia metropolitana: qui è la prima censura verso l’impostazione del piano, e cioè l’abbandono di qualsiasi prospettiva di assetto metropolitano, proprio oggi in cui tutti i fenomeni -dalla mobilità alla demografia- si comprendono soltanto se si guarda al di là dei confini di Roma.

Dalle relazioni allegate alla nuova proposta di piano leggiamo poi che circa 40 dei 69 milioni previsti sono già stati decisi dalla cultura del pianificare facendo, e cioè attraverso la versione romana del liberismo applicato all’urbanistica. Nessuno sembra chiedersi quando e perché sia stata decisa una così colossale colata di cemento. E’ invece fondamentale comprenderne motivazioni e strumenti utilizzati ai fini operativi.

Quaranta milioni di metri cubi e “diritti acquisiti”

Sono tre i periodi in cui si può suddividere la storia urbanistica di questi ultimi anni. Ciascuno di questi periodi ha utilizzato un concetto chiave, nell’ordine i diritti acquisiti, le centralità e la compensazione, su cui svolgeremo alcune riflessioni.

Il primo periodo è quello, così si affermò, relativo all’anticipazione del nuovo disegno di piano. Si disse che l’avvio di alcune trasformazioni era coerente con gli assunti teorici del nuovo piano.

Sono cinque i quadranti urbani interessati da quelle decisioni. Alla Bufalotta oltre a due consistenti piani di zona si prevede la trasformazione dell’ex autoporto. La conseguenza sarà la saldatura del quadrante nord sul Gra, mentre l’intera area è priva di trasporti su ferro. Al Collatino si concentrano il nuovo mercato agroalimentare, il polo tecnologico, il grande quartiere privato di Ponte di Nona e una grande area commerciale. La conseguenza sarà la saldatura con Guidonia-Zagarolo, mentre è assente il trasporto su ferro. A Cinecittà si avviano due nuovi piani di zona, l’area commerciale Ikea e altre localizzazioni terziarie. La conseguenza sarà la saldatura con Frascati. Il comprensorio è solo lambito dal sistema su ferro. Al Laurentino oltre al piano di zona di Tor Pagnotta e al polo sanitario privato a Trigoria si pensa di avviare la lottizzazione privata di Tor Pagnotta. La conseguenza sarà l’accentuazione delle tendenze alla conurbazione con Pomezia. Il comprensorio non è servito dal ferro. Alla Magliana si è dato avvio alla edificazione delle aree Alitalia, al completamento dell’ex autoporto di Ponte Galeria e ad alcune attrezzature alberghiere. La conseguenza sarà la saldatura con Fiumicino. Il comparto è solo lambito dal sistema su ferro. Questi quadranti sono attualmente in fase di completamento: i loro effetti sull’organismo urbano si sentiranno pertanto a partire dalla metà del prossimo anno.

Gran parte delle decisioni sono state prese con varianti di destinazione d’uso mediante accordi di programma e si basavano su uno dei pilastri teorici del piano: che tutte le cubature residue del piano del 1962 fatte salve dalle varianti ambientali degli inizi degli anni ‘90 fossero “diritti acquisiti”. E’ invece noto che le leggi urbanistiche in vigore non contengono alcun riferimento di questo tipo: attraverso una rigorosa motivazione si possono cancellare previsioni giudicate superate o anacronistiche. Ma questa motivazione deve essere coerente: quando invece, come a Roma, si applica una politica di variazione discrezionale e continuativa non si è in grado di opporre coerenza. Nessun obbligo, nessun diritto, dunque, ma una deliberata scelta.

L’uso sistematico degli strumenti della deroga e “le centralità”

Il secondo periodo è relativo al sistematico uso dei cosiddetti programmi complessi e cioè l’insieme degli strumenti derogatori del piano regolatore ideati dal Ministero dei Lavori pubblici. Sottolineo ancore che a differenza di Milano e Bologna, Roma si pone in questo caso come la punta più avanzata della sperimentazione della cosiddetta nuova urbanistica: lo testimonia l’ampiezza delle operazioni avviate. Appartengono a questo periodo l’avvio di 5 programmi di riqualificazione urbana (Case Rosse, Borghesiana, Pigneto, Quadraro, Ostia Ponente) e di 11 programmi di riqualificazione urbana (Valle Aurelia, Fidene-Val Melaina, San Basilio, Labaro-Prima Porta, Tor Bella Monaca, Laurentino, Acilia, Magliana, Corviale, Primavalle-Torrevecchia, Palmarola-Selva Candida). In complesso altri milioni di metri cubi in variante: per quanto riguarda i primi stanno per iniziare i cantieri in questi giorni. I secondi saranno approvati tra breve dopo una defatigante opera di contrattazione con la Regione Lazio.

Il pilastro teorico che regge l’operazione è che in questo modo si sarebbe portata qualità nelle anonime periferie romane, e cioè che si sarebbero costruite “ centralità” e servizi che mancano. Credo al contrario che sia maturo il tempo in cui sottoporre ad un giudizio esente dalla vuota retorica questi programmi. Essi si basano sul principio della contrattazione urbanistica, ma il loro incipit pone una insuperabile ipoteca da qualsiasi prospettiva socialmente utile: la delega al privato della definizione degli obiettivi. So bene che vengono redatti programmi preliminari -tanto generici quanto elastici, peraltro- e anche nella fase della concertazione molto spesso i programmi vengono migliorati. Ma, appunto, se va bene si limitano i danni, non si costruisce una svolta: tant’è che in quelle desolate periferie verranno realizzati pochi edifici per uffici e molti nuovi insediamenti commerciali di media e grande dimensione che non rappresentano certo un modello culturale e sociale.

Del resto, anche se analizziamo quali siano stati le centralità fin qui concretamente realizzate si resta nel campo delle attività commerciali: Alla Pantanella ha aperto un Super Bingo, alla Bufalotta verrà realizzato la più grande superficie di vendita fin qui realizzata, alla Magliana i rari edifici terziari sono avulsi dal tessuto urbano, al Polo tecnologico, in attesa del Polo satellitare che colpevolmente si continua a negare a Roma, verrà realizzata una superficie commerciale.

C’è poi da osservare che la “cura del cemento” in atto non sembra giovare alle quotazioni di mercato. La rivista mensile della Borsa immobiliare, infatti, continua a produrre i dati storici dell’evoluzione del mercato edilizio romano da cui emerge che nel decennio 1992-2002 crescono molto i valori degli immobili localizzati nelle aree qualificate della città, mentre i prezzi nelle periferie al massimo sono stabili nel decennio, mentre più frequentemente accusano leggere flessioni: continuare ad edificare, dunque, non sembra una ricetta efficace né per la città nè per gli abitanti di quei luoghi.

Eppure nell’indifferenza generale esistono a Roma esempi di trasformazioni positive e di creazione di vere centralità: i due programmi di sviluppo dell’università di Tor Vergata e del terzo ateneo, dimostrano che un lungimirante progetto pubblico è l’unico strumento in grado di riqualificare la città. E’ un punto fondamentale per la ripresa di un pensiero progressista sulla città: il recupero del ruolo pubblico, di un pensiero alto che sappia interpretare bisogni e costruire le condizioni per attuarle. Certo che questa impostazione deve fare i conti con la limitatezza degli investimenti pubblici, ma mi chiedo se non sia arrivato il momento in cui non venga ponga finalmente come grande questione nazionale il destino delle città: Roma potrebbe porre tutto il suo peso in questa affascinante sfida.

Il nuovo piano e “la compensazione”

E veniamo alla terza fase, e cioè alla proposta di piano regolatore in discussione. Si comprende che è inevitabile una prima critica metodologica. All’interno degli elaborati di piano, infatti, le nuove trasformazioni previste sono state graficizzate allo stesso modo di quelle appartenenti ai primi due capitoli che invece sono ormai decisi e in gran parte attuati: chiediamo pertanto che venga fornita una chiara distinzione tra ciò che è stato deciso e ciò che è ancora in discussione e cioè, i residui trenta milioni di metri cubi. Non è un passaggio che allunga i tempi: con gli strumenti informatici questi elaborati possono essere prodotti in pochi giorni. Polis e Aprile sono per una rapida approvazione del piano, ma una discussione vera potrà avvenire soltanto se la città sarà messa in grado di capire. Del resto, è una questione di trasparenza e democrazia analoga a quella che l’assessore Morassut, gliene do atto con piacere, ha compiuto sulla questione delle cubature del piano: l’operazione di corretta quantificazione delle cubature effettuata è stato infatti un atto coraggioso.

Ma veniamo al merito: il piano in discussione inverte la china rovinosa che ho tratteggiato o la conferma? Credo che siamo sempre all’interno della stessa logica che contratta ogni trasformazione senza definire un quadro di coerenze. Molte delle norme rinviano a successive specificazioni, è il caso dei progetti urbani e dei programmi integrati di riqualificazione. In molte aree urbane strategiche non vengono specificate le trasformazioni previste, come nel caso degli enormi comprensori ferroviari di San Lorenzo. In altri casi si da il via a trasformazioni con una disinvoltura che rischia di mettere a repentaglio il patrimonio storico della città: è il caso degli ambiti di valorizzazione della città storica. Ancora, si consente un’ulteriore, definitiva, terziarizzazione del centro storico e della fascia all’interno dell’anello ferroviario perdendo di vista i destini dell’intera città.

Ma sono solo alcuni esempi: credo che non sia necessario che mi soffermi su dettagli tecnici che altri potranno fare meglio di me: il dibattito fornirà sicuramente molti suggerimenti che l’assessore potrà utilmente prendere in considerazione. Vorrei invece soffermarmi su tre questioni cruciali. La prima è come si affronta lo squilibrio tra l’eccesso di funzioni nel centro storico e la desolazione delle periferie. Mi sembra al riguardo che non sia stata colta l’occasione di un effettivo decentramento di funzioni pubbliche, né tantomeno di una posizione chiara sul progetto Fori, e cioè sull’idea di centro storico che si vuole perseguire: lo si abbandona all’attuale insostenibile congestione. Ne’ sembrano convincenti le centralità sparse in ogni dove (come a Massimina o nella lontana Gabi) e lasciate a funzioni ancora indeterminate proprio perché si è rinunciato a governare la leva pubblica.

Il secondo aspetto riguarda il modello che viene prefigurato: siamo di fronte ad una gigantesca macchia d’olio, e cioè un assetto che è congeniale alla moltiplicazione delle rendite, ma che non delinea un’idea alternativa rispetto all’attuale stato di crisi urbana. Anzi, dobbiamo rilevare un grave peggioramento del piano presentato dalla precedente amministrazione nella definizione di ulteriori aree di espansione urbana – gli ambiti di riserva edificatoria- che aggiungono alle conurbazioni già elencate anche quelle lungo la via Cassia, così da prefigurare una conurbazione con Anguillara e lungo la via Ardeatina.

Da ultima la questione del consumo di suolo che è intimamente legata ad un altro pilastro teorico del piano, “ la compensazione”. Vale la pena di ripeterlo, ma la quantità delle aree messe in gioco è insostenibile, non serve ad una città in declino demografico e non inverte la tendenza ad un progressivo impoverimento della periferia. Questo diluvio di cemento non sembra infatti portargli fortuna: la Borsa immobiliare ha certificato che la quasi totalità dei quartieri esterni di Roma hanno subito un decremento di valori immobiliari nel decennio 1992-2002. Occorre dire basta all’espansione e dedicarsi alla riqualificazione: questo è l’obiettivo. Anche perché attraverso il meccanismo della compensazione si aumenta esponenzialmente il consumo di suolo. A Tor Marancia, ad esempio, un partito politico che era favorevole alla completa edificazione ha ora proposto che venisse compensata la parte (400.000 metri cubi) che veniva realizzata lontano da quel meraviglioso comprensorio. Così i proprietari che ci guadagnano sono due e si consuma suolo prezioso.

Proprio in questi giorni il sindaco Veltroni ha rilasciato un’intervista al Messaggero in cui sancisce il definitivo tramonto dell’istituto della compensazione: è un passo importante per porre le basi per una profonda revisione del piano.

Una questione di democrazia

E torno per concludere alla questione principale. L’urbanistica -insieme a tanti esempi negativi che non vanno sottovalutati- ha permesso anche di creare città più vivibili e di contribuire alla maturazione di una coscienza civile. La discussione sul futuro della città deve riguardare tutti i cittadini e non solo gli addetti ai lavori. I nuovi strumenti dell’urbanistica hanno cancellato partecipazione e trasparenza: proprio a Roma sono stati decisi 40 milioni di metri cubi senza che il coinvolgimento sociale permettesse di costruire una città migliore e più vivibile.

Ecco dunque la grande occasione che ci permettiamo di sottolineare: il sindaco Veltroni può invertire questa china rovinosa per le forze di progresso e porre le basi per una rinnovata fiducia con la città. Del resto, e finisco davvero, la situazione romana è caratterizzata dallo svolgimento di una numerosa serie di assemblee sul piano regolatore: in esse si coglie un atteggiamento consapevole e maturo, ma non si coglie consenso verso questo piano.

Non cerchiamo scorciatoie o forzature: recuperiamo invece queste zone d’ombra invece di farle andare verso la deriva di un silenzioso distacco dalla politica e dall’impegno sociale.

Paolo Berdini

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