«La terra possiede risorse sufficienti per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidità di alcuni»; questa affermazione del Mahatma Gandhi centra il cuore del problema delle risorse e al contempo è quanto mai profetica. La radice del termine risorse si trova nel verbo latino surgere e come l’acqua sgorga dal terreno, la Terra Madre elargisce copiosamente beni per la nostra vita comune.
Va da sé che questi beni debbono essere utilizzati con giudizio e parsimonia, non solo perché sono un patrimonio comune, ma perché la rinnovabilità della natura ha bisogno di tempi lunghi. Ma il buon senso e la responsabilità verso i processi naturali hanno lasciato il campo a uno sfruttamento illimitato nel nome dello sviluppo e dell’economia di mercato. L’insegnamento di Francis Bacon ha condizionato per secoli e fino a oggi i nostri comportamenti: «La natura è una prostituta; noi dobbiamo domarla, penetrare i suoi segreti e incatenarla secondo i nostri desideri». Aver concepito la natura come un ammasso di materie prime da trasformare in "ricchezze" ci ha portati a un drammatico impoverimento delle risorse naturali.
Con queste premesse le più grandi doglianze e paure riguardano la perdita di quelle risorse che garantiscono l’attuale sistema produttivo ed energetico. Il progressivo depauperamento di giacimenti di petrolio, carbone, gas naturali fa presagire un nuovo Medio Evo. Il dibattito si rivolge, giustamente, alle energie rinnovabili, alla moderazione nei consumi, all’implementazione delle ricerche o alla riproposizione di vecchie scelte come quella del nucleare.
Esiste, insomma, una predominanza delle risorse fossili così forte e determinata che pone in seconda linea quel mondo naturale e quei beni comuni che sono alla base della nostra vita biologica. Mentre nei paesi ricchi l’attenzione è puntata sulla crisi delle risorse fossili, nei paesi del Sud del mondo invece spaventa soprattutto la crisi delle risorse viventi.
La contrapposizione sull’utilizzo dei prodotti agricoli per produrre carburanti o cibo è significativa. La metà dei posti di lavoro nel mondo è legata alla pesca, all’agricoltura, all’economia di raccolta e di produzione del cibo; le risorse viventi sono fondamentali per le cosiddette economie di sussistenza.
L’acqua, l’aria, la fertilità dei suoli, per non parlare dello stato di salute delle foreste, degli oceani, dei fiumi e della biodiversità del mondo animale e vegetale sono sempre più minacciati dal fatto che la natura è diventata un oggetto di dominio. Il bilancio finale comincia a rendere conto degli ingenti danni provocati alle risorse naturali e all’ecosistema. C’è una teoria che descrive come l’uomo, convinto di dominare la Natura e di averla a sua completa disposizione, utilizzi la tecnica per trovare soluzioni ai singoli problemi; ma per ogni risposta tecnologica che escogita, ecco presentarsi nuovi e più gravi problemi, causati proprio da quella che doveva essere una soluzione. Tutto ciò è quanto mai calzante per il pianeta oggi e sembra che ci abbia fatto raggiungere il limite estremo. La situazione impone ben più che un semplice mutamento di rotta: impone un radicale cambio di mentalità, un pensiero più complesso, più umiltà e senso di responsabilità nei confronti dell’ambiente, degli ecosistemi, della Terra Madre.
Violare i limiti di rigenerazione della natura significa aggravare la scarsità delle risorse: i fiumi si inaridiscono, i suoli perdono fertilità, l’aria diventa irrespirabile, le foreste scompaiono. Perché insistere a superare i limiti che la terra ci impone? Così non si fa che crearne dei nuovi, di limiti, finché non sarà più possibile rimediare.
Scriveva Ungaretti:
L’uomo, monotono universo, / crede allargarsi i beni / e dalle sue mani febbrili / non escono senza fine che limiti.
La gestione del limite diventa il primo esercizio di sostenibilità, non soltanto ambientale.
Ma per farlo bisogna rinunciare alla crescita economica come unico criterio di progresso umano. In questo quadro l’uso spregiudicato delle risorse genetiche apre nuove frontiere, nuovi rischi e pone un problema di giustizia. Il 20 per cento della popolazione mondiale utilizza il 75 per cento delle risorse globali.
Acquisita quindi la consapevolezza dei limiti biofisici non si può ritenere equa e giusta l’attuale spartizione delle risorse e la crescente privatizzazione dei beni comuni. Da un lato il materiale genetico è diventato una risorsa da brevettare, dall’altro lato dopo la privatizzazione delle terre comuni oggi si assiste alla privatizzazione massiccia delle risorse idriche e delle sementi. Combattere contro la privatizzazione dei beni comuni e per la loro tutela e valorizzazione è una scelta di civiltà e democrazia. Molti di questi beni e di queste risorse appartengono di diritto alle comunità locali e indigene, sono parte integrante delle culture tradizionali. Dalle risorse naturali queste comunità ricavano alimenti, erbe medicinali, materiali per il loro abbigliamento e le loro abitazioni; le stesse risorse naturali ne hanno segnato la storia, la cultura e la spiritualità.
I saperi tradizionali sono da sempre i veri tutori della biodiversità, della rigenerazione e del risparmio delle risorse. Quante volte i saperi delle comunità indigene hanno rivelato proprietà naturali utilizzate poi per la produzione di medicinali e cosmetici senza che si riconoscesse loro la primogenitura di queste scoperte o l’indu
I nostri beni comuni che dobbiamo difendere
CARLO PETRINI
«La terra possiede risorse sufficienti per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidità di alcuni»; questa affermazione del Mahatma Gandhi centra il cuore del problema delle risorse e al contempo è quanto mai profetica. La radice del termine risorse si trova nel verbo latino surgere e come l’acqua sgorga dal terreno, la Terra Madre elargisce copiosamente beni per la nostra vita comune.
Va da sé che questi beni debbono essere utilizzati con giudizio e parsimonia, non solo perché sono un patrimonio comune, ma perché la rinnovabilità della natura ha bisogno di tempi lunghi. Ma il buon senso e la responsabilità verso i processi naturali hanno lasciato il campo a uno sfruttamento illimitato nel nome dello sviluppo e dell’economia di mercato. L’insegnamento di Francis Bacon ha condizionato per secoli e fino a oggi i nostri comportamenti: «La natura è una prostituta; noi dobbiamo domarla, penetrare i suoi segreti e incatenarla secondo i nostri desideri». Aver concepito la natura come un ammasso di materie prime da trasformare in "ricchezze" ci ha portati a un drammatico impoverimento delle risorse naturali.
Con queste premesse le più grandi doglianze e paure riguardano la perdita di quelle risorse che garantiscono l’attuale sistema produttivo ed energetico. Il progressivo depauperamento di giacimenti di petrolio, carbone, gas naturali fa presagire un nuovo Medio Evo. Il dibattito si rivolge, giustamente, alle energie rinnovabili, alla moderazione nei consumi, all’implementazione delle ricerche o alla riproposizione di vecchie scelte come quella del nucleare.
Esiste, insomma, una predominanza delle risorse fossili così forte e determinata che pone in seconda linea quel mondo naturale e quei beni comuni che sono alla base della nostra vita biologica. Mentre nei paesi ricchi l’attenzione è puntata sulla crisi delle risorse fossili, nei paesi del Sud del mondo invece spaventa soprattutto la crisi delle risorse viventi.
La contrapposizione sull’utilizzo dei prodotti agricoli per produrre carburanti o cibo è significativa. La metà dei posti di lavoro nel mondo è legata alla pesca, all’agricoltura, all’economia di raccolta e di produzione del cibo; le risorse viventi sono fondamentali per le cosiddette economie di sussistenza.
L’acqua, l’aria, la fertilità dei suoli, per non parlare dello stato di salute delle foreste, degli oceani, dei fiumi e della biodiversità del mondo animale e vegetale sono sempre più minacciati dal fatto che la natura è diventata un oggetto di dominio. Il bilancio finale comincia a rendere conto degli ingenti danni provocati alle risorse naturali e all’ecosistema. C’è una teoria che descrive come l’uomo, convinto di dominare la Natura e di averla a sua completa disposizione, utilizzi la tecnica per trovare soluzioni ai singoli problemi; ma per ogni risposta tecnologica che escogita, ecco presentarsi nuovi e più gravi problemi, causati proprio da quella che doveva essere una soluzione. Tutto ciò è quanto mai calzante per il pianeta oggi e sembra che ci abbia fatto raggiungere il limite estremo. La situazione impone ben più che un semplice mutamento di rotta: impone un radicale cambio di mentalità, un pensiero più complesso, più umiltà e senso di responsabilità nei confronti dell’ambiente, degli ecosistemi, della Terra Madre.
Violare i limiti di rigenerazione della natura significa aggravare la scarsità delle risorse: i fiumi si inaridiscono, i suoli perdono fertilità, l’aria diventa irrespirabile, le foreste scompaiono. Perché insistere a superare i limiti che la terra ci impone? Così non si fa che crearne dei nuovi, di limiti, finché non sarà più possibile rimediare.
Scriveva Ungaretti: "L’uomo, monotono universo, / crede allargarsi i beni / e dalle sue mani febbrili / non escono senza fine che limiti".
La gestione del limite diventa il primo esercizio di sostenibilità, non soltanto ambientale. Ma per farlo bisogna rinunciare alla crescita economica come unico criterio di progresso umano. In questo quadro l’uso spregiudicato delle risorse genetiche apre nuove frontiere, nuovi rischi e pone un problema di giustizia. Il 20 per cento della popolazione mondiale utilizza il 75 per cento delle risorse globali.
Acquisita quindi la consapevolezza dei limiti biofisici non si può ritenere equa e giusta l’attuale spartizione delle risorse e la crescente privatizzazione dei beni comuni. Da un lato il materiale genetico è diventato una risorsa da brevettare, dall’altro lato dopo la privatizzazione delle terre comuni oggi si assiste alla privatizzazione massiccia delle risorse idriche e delle sementi. Combattere contro la privatizzazione dei beni comuni e per la loro tutela e valorizzazione è una scelta di civiltà e democrazia. Molti di questi beni e di queste risorse appartengono di diritto alle comunità locali e indigene, sono parte integrante delle culture tradizionali. Dalle risorse naturali queste comunità ricavano alimenti, erbe medicinali, materiali per il loro abbigliamento e le loro abitazioni; le stesse risorse naturali ne hanno segnato la storia, la cultura e la spiritualità.
I saperi tradizionali sono da sempre i veri tutori della biodiversità, della rigenerazione e del risparmio delle risorse. Quante volte i saperi delle comunità indigene hanno rivelato proprietà naturali utilizzate poi per la produzione di medicinali e cosmetici senza che si riconoscesse loro la primogenitura di queste scoperte o l’industria pagasse il dazio per essersene appropriata... Molta parte della povertà nel mondo è dovuta a queste forme di appropriazione indebita. Brevettare i semi e la biodiversità, privatizzare l’acqua, affidare l’agricoltura al monopolio delle multinazionali significa dare il colpo di grazia alle economie di sussistenza e al lavoro femminile nelle immense campagne del mondo. Molti gruppi di persone nel Terzo mondo, in particolare le donne rurali e i popoli indigeni, possiedono conoscenze e pratiche produttive assolutamente sostenibili, capaci di rinnovare la fertilità della terra, di conservare l’acqua, di selezionare i semi. La prosperità di queste comunità è direttamente proporzionale alla capacità dei loro membri di condividere le risorse, con equità e parsimonia.
Lo sfruttamento illimitato delle tecnoscienze e del mercato rispetto alle risorse naturali e alla sostenibilità ci imporranno di riflettere sul nostro universo culturale occidentale, modernista.
La superiorità dell’economia sulla natura e sulla cultura sta alla base della crisi delle risorse e della sostenibilità. Come dice Vandana Shiva: «In un mondo finito, ecologicamente interconnesso e soggetto alle leggi dell’entropia, i limiti naturali hanno bisogno di essere rispettati. Non possono dipendere dai capricci e dalle convenienze del capitale e delle forze di mercato».
Per capire quanto il denaro non sia convertibile alla vita è forse opportuno ricordare la saggezza dei Nativi americani quando affermavano: «Solo quando avrai abbattuto l’ultimo albero, pescato l’ultimo pesce e inquinato l’ultimo fiume, solo allora capirai che non puoi mangiare i soldi».